Tasmania, romanzo di Paolo Giordano, è stato tradotto in inglese da Antony Shugaar e pubblicato nel 2024 da Other Press. Il New Yorker lo ha inserito tra i migliori libri dell’anno, riconoscendogli la capacità di raccontare “una tensione sotterranea che si risolve in una quieta liberazione, umana e persuasiva”.
Il 28 marzo 2025, lo scrittore de La solitudine dei numeri primi, — esordio letterario vincitore del Premio Strega e adattato per il cinema da Saverio Costanzo nel 2010 — presenta Tasmania alla Rizzoli Bookstore, nel cuore di Manhattan, in un evento organizzato in collaborazione con la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University. Con lui, sul palco, Hisham Matar, scrittore anglo-libico vincitore del Pulitzer per The Return. Nato come Giordano sulle rive del Mediterraneo, anche Matar è entrato nella letteratura attraverso la ferita: entrambi esplorano nei loro romanzi l’incapacità di separare il dolore individuale da quello storico.
Protagonista del romanzo è Paolo, giornalista, forse scrittore, marito di Lorenza, ma ogni identità si sfilaccia tra silenzi e distanze. Gli eventi scorrono ai margini: un vertice sul clima a Parigi, un libro mai scritto sulla bomba atomica, incontri sfocati con amici in crisi. Tutto è in sordina. E proprio ciò che non si dice attraversa la storia: il senso di stanchezza diffuso, la paura di una catastrofe silenziosa, l’inazione di una generazione che osserva ma non agisce. Come ha notato un critico americano, Tasmania “non ha trama, ma costruisce pagina dopo pagina un’intensità sommessa, che trova compimento in “un finale quieto, umano, persuasivo”. Anche il titolo è un inganno: nessuno parte davvero per la Tasmania. È solo una possibilità ipotetica, il luogo calcolato come più sicuro in caso di guerra nucleare. Un altrove remoto, forse salvifico, ma di fatto irraggiungibile.
Il dialogo tra Giordano e Matar si preannuncia come un incontro tra due scritture che attraversano il trauma con passo lento, evitando le spiegazioni, cercando invece una lingua capace di abitare il silenzio. Non per gridare, ma per non dimenticare.