"Quando il sipario non cala mai" è la traduzione del titolo dell’affascinante collezione in mostra fino al 5 luglio all’American Folk Art Museum di Manhattan: una raccolta di opere d’arte internazionali e dall’ampio respiro che abbraccia pittura, scultura, fotografia, audio, video, design tessile e dell’abbigliamento.
Un’esperienza intensa da vivere a più livelli, da quello della fruizione d’insieme – nella moltitudine di forme e colori attraenti e vivaci – and uno più profondo e attento in cui si cela la storia di ogni singolo artista. Il trait d’union sta proprio nella genialità celata dietro l’eccentricità di vite ai margini della società, vite segnate da esperienze traumatiche e, in molti casi, da patologie cliniche conclamate. I protagonisti di When the Curtain Never Comes Down sono infatti artisti “fai-da-te”, spesso indigenti e con un grado di istruzione basso, le cui intuizioni e creazioni però raggiungono alte vette estetiche e comunicative, precorrendo talvolta i tempi dell’arte contemporanea ma recuperando al contempo le tradizioni popolari e artigianali dei loro Paesi. Si tratta di soggetti ai margini della società “civile”, spesso ospiti di istituti psichiatrici, le cui vite si trasformano in vere e proprie opere d’arte. Così li descrive la curatrice della mostra Valérie Rousseau: "Artisti della performance in cui il gesto stesso è l’opera d’arte e che nella sua reiterazione quotidiana genera un 'alter ego', una seconda pelle nella quale rifugiarsi ed esprimere se stessi".
Dei 27 artisti in mostra (tra cui il noto Adolf Wölfli), quattro sono gli italiani, vissuti tra la seconda metà dell’800 e i giorni nostri. Come Giuseppe Versino (1882-1963), paziente di un istituto di igiene mentale e creatore di magnifici abiti realizzati con frammenti di vecchi strofinacci. Versino amava indossare le sue creazioni che arrivano a pesare più di 45 chili.

Palmierino Sorgente nel suo laboratorio in Notre-Dame Street (Montreal, Canada). Foto: Marie-Christine Cyr and Georges Aubin Jr. ┬® Soci├®t├® des arts indisciplin├®s

Fernando Oreste Nannetti. Foto: Pier Nello Manoni
O come Palmerino Sorgente (1920-2005), detto il “Papa di Montreal”, dove si era trasferito con i suoi 13 figli: la sua splendida serie di oggetti papali va di pari passo con la convinzione di essere lui stesso il pontefice, il che lo portava ad atteggiarsi e raffigurarsi sotto una luce mistica e circondato da simboli della Cristianità. Delle sue molte creazioni, realizzate con pezzi di bigiotteria e gioielleria riciclata, il museo presenta una collezione di sfarzosi copricapo.
Una storia dell’universo e un vero e proprio codice linguistico sono invece il risultato del lavoro di Fernando Oreste Nannetti (1927-94) che incise sulla pietra oltre 60 metri di testi e disegni nel cortile dell’ospedale psichiatrico di Volterra per raccontare il cosmo e la vita attraverso i propri occhi. In esposizione al museo, in forma digitale interattiva, 23 immagini raccolte da Pier Nello Manoni, commissionategli dopo la chiusura del manicomio (a seguito della legge Basaglia) come testimonianza di quei graffiti. Nannetti, che si definiva “astronautico ingegnere minerario”, “colonnello astrale” e “scassinatore nucleare” e si firmava come Nanof o Nof4, è oggi considerato un importante esponente dell’Art Brut.

