No Other Land, presentato al Festival di Berlino 2024, non lascia spazio a compromessi: è un atto politico e umano che denuncia le atrocità dell’occupazione israeliana, ma soprattutto mostra la tenacia di chi si rifiuta di scomparire.
A Masafer Yatta, quartiere di Basel nella Cisgiordania, gli ordini di demolizione sono ormai all’ordine del giorno. Il governo israeliano ha stabilito che queste terre, coltivate da generazioni di palestinesi per oltre un secolo, debbano essere trasformate in un campo di addestramento militare. Le famiglie vivono sotto la costante minaccia di essere costrette a fuggire, assistendo impotenti al crollo delle loro case. Basel Adra, co-regista e voce di questa resistenza, racconta con la sua videocamera il disfacimento del mondo che lo ha cresciuto, accorrendo alle richieste d’aiuto degli abitanti. Le immagini di bambini che piangono tra le macerie raccontano una storia che il mondo sembra voler dimenticare, quella di un’infanzia brutalmente spezzata.
In questo scenario desolante, No Other Land rivela un’umanità che non si piega. “Accogliamo chiunque stia dalla nostra parte”, afferma un abitante mentre offre caffè allo zenzero a Yuval, giornalista israeliano. Yuval non si limita a osservare: si sporca le mani, aiutando a ricostruire una casa nel silenzio della notte. Ma la realtà è dura e iniqua: mentre Yuval gode della libertà di attraversare il paese senza restrizioni, Basel è intrappolato in uno spazio che si restringe sempre di più: filmare la realtà in cui vive significa esporsi, rischiare, diventare un bersaglio.

Il sistema che opprime Basel non è isolato, ma parte di una rete più ampia, dove le risposte dei governi occidentali si limitano a gesti simbolici, incapaci di scalfire le fondamenta di un’ingiustizia radicata. La vicenda di una scuola salvata dalla demolizione solo per la visita di un ex leader straniero sottolinea quanto siano radicate le strutture dell’oppressione.