Quando si parla di Giappone e fotografia, il primo pensiero della collettività probabilmente vola alle grandi aziende produttrici di macchinette fotografiche; invece non tutti sanno che il Giappone ha vissuto una stagione molto importante e ricca dell’arte, proprio legata alla fotografia. Un’interessante mostra a Venezia, con 150 opere, propone un viaggio tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento attraverso questo genere, svelando come ci siano stati degli eccezionali e raffinatissimi interpreti giapponesi oltre a quelli occidentali.
Nata in Europa, la fotografia fu subito accolta e sperimentata anche in Giappone grazie soprattutto a un momento storico di rinnovato scambio e contatto con l’America e l’Europa; non è un caso che la fotografia delle origini sia, per esempio, da ricondurre molto all’attività dell’inglese Felice Beato (1833-1907) che, assieme ad alcuni artisti giapponesi, diede vita alla Scuola di Yokohama. In questo caso, il connubio tra Occidente e Oriente fece incontrare una tecnica d’avanguardia come la fotografia con la tradizione giapponese dell’arte grafica producendo stampe fotografiche all’albumina colorate a mano, prodotti raffinatissimi che rasentano l’effetto della moderna fotografia a colori.
Destinate per lo più a diventare un souvenir per viaggiatori, queste raffinate immagini sono anche una preziosa testimonianza della società, dei costumi e del paesaggio giapponese; assieme alle famose produzioni grafiche “ukiyo-e”, la fotografia è stata un veicolo fondamentale per la conoscenza in Europa della cultura e della tradizione giapponese e giocò un ruolo fondamentale nella formazione del “Japonisme” che tanto influenzò l’Occidente.
Un po’ come successe con l’“orientalismo” in Europa dovuto alla scoperta del vicino Oriente attraverso i viaggi e le missioni diplomatiche ottocentesche, molte fotografie in mostra, e in genere, sono da ricondurre alle testimonianze dei fotografi in viaggio attraverso il Giappone così come, al contrario, alcune influenze occidentali nella fotografia giapponese si devono ai soggiorni di molti artisti nipponici in Europa e in America.
La mostra, attraverso diverse sezioni, indaga gli aspetti fondamentali della fotografia come la rappresentazione della natura e del paesaggio, della donna colta nei momenti di vita quotidiana – bellissima la “Donna che si lava i capelli” di Kusakabe Kimbei, considerato il maestro delle fotografie all’albumina colorate a mano – oppure dell’uomo, stereotipato nell’immagine maschile dei samurai o dei lottatori di sumo, oppure ancora la vita comune e le cerimonie religiose. Sicuramente la nascita della fotografia in Giappone seguì di pari passo la necessità dell’Occidente di conoscere questo paese che, dopo quasi tre secoli di chiusura, finalmente si riapriva e si rioffriva al mondo occidentale, ma allo stesso tempo fu in grado di sviluppare un genere autonomo non solo documentale; se le prime produzioni sono state di gusto vojageristico, in poco tempo la fotografia diventa anche il mezzo attraverso il quale il mondo giapponese si ritraeva, dando avvio ad una produzione ad uso “interno” della società.
Questa mostra è un’interessante, piacevole scoperta e lascia nello spettatore le stesse impressioni raffinate di un mandorlo o un ciliegio in fiore.