Un capolavoro della letteratura di tutti i tempi. Una compagnia di balletto fra le migliori al mondo. È possibile coniugare le due cose? È possibile tradurre in danza, musica, luci, scene un romanzo complesso come Crime and Punishment (Delitto e Castigo) di Fyodor Dostoevsky? Trasporre nell’esteriorità del movimento una storia di angoscia tutta interiore?
Susan Jaffe, la direttrice dell’American Ballet Theatre, insieme a Helen Pickett, la coreografa e James Bonas il direttore di produzione, ci hanno provato con le migliori intenzioni possibili, insieme alla compositrice Isobel Waller-Bridge (sorella dell’attrice Phoebe Waller-Bridge). Il balletto ha debuttato durante la stagione autunnale al Lincoln Center. Due atti, 20 scene, frasi esplicative proiettate sullo sfondo, filmati onirici, luci evocative. Tanto, troppo, e di danza veramente poco.
Bravissimi, come sempre, i ballerini della compagnia, ma soffocati da una coreografia che è più mimo che danza, che ripete gli stessi passi, gli stessi gesti, le cadute, le torsioni, gli slanci, infinite volte, senza contribuire in alcun modo alla comprensione della storia che procede solo perché le scene di Soutra Gilmour (pannelli su ruote, un tavolo con due sedie, un letto e una scala) vengono spostate, le luci, di Jennifer Tipton puntano sui personaggi da seguire e le scritte in sovrimpressione di Tal Yarden spiegano più o meno cosa sta per accadere. La musica, che a momenti richiama la vivacità del jazz, in altri la ripetitività di Philip Glass, sembra una colonna sonora, giusta per un balletto che ricorda un film muto.
Susan Jaffe, direttrice dell’American Ballet Theatre, conosceva da tempo Helen Pickett, prima ballerina poi coreografa al Ballet Frankfurt con William Forsythe e le ha commissionato l’ambizioso progetto. Helen Pickett si è affidata per condensare la storia a James Bonas, con cui aveva già adattato nel 2019 The Crucible di Arthur Miller per lo Scottish Ballet e nel 2023 Madame Bovary di Flaubert per il National Ballet of Canada (insieme stanno ora lavorando alla trasposizione di Macbeth per il Dutch National Ballet). Il loro scopo, hanno spiegato, era creare un lavoro che potesse piacere a chi ama il teatro ma non necessariamente conosce la danza e viceversa, a chi ha letto il libro e chi non.
Un progetto ambizioso. Che è anche la prima coreografia di un intero balletto firmata da una donna nella storia dell’American Ballet Theatre. La prima partitura musicale firmata da una donna. Con una donna alla direzione della compagnia e una donna come protagonista nel ruolo originariamente pensato per un uomo, Raskolnikov. Il personaggio ha sentimenti che non sono maschili o femminili, ma umani, ha pensato la coreografa nell’assegnare indifferentemente il ruolo ad una donna, Cassandra Trenary, e due uomini, Herman Cornejo e Breanne Granlund. È come quando Glenda Jackson ha interpretato Re Lear ha spiegato Bonas.
Così Cassandra Trenary per l’intero balletto si contorce negli spasmi del rimorso, braccia lanciate e corpo contratto. Non c’è effettivamente nulla di femminile o maschile in questo. Quando la situazione si fa veramente drammatica si lancia in una serie di piqué manège. Bella la scena iniziale del corpo di ballo che dà il tono alla disperazione, la povertà e la dissoluzione della società in quell’epoca, ma quella rabbia significata dalla musica dal ritmo incalzante e i passi e le braccia cadenzate dell’ensemble si ripete durante il balletto e perde potenza. Qualche momento di vera danza viene concesso solo alla sorella di Raskolnikov, Dunya, interpretata da Christine Shevchenko e a Razumikhin, Calvin Royal III, che hanno un passo a due nel secondo atto. Si amano, ma non c’è emozione nei loro passi, a dispetto della tecnica perfetta. Non c’è emozione nel delitto e neppure nel castigo.