Se vi è qualcuno che nella sua vita abbia impersonato alla perfezione lo stereotipo o la parte dell’artista maledetto questi è stato, sicuramente, Amedeo Modigliani la cui vita, bruciata nel giro di soli 35 anni, ha finito per essere trasformata in risorsa per il ruolo attoriale in un cinema spettacolare e drammatico come, tra gli altri, nel film più recente I colori dell’anima di Mick Davis nel 2005 (gli altri film sono stati Montparnasse di Jacques Becker nel 1958 e Modì di Franco Brogi Taviani nel 1990).
Ciò che, invece, qui si vuol porgere al lettore non è la biografia ma il senso di quell’unicum, sorto dall’esperienza interiore dell’artista, che lo ha reso uno fra i più rappresentativi dell’arte del ‘900 europeo, pur non rinunciando ad osservare come nel deserto di memoria storica che, ormai da troppo tempo, caratterizza la miseria morale e intellettuale in cui è caduta la politica culturale in Italia, non esista nemmeno una targa commemorativa sul portone della casa che ha visto i natali di Amedeo Modigliani nella sua città di Livorno.

Moïse Kisling Ritratto d’uomo (Jonas Netter) 1920 Olio su tela, cm 116 x 81 Firmato in basso a sinistra © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset © Moïse Kisling by SIAE 2013
Amedeo Modigliani torna, ancora una volta, ad essere protagonista nella mostra a cura di Marc Restellini che si è già svolta a Palazzo Reale di Milano e alla Pinacothèque de Paris e che ora prosegue a Roma fino al 6 aprile 2014 a Palazzo Cipolla Museo Fondazione Roma, in via Del Corso. La mostra intitolata Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La Collezione Netter, con più di 120 opere in esposizione, ricostruisce il percorso del grande artista livornese insieme agli altri artisti che vissero con lui e condivisero un periodo decisivo della storia dell’arte nei sobborghi del quartiere parigino di Montparnasse agli inizi del Novecento: Soutine, Utrillo, Suzanne Valadon, Kisling e molti altri. Si tratta di molti artisti, tutti quanti ebrei come Modigliani nato in una famiglia di ebrei sefarditi, sostenuti e finanziati da un grande collezionista, d’estrazione ebraica anche lui, Jonas Netter che, affascinato dall’arte e dalla pittura, ne acquistò i capolavori nell’arco di tutta la sua vita, “diventando un amateur illuminato e acuto riconoscitore di talenti, grazie all’incontro col mercante d’arte e poeta polacco Léopold Zborowski, anch’egli ebreo”.

Suzanne Valadon Tre nudi in campagna 1909 Olio su cartone, cm 61 x 50 Firmato e datato in basso a destra © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset
“Modigliani era sbarcato a Parigi nel 1906 sentendo che quello era il posto dove avrebbe potuto salvare il suo sogno”. Sono quegli anni che, come scrive il curatore Marc Restellini, “corrispondono a un periodo di emancipazione e di fermento che ha pochi eguali nella storia dell’arte. Ovunque in Europa era in corso una rivoluzione estetica, preludio a un’evoluzione dei costumi; ed è a Parigi, l’unico luogo al mondo in cui la rivolta ha il diritto di cittadinanza, prima a Montmartre e poi a Montparnasse, che quegli artisti – tutti ebrei – si sono ritrovati per tentare la sorte”.
Il grido della rivolta era echeggiato già, fin dal secolo precedente, nella stagione all’inferno del poeta francese Arthur Rimbaud: “la vita è assente, noi non siamo al mondo”. L’angelo della storia avrebbe lasciato al suo passaggio soltanto macerie, dopo due guerre mondiali e una disperata volontà di sopravvivenza, ne sarebbe uscito un mondo in cui non risulterebbe esserci altro ormai che un’apparenza di vita; nel dominio della morte di massa e dell’indifferenza per la sorte d’ogni singola esistenza individuale, la vita non può essere altro che assente e noi non siamo al mondo.

Henri Hayden Bevitore bretone 1911 Olio su tela, cm 91 x 64,5 Firmato e datato in basso a sinistra © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset © Henri Hayden by SIAE 2013
Con le più varie motivazioni un’intera generazione di artisti, non per caso tutti ebrei, ebbe il presentimento tragico e angoscioso, agli inizi del XX secolo, di che cosa sarebbe diventata la storia del mondo in quel secolo, ed al moto infernale di quella storia provò ad opporre il contromovimento dell’arte, questa volta, intrinsecamente congiunto alla sregolatezza d’una vita in rivolta.
Quel che sarebbe rimasto, alla fine, travolto nel corso della rivoluzione estetica, avviata sin dal primo decennio del nuovo secolo in Europa, fu l’idea-cardine della tradizione in cui si era sempre riconosciuta la razionalità dell’esercizio artistico, come mimesi della realtà: da quel momento in poi non avrebbe avuto senso riprodurre forme dalle quali la vita s’avvertiva assente, divenute soltanto spoglie esteriori di un mondo che l’inesorabile “progesso” della storia avrebbe reso privo d’anima e sempre più meccanizzato. “Il mondo sta per finire – aveva scritto Baudelaire – La sola ragione per la quale potrebbe durare è che esiste. Come è debole questa ragione, paragonata a tutte quelle che annunziano il contrario…”.

