La scena è nuda. Ogni tanto delle percussioni. Il vento, la sabbia, le onde e un grido che si leva dal fondo del Mediterraneo. Quello di Shauba, giovane africana, come migliaia di altri, annegata mentre fuggiva dal “continente nero” alla ricerca di un mondo migliore. Shauba è arrivata alla sua Lampedusa Beach, sul fondo del mare. E parla con i pesci, le onde, la zia che l’ha spinta a partire perché sognava l’Europa e persino il denigrato capitalismo.
Shauba, interpretata da Nadia Kibout, con l’accompagnamento di Daniele Onorati, che suona l’odoo, antico strumento in ceramica, e la fisarmonica, è la protagonista di Lampedusa Beach, il primo dei lavori presentati alla Casa Italiana Zerilli Marimò da In Scena di Laura Caparrotti e Donatella Codonesu. Arrivato alla dodicesima edizione, il festival, aperto a tutti, porta il teatro italiano in tutti i quartieri di New York e si conclude il 19 maggio all’Istituto di Cultura.
Lampedusa Beach, monologo duro, che ci sbatte in faccia con violenza il dramma delle vittime dell’immigrazione, nel mare che separa l’Africa dall’Europa, è stato scritto da una drammaturga siciliana, Lina Prosa nel 2003 e rappresentato per la prima volta alla Comédie-Française nel 2013. Primo di una trilogia che comprende Lampedusa Snow del 2012 e Lampedusa Way del 2013 ha vinto nel 2015 il premio per la drammaturgia dell’Associazione Critici Teatrali.
Poi lo ha scoperto Nadia Kibout, attrice, autrice e regista franco algerina, e la storia ha cambiato voce. “Quando l’ho letto non ho potuto resistere – ci ha detto alla fine della rappresentazione – e ho deciso che in Italia dovevo rappresentarlo io.” Ci ha lavorato con l’autrice, che ne ha curato la regia, e lo ha trasformato per lei. La storia è divenuta più forte, più vera, con le melodie in arabo, le richieste di aiuto in francese. La storia di un naufragio, uno dei tanti, e mentre Shauba già sprofonda negli abissi, insieme ad altri 700 clandestini, ripensa alla sua vita, al perché si è trovata su quella barca, a quello che è successo. I trafficanti che l’hanno assalita, violentata. Nonostante non ci fosse lo spazio, sbattendola sul tappeto dei corpi degli altri. E per possederla si sono picchiati e hanno scosso la barca che dopo aver ondeggiato violentemente si è capovolta.
Ripensa alla raccomandazioni dell’amata zia Mahama, parla con i pesci e li bacia, si rivolge a Dio e soprattutto fa appello al capo dello stato d’Africa e al capo dello stato Italiano, fa appello a tutti noi che assistiamo inerti al massacro. Che si potrebbe evitare, dice, se gli africani in Europa potessero arrivare in aereo.
“Sono molto legata a questo testo – dice Nadia Kibout – perché affronta una questione dolorosa che non possiamo trascurare. L’ho portato dappertutto in Italia ma anche a Mosca al festival dei monologhi e in Pennsylvania dove l’ho recitato in inglese e questa estate lo farò proprio a Lampedusa.”