Si è conclusa domenica 23 a Venezia la 14ª edizione della Biennale di Architettura, che si è fortemente differenziata dalle precedenti per la sua resistenza nel rendere omaggio alle grandi “archistar” dell'architettura contemporanea, con i loro esperimenti formali e tecnologici. A curarla è stato proprio il fratello maggiore di tutte le “archistar”, Rem Koolhaas, rappresentante di un'intera epoca di ricerca e sperimentazione e indiscutibilmente la figura più influente (amata o no) degli ultimi cinquant'anni di architettura.
La nascita della Biennale di Architettura di Venezia risale al 1980, con una mostra intitolata La Presenza del Passato in cui Paolo Portoghesi decretò sostanzialmente la formulazione del concetto di postmoderno. L’esibizione venne aperta dallo stesso Koolhaas, allora giovane architetto olandese, con l’installazione nella Strada Novissima di una facciata ondulata che sembrava proiettarsi nel futuro dimostrando di voler andare oltre il postmoderno, ignorando il passato. Quattordici edizioni dopo lo ritroviamo curatore della Biennale 2014, come a chiudere simbolicamente quella strada e decretando cosi la fine di un'era. Rem ha voluto riavvolgere il nastro riportando tutto al punto di partenza, ai Fundamentals, tema progettuale da lui scelto per curare l’esibizione. È proprio con questo filo rosso che vogliamo rintracciare gli indizi del cambiamento e analizzare gli esiti di questa edizione che ha raccolto commenti e pareri contrastanti tra le migliaia di visitatori che, da giugno, hanno popolato le strade dei Giardini e i meravigliosi spazi dell’Arsenale.

The presence of the past, Venezia 1980. Proposta di Rem Koolhaas
Per qualsiasi architetto, curare la Biennale di Venezia sarebbe una sfida tanto ambiziosa quanto pericolosa; negli ultimi anni molti tentativi si sono rivelati fallimentari e non a caso, lo stesso architetto olandese aveva rifiutato più volte l’incarico in passato. Ma è proprio grazie a lui che quest’anno i temi tornano ad essere forti e chiari e, senza ricorrere alla solita sfilata di “edifici trofeo”, i visitatori sono intrattenuti, educati, stimolati, e contemporaneamente sembra essere fissato un nuovo standard curatoriale per le mostre future. Se le biennali in passato si sono spesso dedicate a celebrare l’architettura contemporanea, questa volta il focus si sposta sulla storia, con l’intento di indagare lo stato attuale dell’architettura ritornando alle origini, gli archetipi della disciplina e, da qui, immaginarne il futuro.
La mostra si trasforma quindi, sotto la guida del curatore, in una vera e propria indagine in un momento storico in cui la ricerca è spesso messa da parte e le intuizioni sembrano essere prive di quelle solide teorie su cui la grande architettura si è basata in passato. Quegli elementi imprescindibili utilizzati da sempre in ogni edificio, da qualsiasi architetto e in ogni luogo, sono stati analizzati al microscopio in stanze dedicate ciascuna ad un singolo elemento. Nel titolo Fundamentals leggiamo implicita la proposta di fare piazza pulita per tornare alle basi. È una mostra sull'architettura non sugli architetti, dice Koolhaas, ed è proprio questo l’aspetto culturale più evidente che la fa prescindere dal solito ghetto di mostre di architettura.
Nel Padiglione Centrale dei Giardini viene descritta l’evoluzione degli ultimi cento anni di architettura in una mostra chiamata Elements of Architecture, firmata dall’architetto olandese e caratterizzata da una lunga ricerca fatta da lui in collaborazione con la Harvard Graduate School of Design (dove insegna da molti anni), in cui la scarna visione di quelle parti che insieme compongono un edificio viene messa in vetrina, suggerendo al mondo contemporaneo pragmatici riferimenti alla disciplina. Un’iniziativa senz’altro coraggiosa e, per certi versi, innovativa con cui ripercorrere la storia e lo sviluppo dell’architettura dell’ultimo secolo, da un nuovo punto di vista, quello degli elementi che la compongono, cercando di sanare il rapporto tra architetti, civiltà e scienza (dell’architettura).

Fundamentals, Venezia 2014. L’architetto Rem Koolhaas
È proprio Koolhaas che afferma: “La comparsa di un nuovo elemento è rara; la maggior parte sono re-invenzioni (…) il fatto che gli elementi cambino in modo indipendente, secondo diversi cicli ed economie e per svariati motivi, trasforma ogni progetto architettonico in un complesso collage”. Sollecitandoci in questo modo ad analizzare il nostro metodo di progettazione e portarlo più in profondità fino ad arrivare al DNA di ognuno di questi elementi, alle origini e alle prime contaminazioni. Guardare a questi elementi in questa forma rigida, isolandoli in precisi momenti della loro evoluzione, risulta straordinariamente interessante e contribuisce ad una riflessione oggi necessaria.
L’esibizione non offre risposte o alternative, ma prefigura astutamente le tendenze future, e Koolhaas ancora una volta sembra precedere i suoi colleghi girando pagina e lasciando carta bianca a chi scriverà il prossimo capitolo della storia dell’architettura. Da genio del marketing, ha confezionato questa Biennale sottoilineando un concetto semplice e già da qualche tempo nell’aria: quello del ritorno alle basi, alle origini appunto degli elementi, per ripartire da lì, ma arricchiti dallle conoscenze, invenzioni e scoperte del nostro tempo. In quest’ottica, sembrerebbe non esserci molto di innovativo dai tempi di “S,M,L,XL”, quella sorta di Bibbia della modernità architettonica scritta proprio da Koolhaas nel lontano 1995 e considerata, a ragione, il manifesto architettonico a cavallo tra i due millenni. Eppure un cambiamento deciso l’abbiamo notato: due decenni dopo ci troviamo a far fronte ad una recessione che non è solo economica ma soprattutto ideologica; le incrollabili certezze sulle quali si era fondata la modernità, quei principi e quelle regole, oggi sembrano essere crollati, tutto sembra essere frammentario e fluido ed ecco che allora l’unico modo per ripartire è andare oltre la contemporaneità riscoprendo i fondamenti.
Con un nuovo sguardo notiamo che le "archistar" non sono che ingranaggi di quella grande macchina che è l'economia, e sotto quest'ottica, l'architettura non è altro che una mediazione tra la politica e il flusso dei capitali. L’architettura degli ultimi decenni è stata caratterizzata da corpi fluidi e mutevoli che sfiorano l'astrazione estetica, affermando così che le strutture, come la società, continueranno a cambiare radicalmente. La Biennale rivela che oggi non esistono stili. L'arte, la letteratura, il cinema, l'architettura sono diventate pratiche culturali, politiche e sociali tese ad adattare e accompagnare quelle esigenze di vita di un mondo in rapida evoluzione e sviluppo. Rem ci ha quindi invitati a tornare all'alfabeto architettonico, con un procedimento quasi catartico che sembrerebbe contraddire le tendenze degli ultimi decenni, quasi a denunciare il pentimento di una generazione di cui, l’architetto olandese, è stato il principale teorizzatore.