Chaïm Soutine La pazza 1919 circa Olio su tela, cm 87 x 65,1 Firmato in basso a sinistra © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset © Chaïm Soutine by SIAE 2013
L’arte non deve più imitare la vita assente dal mondo corrotto della simulazione e del calcolo, dell’industria e dell’utilità, dove “ogni cosa intorno è impregnata di bruttezza e annega nella menzogna” (H. Van de Velde, Per il nuovo stile) ma deve esprimere la vita che essa stessa contiene già in sé e che esiste in un mondo che ha vita dentro l’anima dell’artista o, che sorge per la prima volta come se, ab origine, nascesse vergine e primitivo dall’esperienza della sua rivolta interiore. Amedeo Modigliani fu tra i primi artisti della nuova generazione agli esordi del ‘900 che tradusse il presupposto iniziale del primitivismo nell’arte in elaborazione di nuove soluzioni a problemi formali ed espressivi. La rappresentazione del mondo primitivo tendeva al recupero utopistico di un eden perduto, a baluardo della corruzione della società moderna. L’esempio offerto dai paesaggi tahitiani di Gauguin conobbe differenti declinazioni: dall’atemporalità classica dell’idillio campestre nelle opere di Matisse fino all’inquieta mescolanza di critica antiborghese e rappresentazione del “diverso” nei pittori tedeschi del gruppo Die Brücke o, come nei ritratti qui di Chaim Soutine presentati ed esposti nella mostra della Collezione Netter a Milano e a Roma.

André Derain Le grandi bagnanti 1908 Olio su tela, cm 178 x 225 © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset © André Derain by SIAE 2013
Con Modigliani il confronto con le arti primitive insiste sulle qualità “innate” di semplicità delle forme, elementarità degli schemi, espressione primigenia e incontaminata di completa libertà plastica. Si tratta di quel genere d’assonanze che di norma gli osservatori stabiliscono tra le sculture di Modigliani e le ampie convessità alle maschere Guro della Costa d’Avorio. Questo tipo di discendenza formale predilige l’indagine sui volumi chiusi e sulle forme pure che dalla scultura trapassa alla pittura dell’artista livornese, dove si afferma il primato della linea ma il disegno assume una funzione anticonvenzionale, qual pare configurarsi per esempio sul tema prettamente scultoreo, disegnato e dipinto, delle cariatidi, pervenuto a vertici di perfezione assoluta in Cariatide blu, matita blu su carta del 1913. Il disegno nell’arte di Modigliani non rispetta affatto i canoni dello studio preparatorio o di progettazione dell’opera quanto, invece, diviene protagonista del lavoro inteso come percorso di purificazione formale verso l’essenzialità costruttiva della linea.

Jeanne Hébuterne Adamo ed Eva 1919 Olio su cartone, cm 81,5 x 59,8 Firmato al recto © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset
Tale ritorno d’una funzione creativa del disegno nell’arte moderna è testimoniato anche da opere come Le grandi bagnanti del 1908 di Derain, dal potente connotato ritmico-espressivo o, nel suo valore più limpidamente descrittivo nel dipinto Tre nudi in campagna del 1909 di Suzanne Valadon o, ancora ingenuamente narrativo come in Adamo ed Eva, olio su cartone del 1919 di Jeanne Hébuterne.
Ma a catturare, maggiormente, e a magnetizzare il pubblico restano, ancora oggi, soprattutto questa fluidità, morbidità ed eleganza delle linee, che distinguono e staccano il disegno di Modigliani da quello di qualsiasi altro artista e, che lo rendono unico ed inimitabile. Disegno, peraltro, risolto in superfici assorbenti luminosità soffuse con raffinata gamma cromatica, sebbene lontana da cromie tradizionali, avendo Modigliani assimilato i principi cromatici applicati da Gauguin, da Cézanne e, in modo rivoluzionario, dai nuovi movimenti artistici dell’Avant-guarde.

Amedeo Modigliani Elvire con colletto bianco (Elvire con collettino) 1917 o 1918 Olio su tela Firmato in alto a destra, cm 92 x 65 © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset
E tuttavia Modigliani svetta in una sorta di solitudine gloriosa, un’originalità davvero senza pari; egli s’accosta alla mostruosità geniale di Picasso (Les Demoiselles d’Avignon sono del 1907) senza che la sua volontà artistica ne abbia risentito o rinunciato, nemmeno per un istante, a tendere verso il compimento di un’opera che soltanto un italiano avrebbe potuto ostinarsi ad inseguire.
Picasso, e l’avanguardia cubista, fanno del disegno uno strumento analitico di scomposizione, e di ricomposizione mentale, delle volumetrie sintetiche d’ascendenza cézaniana mentre Modigliani, seguendo la sua personalissima vocazione suscitata, forse, dalla passione intensa per i maestri della pittura gotico-senese del ‘300, traduce il disegno toscano in linea pura, elemento di sintesi carico di valore estetico in sé. Linea, superficie e colore entrano fra loro in trame di relazioni così sofisticate ed, al tempo stesso, così trasparenti nei ritratti di Modigliani da produrre un genere di composizione figurativa e astratta (o astratto-figurativa) senza mai recedere verso il mimetismo del ritratto naturalistico tradizionale, o verso l’astrazione pittorica priva di qualsiasi eco figurale che, secondo l’artista, rappresenta “una dimensione senza uscita” dell’arte prima della sua sparizione nella vita senza forme o nelle forme senza vita della società moderna.

