Ancora una volta per apprezzare l’Italia, le sue bellezze artistiche e paesaggistiche bisogna essere a New York, per la precisione presso l’Italian Academy for Advanced Studies della prestigiosa Columbia University. E’ qui infatti, che la Compagnia San Paolo ha promosso mercoledì scorso, la conferenza “Inventing the landscape” tenuta dalla prof.ssa Anna Ottani Cavina.
Nominata anche alla “Légion d’honneur” della repubblica Francese nel 2001, la professoressa dirige la Fondazione Federico Zeri, è titolare di una cattedra in arti visuali presso l’Università di Bologna ed è anche docente aggiunto di storia dell’arte italiana presso la Johns Hopkins University SAIS Bologna Center. La conferenza, presentata dalla coordinatrice della Casa Italiana della Columbia University, Abigail Asher e introdotta ufficialmente dal prof. Francesco De Angelis, ha certamente catturato l’attenzione di tutti i presenti. La naturalezza e capacità con cui la prof.ssa Ottani Cavina è riuscita a trasmettere al pubblico presente in sala, elementi significativi di quadri d’autore come William Turner o Arnold Bocklin, ha affascinato e incuriosito tutti. Molto interessante infatti, la scelta di fare una lezione sulla pittura del paesaggio italiano, da Thomas Jones a Corot, soprattutto perché è sempre insolito, scoprire pur trattandosi di quadri molto famosi, come questi grandi artisti interpretavano nel corso dei secoli un paese così, paesaggisticamente vario come l’Italia.
La prof.ssa Ottani Cavina ha in modo esaustivo descritto anche come, la pittura paesaggistica si è modificata e trasformata negli anni, scendendo nel dettaglio su alcuni dei dipinti che ha commentato.
“Non voglio fare una lezione sulla pittura paesaggistica dell’Italia, sarebbe troppo lunga e non è di questo che vi parlerò oggi” ha iniziato così il suo discorso “in questa occasione invece, mi piacerebbe sottolineare, come un paesaggio dipinto non è mai uno specchio di quello che realmente vediamo, ma è, come già possiamo immaginare, un paesaggio culturale, di idee. Alcuni artisti sono riusciti a rivelare tutto ciò che è nascosto, non visto, in modo tale da rendere visibile un certo tipo di paesaggio italiano, grazie ad una trasposizione iconica, che arriva a noi tramite i loro dipinti”. La prima immagine commentata è quella dello splendido Il campanile di San Marco e Palazzo Ducale, (1819) di William Turner. Questo pittore inglese è stato artefice di un’autentica rivoluzione pittorica, proprio perché come anticipato dalla prof.ssa Ottani Cavina, è riuscito a mostrare gli aspetti più segreti del sublime spettacolo della natura. Nella formazione artistica e poetica di Turner, l’Italia ha avuto un ruolo fondamentale. Il pittore inglese fu infatti profondamente affascinato da questo paese e dalla sua tradizione artistica tanto che, durante tutta la sua vita, non smise mai di studiare le opere dei maestri antichi e moderni e si recò in Italia molte volte trovandovi l’ispirazione per alcuni dei suoi più celebri capolavori.
Il campanile di San Marco e Palazzo Ducale, (1819) di William Turner
“Voglio mostrarvi come l’Italia costituisse all’epoca per gli artisti un mondo incantato, all’inizio del XIX secolo” ha poi continuato “ho scelto tre casi per rappresentare questo fenomeno: l’immagine di Venezia, bellezza etera e immateriale, come si può vedere da questo quadro di Turner, il secondo è il paesaggio della campagna romana ed il suo scenario botanico talvolta che non ha nulla a che fare con la realtà e terzo le nostre montagne, la vera cattedrale del mondo, per citare il grande Ruskin”. C’è riuscita benissimo a raccontare questi tre elementi. In particolare quando è passata al dipinto di Nicholas Pouissin Ashes of phocion (1648) “la campagna romana, è stata dipinta da artisti molte volte, tanto da essere arrivati a dire che il paesaggio al di fuori di Roma sia stato letteralmente consumato dalla matita dei pittori. Poussin è stato certamente uno dei più e profondi esploratori della natura, ed uno dei lait motif della sua storiografia sia nelle leggende che nella realtà è stato quello della campagna romana, che lui era solito attraversare con amici o da solo, per assaporare queste incantevoli aree intorno alla città di Roma. C’è ovviamente un grande gap tra ciò che veramente era la campagna romana in quel periodo e ciò che è rappresentato da Pouissin” l’artista infatti dava una vera struttura ai suoi quadri, creando delle convenzioni poi seguite da altri pittori che si sono ispirati a lui. Un secolo dopo infatti, avviene la cosiddetta “cristallizzazione” con Jean Baptiste Camille Corot che basandosi sulla esperienza personale di Pouissin con la campagna agropontina, dipinse un secolo dopo il Tevere nel suo La promenade de Pouissin (1826-1828). “In questo quadro Corot celebra Pouissin come una sorta di divinità, così come poi successivamente fece anche un altro celebre artista francese Paul Jean Flandrine, che ha ritratto l’artista all’opera sulle rive del Tevere” ha spiegato la prof.ssa Ottani Cavina. L’esperienza personale con la natura di Pouissin ha trasmesso poi ai suoi successori la purificazione del paesaggio, che è rimasta unica nella storia dell’arte. Poi alla fine del XVII secolo, avviene il turning point, per la pittura paesaggistica, perchè gli artisti escono dai loro studi e iniziano a dipingere fuori, alla plain air. Con la diffusione della filosofia di Shelling e Rosseau, i pittori cominciano a desiderare un contatto più “forte” e diretto con la natura. “Cercando un punto di fusione tra ciò che vedevano e le loro emozioni”. Un cambiamento culturale quindi e artistico, che rivoluzionerà per sempre il futuro della pittura paesaggistica, perché creerà una nuova relazione degli artisti con la natura. Così anche le montagne possono essere ritratte in modo più realistico, perché non costituiscono più un “enigmatico posto desertico infestato da demoni e draghi come nel Medioevo, ma cominciano a diventare un luogo, dove le persone vanno realmente” conferma la prof.ssa mostrando il quadro di Durer, Veduta di Trento (1494), considerato manifesto del paesaggio alpino. Con John Ruskin invece, le montagne sono celebrate come “the great cathedral of the world”, nei suoi quadri questi luoghi sono descritti come se fossero sacri. Importante poi la scelta di terminare l’excursus con lo stravagante Vesuvius di Andy Warhol (1985) con cui la prof.ssa Ottani Cavina ha confermato il fulcro della stessa lezione e cioè, che la natura ha una sua straordinarietà ma “sono i pittori che nelle loro opere danno forma ai paesaggi”.
Discussion about this post