Dopo il grandissimo successo di Parasite, vincitore di quattro premi Oscar, il regista sudcoreano Bong Joon Ho porta al cinema il 6 marzo in Italia, il 7 nei cinema Usa, Mickey 17, film di fantascienza presentato in questi giorni in anteprima al festival di Berlino. Protagonista un improbabile eroe, Mickey Barnes, interpretato da Robert Pattinson. E’ un impiegato “sacrificabile” secondo la sua azienda e viene mandato in avanscoperta su un pianeta ghiacciato in vista di una futura colonizzazione.
Ogni volta che una replica di Mickey muore viene rigenerato un nuovo clone, attraverso una stampante 3D, che contiene i suoi ricordi intatti. Il regista ha affermato: “Ci sono molti casi di incidenti e morti sul lavoro in Corea, anche uomini giovani: se ne parla un po’ sui media e poi scompaiono, finché non succede qualcosa ad un altro. Le persone che fanno lavori pericolosi sono tutti Mickey, e sono in Corea come in Italia. In questo senso il film somiglia molto alla realtà”.
Ma non è l’unico richiamo alla realtà del film. Mark Ruffalo infatti interpreta un miliardario che vuole colonizzare un nuovo Pianeta attraverso questa spedizione di “sacrificabili”. E ricorda molto un certo Musk.
“Mark Ruffalo è un mix di tutti i più orrendi leader che abbiamo oggi, o che abbiamo avuto – ha detto il regista – accanto a lui ho creato un personaggio, interpretato da Toni Collette, che rende tutto ancora più ridicolo e mostruoso. Tutti i dittatori hanno questo strano charme: possono essere i peggiori esseri umani ma quando sono di fronte ad una folla sanno come comportarsi. Diventano seduttivi, affascinanti, sanno come intrattenere le persone. Questo rende tutto più pericoloso, siamo sempre a rischio”.
Negli ultimi anni le produzioni di Seul hanno preso d’assalto il mercato internazionale. La Korea Wave ha portato anche i manhwa, i manga coreani. Parasite ha vinto la Palma d’oro a Cannes, poi l’Oscar al miglior film e alla miglior regia, mettendo sulla carta geografica mentale degli occidentali il cinema sudcoreano. Poi è arrivato il Nobel alla Letteratura 2024: Han Kang, classe 1970, già vincitrice del prestigioso Man Booker Prize International in Gran Bretagna nel 2016 con La vegetariana. E poi c’è Squid Game, serie tv di Hwang Dong-hyuk, che nel 2021 con la prima stagione aveva frantumato tutti i record di visione di Netflix, la piattaforma che la produce. Il 26 dicembre 2024 è finalmente uscita l’attesissima seconda stagione ma non è compiuta: si ferma sul più bello lasciando tutti in ansia per la terza stagione, che uscirà nel 2025 (si parla del 27 giugno).
I nomi sudcoreani sono ostici, la lingua incomprensibile ai più. Ma i temi di questo profluvio di produzione artistica sono universali. In Squid Game, centinaia di poveracci vengono irretiti e convinti a partecipare a una serie di giochi infantili in versione assassina, con il miraggio di un premio finale favoloso. Anche quando capiscono che vengono ammazzati davvero (per il divertimento di un gruppetto di super super ricchi), la fame di soldi e la vita disperata che si lasciano dietro li spingono a insistere.
Come quasi tutta la produzione sudcoreana, oltre alla violenza mostra un paese contraddittorio e ossessionato da tendenze paranoiche. La minaccia è sempre dietro l’angolo (o nel caso del film Parasite vive letteralmente in cantina). Come potrebbe essere altrimenti? La guerra di Corea (1950-1953) fra il Sud stretto alleato degli Stati Uniti e il Nord comunista non è mai ufficialmente finita. Il Nord è un paese guidato da una dittatura feroce e autocelebratoria (tuttora sostenuta da Cina e Russia), che dedica il grosso del pil al riarmo, sotto la sferza della famiglia Kim (l’attuale incarnazione del potere è Kim Jong-un, nipote del primo Grande Leader, Kim Il-sung). A Sud, invece, c’è una democrazia compiuta seppure coi suoi guai. Stessa lingua, famiglie separate, due mondi diversi divisi da una zona demilitarizzata, una striscia di terra pesantemente sorvegliata. La Corea del Sud tiene alla democrazia conquistata a caro prezzo: anche a sud si sono succedute dittature, sia pure non comuniste, con sedici episodi di legge marziale fino al 1987. Per questo, quando il 3 dicembre 2024 il presidente Yoon Suk Yeol è andato in tv a proclamare di nuovo la legge marziale, contro non meglio specificate minacce settentrionali (e in realtà per avere i numeri per approvare la legge di bilancio), salvo poi ritirarla poche ore dopo, ha provocato una reazione viscerale della politica e della popolazione, con manifestazioni oceaniche. Yoon è stato deposto dal parlamento ma le conseguenze giudiziarie del suo gesto non si sono ancora spente.
Il successo della rutilante, eclettica cultura sud coreana dipende anche dalle paure che nutriamo a Occidente, in un mondo sempre più incerto e meno controllabile, sempre più governato da maschi apertamente autocratici. Il dibattito etico al cuore di questi film, serie, romanzi è anche nostro, in una società polarizzata e aperta allo strapotere dei privati (e al loro intervento sulla cosa pubblica, anche in materia sanitaria).