Melina Riccio. Foto: Gustavo Giacosa
Dulcis in fundo, un’italiana, Melina Riccio (1951-), le cui preziose vesti ricamate con fantasie dorate, originali preghiere nella forma di filastrocche in rima e richiami all’Italia patria rivelano un’anima popolare e naive unita ad un profondo senso della bellezza. Oltre a confezionare i suoi abiti, Melina si dedica a diffondere un messaggio di pace per le strade di Roma e di Genova, attraverso graffiti, collage e piccoli oggetti di carta decorati con stelle e cuori e firmati con autografo inconfondibile (vedi immagine a lato).
In occasione dell’annuale Visionary Award Ceremony, quest’anno assegnato a Ruth DeYoung Kohler, direttrice del Kohler Arts Center in Wisconsin, l’American Folk Art Museum ha organizzato una serata dedicata ai self-taught artists e ospitata dal Museum of Biblical Art il 21 maggio. Dopo un sentito intervento della Kohler che ha tracciato la storia di alcune delle opere curate e salvaguardate dal Kohler Arts Center, il pubblico ha seguito con piacere le coinvolgenti presentazioni di Jo Farb Hernandez (San Jose State University) e di Teresa Fiore (Montclair State University) su tematiche quali la scoperta e la conservazione delle opere di artisti cosiddetti outsider nei loro contesti originari: boschi, vallate, quartieri popolari. Nel suo intervento dal titolo A Home Away from Italy: Self-Taught Environmental Artists in Motion, Fiore si è concentrata su tre artisti italiani e le loro relative opere: i Giardini Sotterranei di Baldassarre Forestiere (Fresno, California), le Watts Towers di Sabato Rodia (Los Angeles) e il Castello Incantato di Filippo Bentivegna (Sicilia). Queste opere, ha spiegato Fiore, sono eccezionali per modernità, tecniche di costruzione e senso estetico. Inoltre le accomuna un recupero della memoria “in movimento”, una memoria legata non solo alla terra d’origine, ma anche all’esperienza di migranti negli Stati Uniti condivisa dai tre artisti, tutti lavoratori edili con un livello base di scolarizzazione. E così come per i 27 di When the Curtain Never Comes Down, anche Forestiere, Rodia e Bentivegna hanno fatto delle loro opere la loro vita e della loro vita un’arte, scegliendo per di più, come spiega Fiore, di “abitare le loro visioni architettoniche”.
Nel mettere in luce il valore – estetico e intrinseco – della cosiddetta Art Brut (o Arte Grezza), con questa mostra l’American Folk Art Museum si lega ad una sempre crescente attenzione che questo genere sta richiamando a livello internazionale. Anche in Italia, dove le molte bellezze dell’arte tradizionale facilmente rubano la scena a realtà alternative, si cominciano ad accendere dei riflettori importanti sui self-taught artists. Un esempio ne sia il lavoro di Eva di Stefano, fondatrice dell’Osservatorio Outsider Art di Palermo, dedicato, come si legge dal sito ufficiale, “alle forme di arte spontanea, clandestina, irregolare, eccentrica, creata da autori culturalmente, mentalmente o socialmente emarginati, e a tutte quelle espressioni artistiche che si manifestano fuori dai percorsi convenzionali e dai circuiti culturali istituzionalizzati”. Tra le iniziative più recenti del centro spicca Heterotopias, conferenza annuale dell’European Outsider Art Association, tenutasi di recente in Sicilia con un successo da “sold out”.
When the Curtain Never Comes Down, in mostra ancora fino al 5 luglio all’American Folk Art Museum, è un allestimento da non perdere. La sua forza espressiva è toccante, a tratti sconvolgente per il dramma che racconta, ma profondamente affascinante e sorprendente nel rivelare la leggerezza e la gioia di questi artisti. Nelle loro opere inoltre, precisa la curatrice Valérie Rousseau, si può leggere una caricatura della nostra società, un rimando in forma amplificata delle nostre piccole e grandi aberrazioni quotidiane, filtrate dalle lenti di coloro che, forse con troppa facilità, cataloghiamo come “outsider”. Una lezione preziosa che spinge a rivalutare il concetto di normalità e a riflettere sull’importanza, anche terapeutica, dell’arte come necessità espressiva dell’uomo.