Amedeo Modigliani Ritratto di Jeanne Hébuterne (Jeanne Hébuterne au henné) 1918 Olio su tela, cm 100 x 65 Firmato in alto a destra © Pinacothèque de Paris

Amedeo Modigliani Ritratto di Soutine 1916 Olio su tela, cm 100 x 65 Firmato in basso a destra © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset
Le persone ritratte nei quadri di Amedeo Modigliani prendono forma e, insieme, vita attraverso uno strano e misterioso contrasto con la stilizzazione estrema, appunto, fin quasi alle soglie dell’astrazione, di figure, operata mediante l’allungamento dei tratti del viso e del corpo che, per certi versi, rimanda alla deformazione manierista ma, per altri versi, imprime un carattere sintetico astraente alla raffigurazione (come nell’arte egizia che Modigliani amò e studiò nelle sezioni etnografiche delle sale al Museo del Louvre e del Trocadero) determinato dal rigetto della mimesi o della copia della realtà, avvertita come forma inferiore di raffigurazione e di conoscenza, che cade nella contingenza del divenire, anziché svolgersi nel senso eterno dell’essere.
I ritratti scaturiscono dalla concentrazione sull’essenza assoluta del modello; occhi vuoti e a mandorla, vaghe ambientazioni prive di particolari significanti, atmosfera sospesa e senza tempo in cui le linee che definiscono le forme corrispondono, secondo l’acuto giudizio critico di Jean Cocteau, alla linea interiore dell’artista.

Amedeo Modigliani Ritratto di Zborowski 1916 Olio su tela, cm 46 x 27 Firmato in alto a destra © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset
Figure come quella di Jeanne Hébuterne, di Zborowski, di Soutine e di altri personaggi ritratti da Amedeo Modigliani non sono tracciate con una linea che delimiti forme visibili, e ricostruibili nella percezione ottica della realtà oggettuale, bensì con la delineazione di un disegno interiore.
Mi sembra, in particolare, che la linea, per la creazione pittorica di Amedeo Modigliani, sia stata come l’intonazione per la parola nella musica ebraica, veicolo essenziale di comprensione che ci permette di scoprire ciò che sta al di là della lettera o è nascosto nella lettera stessa, e così parimenti il disegno ci permette di “vedere” ciò che sta al di là o è nascosto nelle spoglie esteriori del visibile fenomenico stesso.
La linea come la struttura melodica del canto che genera un organismo musicale di senso compiuto ridiventa, grazie al disegno di Modigliani, una delle componenti fondamentali del linguaggio figurativo e di un’arte in rivolta contro la raffigurabilità convenzionale del volto umano divenuto irriconoscibile nella sua effimera esistenza votata, da lì a pochi anni, alla morte di massa durante la prima guerra mondiale e, in specie, per gli ebrei al genocidio della seconda guerra mondiale.

Amedeo Modigliani Ritratto di ragazza dai capelli rossi (Jeanne Hébuterne) 1918 Olio su tela, cm 46 x 29 Firmato in basso a destra © Pinacothèque de Paris
Il disegno dunque si fa libera ricomposizione della figura umana che, invece d’essere abolita nella morte dell’astrazione totale, viene ricreata per entro il vissuto dell’artista o, in altre parole, rivissuta nell’intimo della sua anima come eco lontana, attraverso il ricordo, d’una melodia struggente e inafferrabile che, però, quasi per magia, è pervenuta a fissarsi per sempre sulla tela e, infine, così ad esteriorizzarsi, commutando l’invisibile nella pura visibilità dell’arte.
*Beniamino Vizzini nasce a Palermo nello stesso anno in cui escono Minima Moralia di Th.W. Adorno in Germania e L’uomo in rivolta di Albert Camus in Francia. Attualmente vive in Puglia. Fondatore con Marianna Montaruli e direttore della rivista Tracce Cahiers D'Art, curatore editoriale dal 2003 delle Edizioni d’arte Félix Fénéon. Cultore dell’autonomia dell’arte, concepisce l’esercizio della critica secondo le parole di O. Wilde come “il registro di un’anima”, decidendo di convertire questa sua passione in impegno attivo soprattutto sul versante pubblicistico-editoriale della comunicazione intorno all’arte ed alla storia dell'arte. edizionidartefelixfeneon.blogspot.it