Dopo 11 anni di cantiere, Renzo Piano è felice e triste. Così ha detto ai giornalisti all’incontro stampa organizzato per presentare in anteprima il nuovo Whitney di New York. Felice di inaugurare la sua nuova opera, triste come quando si torna a casa dopo un viaggio.
“Io lo chiamo Whitney, non nuovo Whitney perché, anche se non è facile, questo rimane il Whitney” ha detto l’architetto alla presentazione giovedì mattina. Il riferimento è allo storico edificio progettato da Marcel Breuer che ha ospitato il famoso museo americano dal 1966 fino allo scorso autunno e che resta nei cuori di newyorchesi e degli amanti dell’arte, nonostante presentasse diversi problemi dal punto di vista espositivo.
La nuova sede del museo non farà rimpiangere la vecchia. Gli spazi sono studiati con attenzione, gli ambienti sono accoglienti e in grado di valorizzare le opere d’arte, il percorso espositivo è fluido e, grazie ai tanti punti vetrati e terrazze, in continua interazione con l’esterno e la città. Le opere sono ben illuminate ed esposte in modo spazioso garantendo un’esperienza di fruizione avvolgente senza mai essere soffocante. Con pareti mobili, soffitti a pannelli apribili e diverse possibili combinazioni che permettono usi diversi degli ambienti, gli spazi sono improntati alla flessibilità e in grado di ospitare tutte le forme e i linguaggi artistici della contemporaneità.
Il museo, che aprirà ufficialmente il 1° maggio con una festa che coinvolgerà l’intero isolato occupato dall’edificio su Gansevoort Street, nel Meatpacking, e la cui inaugurazione sarà salutata anche dall’Empire State building con illuminazioni speciali nel corso della notte, si sviluppa su otto piani con sesto e settimo dedicati alla collezione permanente, mentre il quinto, dove si terranno le mostre temporanee, è attualmente la galleria più grande di New York. Un teatro, una sala per le proiezioni, una caffetteria, un centro didattico, numerosi terrazzi utilizzati per l’esposizione delle opere, ampi spazi dove i visitatori possono sedersi e godersi la vista sull’Hudson, completano l’offerta di un edificio che è un poco una città dell’arte.
Parlando della lobby, Renzo Piano l’ha definita “piazza”, perché, ha spiegato, “sono italiano e perché è uno spazio pensato per accogliere la gente, senza barriere tra il dentro e la città”. A La VOCE l’architetto ha poi spiegato che questa apertura verso l’esterno è un “concetto umanistico”. “L’edificio, invece di prendere possesso del terreno, lo restituisce alla città – ci ha spiegato Piano – Questo è uno spazio che è comunicante e fluido rispetto al contesto esterno. La linea di proprietà arriva alla fine del marciapiede e quindi avremmo potuto spingerci più avanti e chiudere, invece questo è un edificio che respira. Non vuole intimidire”.
Piano ha poi commentato con i giornalisti l’esperienza di lavorare negli Stati Uniti, un’avventura cui l’architetto, che a New York ha già firmato diversi edifici, tra cui l’espansione della Morgan Library, non è nuovo. “Mi piace l’America e mi piace lavorare in America, ma mi piace anche lavorare in Europa. Non ci sono poi tante differenze, le persone creative sono persone creative dovunque”. L’architetto ha poi spiegato che parti dell’edificio sono state realizzate in Europa, alcune in Italia, e altre negli USA. Ma lavorare in quella parte di New York in continua trasformazione e così aperta alle arti come è il Meatpacking, è stato particolarmente stimolante per Piano: “Questa parte della città, tra Chelsea e l’infinito che si apre verso il fiume e al mondo, è interessante”. Piano ha più volte enfatizzato la particolarità del sito che, secondo l’architetto, da una parte è in dialogo con la città, dall’altra “guarda verso il far west, che poi se visto da un altro lato è anche far east, quindi è il resto del mondo”, ha detto l’architetto.
La progettazione del Whitney è stata improntata a quel principio di libertà che l’arte americana esposta nel museo rappresenta e promuove. “Fare un edificio per l’arte americana significa celebrare la libertà. E questo edificio è un po’ selvaggio, non molto educato, ma celebra bene quell’idea di libertà” ha detto Piano che ha anche spiegato come nella sua tradizione europea ci sia un senso di gratitudine per la storia ma anche un senso di ribellione e libertà. “Spero che in questo edificio si senta la libertà” ha detto l’architetto. Proprio per celebrare la sua “americanità”, dal giorno dell’apertura fino al 27 settembre, il museo esporrà la mostra America Is Hard to See, una ricerca all’interno dell’identità americana, attravero i suoi linguaggi artistici.
Durante la giornata di presentazione alla stampa, il team di progettazione si è messo a disposizione dei giornalisti per illustrare il progetto e gli spazi. Guidati da Elisabetta Trezzani, del Renzo Piano Building Workshop, che dell’edificio conosce ogni minimo dettaglio e ne parla con evidente orgoglio e un affetto quasi materno, abbiamo avuto modo di fare una dettagliata visita del museo.
“La sfida più grande – ci ha detto Trezzani – è stata trovare qualcuno che realizzasse alcuni dei componenti architettonici dell’edificio come i pannelli in acciaio che compongono parte della facciata e che sono lunghi 70 piedi l’uno. Alla fine li abbiamo fatti realizzare in Germania. Inoltre queste gallerie con spazi anche non rifiniti sono una novità per noi e quando facciamo cose nuove facciamo sempre dei modelli, in scala 1:1, che chiamiamo mock-up per vedere se funzionano. Il mock-up delle gallerie è stato realizzato a Brooklyn”.
L’edificio ha un certa asprezza quasi spartana ma allo stesso tempo riesce a dare vita a spazi articolati, raffinati e leggeri, sfruttando la luce e il movimento. “Abbiamo progettato anche altri musei, ma questo ha un’identità propria – ha spiegato ancora Trezzani – Rispetto, per esempio, al museo di Harvard, è un altro mondo. Sapevamo che non avremmo potuto usare il livello di dettaglio che siamo soliti usare in altri nostri progetti”. Spazi interni ed esterni sono in continua comunicazione anche grazie a un sistema di scale e passaggi che consentono di muoversi tra un piano all’altro dalle terrazze esterne da dove la vista sulla High Line, sul fiume e sulla città vale di per sé la visita. “Ci piaceva l’idea di avere la stessa visuale da differenti altezze: permette di vedere la città e la High Line da diversi punti di vista” ha concluso Trezzani.
L’edificio si va ad aggiungere allo skyline di New York vista dall’Hudson, il volto più moderno di una città la cui continua evoluzione è sempre più plasmata da istituzioni culturali in grado di trasformare non soltanto il tessuto architettonico dei quartieri, ma anche quello sociale. Con l’aggiunta del nuovo Whitney, il Meatpacking si impone definitivamente come nuova mecca culturale della Grande Mela.