Quella partita è entrata nella storia. La foto immortala Rosetta, Luisa e Marta Boccalini con i calzettoni, la maglia sportiva e un gonnellino nero, tagliato un centimetro sopra il ginocchio per non insospettire il regime. Accanto a loro, in borghese, c’è Giovanna, la sorella maggiore che all’epoca era l’unica sposata e fungeva da dirigente accompagnatrice. Sono le fondatrici del Gfc, il Gruppo femminile calcistico a Milano. Quasi un secolo fa. Ragazze che si trovavano per tirar calci al pallone ai giardini di Porta Venezia o nei campetti del Dopolavoro. Ma correvano gli anni Trenta e loro erano donne: il fascismo le lasciò giocare otto mesi, poi le fermò per sempre.
Come nella favola senza lieto fine, le cicale innamorate del football cantano una sola estate. Quella del 1932 a Castiglioncello, quando un gruppetto di adolescenti o poco più, lombarde in vacanza, provano per la prima volta a passarsi la palla con i piedi, su un terreno a ridosso della spiaggia. Stravedono per gli eroi della domenica: il leggendario Giuseppe Meazza, idolo interista dell’Arena (San Siro era lo stadio del Milan), e Angelo Schiavio, centravanti del Bologna che segnerà il gol mondiale con la Nazionale del ’34.
Per le donne dello sport però la vita è dura. Ne sa qualcosa Ondina Valla, prodigio nella corsa a ostacoli, costretta a disertare le Olimpiadi del ’32 a Los Angeles per il no del Papa: non è gradito a Pio XI che una ragazzina affronti il lungo viaggio per nave in una spedizione di soli uomini — si sarebbe rifatta quattro anni dopo conquistando l’oro a Berlino. Così, tornate in città, le calciatrici si dichiarano astutamente “fascistissime e sportivissime”. Lo sottolinea lo storico Marco Giani, a latere del romanzo di Federica Seneghini intitolato Giovinette, le calciatrici che sfidarono il Duce. Il libro, ispiratore di una piece teatrale per la regia di Laura Curino, ricostruisce con documenti e testimonianze un’avventura emblematica e quasi sconosciuta. Vincente al di là delle apparenze.
Il gruppo s’ingrossa, le ragazze fra i quindici e i vent’anni trovano un allenatore (uomo), si addestrano con corsa, flessioni, addominali, studiano la tecnica. Sono brave e vogliono dimostrare pubblicamente di esistere. Con enorme anticipo sul futuro, capiscono che cosa significa la parola social e spediscono la foto della squadra a tutti i capitani di serie A e ai giornali, accompagnata da un comunicato: “Si può essere signorine per bene e da casa e praticare al puro scopo ginnastico lo sport del calcio, che irrobustisce i corpi e ingentilisce l’animo”, scrivono.
Purtroppo l’operazione di autopromozione a tappeto ha un effetto boomerang. L’immagine sull’Illustrazione Gran Sport riprende un’azione sotto porta: arriva il cross dalla destra, la ragazza con la maglia a strisce bianconere si alza per colpire di testa in mezzo alle avversarie in casacca scura. “Donne calciste, ci trova forse dell’estetica il lettore? Noi, no, e ci dispiace per le belle milanesine”, recita impietosa la didascalia. I quotidiani sportivi le ignorano. Il Littoriale le critica. I vignettisti del Guerin Meschino si divertono irridendole. Ma loro vanno avanti.
Così l’11 giugno 1933, una domenica di sole, si svolge la prima partita ufficiale al campo Fabio Filzi di Milano. Quella partita, appunto. Da una parte c’è il Gs Ambrosiano (maglia nerazzurra), dall’altra il Gs Cinzano (maglia con il marchio e il nome del liquore) che vince grazie alla rete di Bolzoni. Sugli spalti un migliaio di spettatori: sono tanti e tutti incuriositi dall’inusuale spettacolo. “Giuoco all’attacco, più giuoco e più mi piace”, dichiara la centravanti Losanna Strigaro in un reportage pubblicato da Il Calcio Illustrato di Leone Boccali, l’unico a regalare righe e foto alle atlete.
In porta ci sono dei maschi, due giovanotti dell’Ambrosiana Inter. Era quello del portiere un ruolo considerato più a rischio per gli organi riproduttivi, eventualità inaccettabile da chi esaltava l’equazione ideale donna = moglie e madre. Sul tema venne chiamato a esprimersi Nicola Pende, direttore dell’Istituto di biotipologia individuale e ortogenesi di Genova, punto di riferimento per le teorie scientifiche fasciste: “Io credo che dal lato medico nessun danno può venire né alla linea estetica del corpo, né allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato e non mirante a campionato, che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile”. E infine: “Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione!”, fu il responso. In effetti il pericolo è inesistente: il gioco si svolge quasi del tutto rasoterra, la partita è divisa in due tempi di 20 minuti, il pallone somiglia a quello dei bambini. In più serve l’autorizzazione dei genitori per scendere in campo.
Ciò nonostante il gerarca Leandro Arpinati, potente segretario del Coni e amico fraterno di Mussolini, stabilisce che le partite devono avvenire a porte chiuse. È l’inizio della fine. Il 22 novembre cala la mannaia: un editoriale pubblicato in prima pagina su Il Littoriale e ripreso dalla Gazzetta dello Sport vieta definitivamente il calcio femminile per mano di Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista. Gli sport permessi e “utili alla integrazione morale e fisica delle migliori qualità muliebri” sono solo “alcune prove, proporzionalmente e scientificamente ridotte, di atletica leggera; il fioretto per la scherma, il pattinaggio artistico, la ginnastica collettiva, il nuoto e il tennis”.
C’è appena il tempo per la rivincita prima dello stop, la mattina del 9 luglio sul campo Isotta Fraschini in piazza Zavattari. Il match è testimoniato da L’Antenna Sportiva del 10 agosto 1933, a pagina 18, con le calciatrici in posa e le formazioni delle squadre. Gs Cinzano: Navazzotti (portiere maschio, in bianco); Mina Lang; Luisa Boccalini; Maria Lucchese; Pina Leva; Ninì Zanetti, Ellera Stroppa; Nuccia Marinoni; Wanda Dell’Orto; Mina Bolzoni; Wanda Torri; Maria Bedetti (dodicesima). Gs Ambrosiano: Carapacchio (portiere maschio); Rosetta Boccalini; Elena Cappella; Graziella Lucchese; Ester Dal Pan; Elena Fabani; Pina Tagliabue; Augusta Salina; Marta Boccalini; Lucia Grimoldi; Brunilde Amodeo.
Però. Però tre anni fa il Comune di Milano ha intitolato a quelle ragazze coraggiose una via nel Parco Sempione. Però oggi in Italia esistono sei squadre nazionali di calcio femminile, le Azzurre vantano due secondi posti agli Europei e due quarti di finale ai Mondiali, le partite di campionato e la finale di Coppa Italia vengono trasmesse in tivù. Però se tutto questo è realtà, gran parte del merito va alle giovinette milanesi che quell’11 giugno 1933 sfidarono i pregiudizi. E vinsero la partita.