Pensano a Ruggero Orlando, lo storico impareggiabile corrispondente della Rai negli anni ’60, Glauco Maggi e Maria Teresa Cometto con il titolo del loro ultimo libro, Qui non è Nuova York, edito da Neri Pozza, e come lui vogliono raccontare l’America, ovvero gli Stati Uniti, ma quella dei giorni nostri, quella che le cronache dei giornali raccontano divisa e ostile, razzista e misogina e invece loro scoprono animata ancora dallo spirito della nuova frontiera, del se insisti, se ci credi ci riesci, se costruisci lo stadio they will come come nel Field of dreams di Kevin Costner, che trovano a Dyerville, Iowa. Un’America dai buoni sentimenti, dalle famigliole felici in vacanza nei parchi e i rapinatori drogati che si redimono. E soprattutto una America popolata di italiani, italici, italoamericani, o perlomeno amanti dell’Italia.
Sono tanti e facili da individuare gli italici perché hanno voglia di rivendicare le loro origini, perché l’Italia ora va di moda, fra cibo, moda e macchine da corsa, e riconquistare la lingua degli avi e fregiarsi del Made in Italy è ormai un titolo di merito. Ne so qualcosa perché per anni per Rai International raccontavamo le loro storie, li scovavamo nelle insegne dei negozi, nei nomi storpiati, oppure quando vincevano premi di ogni tipo. Facevano gli scalpellini e muratori, ora li troviamo al NASA Jet Propulsion Laboratory a Pasadena, California. Gli italiani, si sa, sono abili e si danno da fare. Arrivando in America hanno creato città, Milan in Ohio, Naples ovunque, dall’Idaho, alla California, Florida, Maine, New York, Utah e Texas, e ovunque tante Little Italy da quella celeberrima di New York, a Cleveland e così via. Ce le raccontano nel loro libro on the road i due giornalisti che, grazie all’Istituto Italiano di Cultura di New York e al suo direttore Fabio Finotti, hanno avuto l’opportunità di viaggiare per scoprire “l’America profonda”. Per raccontare “il sogno americano” che “dato per morto – scrivono – continua ad attirare gente da tutto il mondo: oggi alla frontiera con il Messico non premono più solo i migranti dal Venezuela, da Cuba o dagli altri paesi poveri latinoamericani, ma anche dall’Africa e dalla Cina”.
Entrambi corrispondenti, Cometto per Corriere della Sera e Maggi per La Stampa e Investire, con parecchi libri alle spalle, i due che sono marito e moglie, si sono trasferiti negli Stati Uniti nel 2000 e sono diventati cittadini americani nel 2018. Hanno compiuto due viaggi on the road per scrivere i reportage che sono divenuti poi Non è Nuova York. “Prima siamo scesi lungo la costa atlantica verso Sud fino a Savannah, in Georgia – ha spiegato Cometto presentando il libro – Poi ci siamo diretti a Ovest, attraversando Arkansas, Oklahoma, New Mexico, Arizona e poi ancora più a Sud, fra Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama. Infine, siamo ritornati passando per gli Appalachi”. In tutto hanno attraversato 15 Stati, 9 capitali, 7 parchi nazionali, 5 librerie presidenziali, 23 musei e siti storici, percorrendo più di 15mila chilometri.
Come due novelli Turisti per caso, i Syusi Blady e Patrizio Roversi che negli anni ‘90 hanno girato il mondo per raccontarlo al pubblico Rai, Cometto e Maggi si commuovono di fronte alla immensità delle foreste, alla grandiosità dei parchi creati da Theodore Roosevelt, scoprono bellezze naturali poco conosciute come il Cave Creek Canyon, “l’isola nelle montagne” dell’Arizona, il Crystal Bridges Museum immerso nei boschi di Bentonville, Arkansas, capitale allo stesso tempo dei supermercati Walmart, simbolo della nascita del capitalismo. Elogiano l’industriosità dei produttori di burro e cheddar di Tillamook, trovano Wharhol e Weiwei nel National Museum of Wildlife Art a Jackson nel Wyoming dedicato alla natura selvaggia, ricordano Kubrick nella casa dove ha girato Shining, Clint Eastwood nella Sun Valley dove ha realizzato Il cavaliere pallido nel 1985 (Pale Rider) ed Ernest Hemingway a Ketchum, dove riposa in una tomba su cui sono incisi i suoi bellissimi versi: Più di tutto amava l’autunno, le foglie gialle sui pioppi. Foglie che galleggiano sui torrenti di trote e sopra le colline. Gli alti cieli azzurri senza vento… Ora ne farà parte per sempre.
E parlano con le persone del luogo. “Volevamo capire se effettivamente gli americani sono frammentati, polarizzati e arrabbiati come vediamo sui social”, ha detto Cometto. Desiderano scoprire l’”Altra America” e “capire quanto sia diversa dai luoghi comuni che per esempio bollano come rednecks, buzzurri dal collo rosso, i maschi bianchi degli stati del Sud visti tutti come incolti, razzisti, dal grilletto facile oltre che repubblicani.”
Così ci portano per esempio in Nebraska, stato rosso in cui governatore e tutti i deputati e senatori sono repubblicani e alle elezioni presidenziali sia del 2016 sia del 2020 Trump ha preso il cinquantanove per cento. “Quindi quasi sicuramente Joel – scrivono – ha votato per Trump. Ma per favore, non bollatelo per questo con l’etichetta di «deplorevole», come fanno certi media e politici. Joel, infatti, è una persona buona, gentile e generosa.” Si avverte il loro desiderio di mostrare come l’America dell’elefante sia migliore di come viene spesso rappresentata, citano il giornalista americano neocon Irving Kristol che dice “Un conservatore è un progressista che è stato aggredito dalla realtà”, per spiegare come sia necessario cambiare di fronte alle esigenze del paese reale, nello specifico come il sindaco democratico di Portland Ted Wheeler abbia cambiato idea sul taglio dei fondi alla polizia e la depenalizzazione delle droghe pesanti dopo la fuga dalla città di commercianti e imprenditori, record di omicidi e di morti per overdose.
E ci portano a Charleston, in South Carolina sulle orme di Frederick Law Olmsted, l’architetto di Central Park, inviato in giro per l’America nel 1853 dal New York Times a raccontare la schiavitù, per capire quanto razzismo c’è ancora oggi nel paese. Visitano il “museo del linciaggio” a Montgomery, in Alabama, e incontrano Opal Lee, novantaseienne afro-americana che è riuscita a far proclamare da Biden nel 2021 Juneteenth festa nazionale, e a Fort Worth, Texas, pratica e predica il rispetto dell’altro, indipendentemente dal colore della pelle.
Ci conducono anche a Williston in North Dakota, la capitale del fracking, per dirci attraverso le parole di un abitante di non preoccuparci perché “Le trivelle scendono giù oltre due miglia e poi vanno oltre due miglia in orizzontale per estrarre il petrolio. Sono molto al di sotto delle falde ad uso domestico. Non ci sono problemi.”
E noi speriamo veramente che non ci siano problemi, che l’America sia più unita di come sembra, che quello che abbiamo visto il 6 gennaio non accada più, che non accada di nuovo. Che Qui non è Nuova York sia la fotografia di questo paese reale.