I confini tra morale e verità, l’intreccio tra vita e morte, amore e fede, e la sfida di vivere moralmente in un mondo segnato da avidità e corruzione sono temi che attraversano Dante: Inferno to Paradise, il documentario diretto da Ric Burns. Fratello minore del celebre documentarista Ken Burns, Burns ha già lasciato il segno con opere come New York: A Documentary Film, una serie in otto parti che racconta la storia della città dalle sue origini olandesi all’era moderna.
La docuserie in due parti, della durata complessiva di quattro ore, è stata presentata alla Casa Italiana Zerilli-Marimò dell’Università di New York, con una maratona cinematografica che ha coinvolto studiosi, attori e appassionati di Dante. Stefano Albertini, direttore della Casa Italiana, ha paragonato l’evento a una lunga messa ortodossa, invitando il pubblico a partecipare liberamente, con la possibilità di uscire e rientrare, proprio come in un rito spirituale condiviso. Alla proiezione erano presenti il regista Ric Burns, il professor Riccardo Bruscagli dell’Università di Firenze, gli attori Antonio Fazzini ed Eric Nicholson, e la studiosa Heather Webb.
Nonostante la sua evidente ambizione, Dante: Inferno to Paradise non cerca di essere un compendio esaustivo. Come afferma lo stesso Burns, si tratta piuttosto di un invito a immergersi nell’universo dantesco, lasciandosi guidare dalle sue domande senza tempo. Nel film, Riccardo Bruscagli riflette su cosa renda Dante Alighieri così attuale: “Dante parla al cuore della nostra umanità. La sua ambizione era abbracciare ogni aspetto dell’essere umano su questa terra”. E leggendo la Divina Commedia, capiamo che, sebbene scritta settecento anni fa, quella vita e quel pensiero ci parlano ancora, con sorprendente urgenza.
“Portare Dante sullo schermo è stato più difficile del previsto”, ha ammesso lo stesso Bruscagli durante il dibattito post-proiezione. “Il vero ostacolo è stato rendere visivamente l’immaginario dantesco, così vasto e complesso”. Grazie a un uso sapiente della luce, il film scandisce con chiarezza i tre regni della Commedia: l’opprimente oscurità dell’Inferno, la luce sospesa del Purgatorio e lo splendore spirituale del Paradiso.
Anche Ric Burns ha condiviso le difficoltà tecniche ed emotive affrontate durante la lavorazione del film. Il suo obiettivo non era quello di fare affidamento su effetti speciali o CGI, ma di costruire una narrazione potente attraverso immagini simboliche e una solida struttura narrativa. La sua rappresentazione dell’Inferno sfugge agli stereotipi di fiamme e tormenti, proponendoci invece un paesaggio freddo e immobile, simbolo di un vuoto esistenziale, di un abisso privo di amore e calore umano.
La prima parte di Dante: Inferno to Paradise ci immerge nel tumultuoso contesto della Firenze medievale, una città lacerata da scontri politici e fazioni in costante conflitto. Dante fu travolto da questo “inferno di appetiti in guerra”, che lo portò all’esilio nel 1302, accusato ingiustamente di corruzione. Da quella drammatica esperienza scaturì la sua grandiosa visione del mondo, capace di superare i confini del tempo e dello spazio. Il mondo di Dante pur essendo profondamente diverso dal nostro, condivide con il presente un’epoca di crisi e trasformazioni, in cui le strutture morali, politiche e sociali sembrano sul punto di sgretolarsi.
Attraverso interviste a illustri studiosi e suggestive ricostruzioni sceniche, il documentario dà forma concreta al dramma umano e spirituale di Dante. Antonio Fazzini, che interpreta il sommo poeta, ha rivelato al pubblico che lavorare sulla traduzione del testo gli ha permesso di scoprire sfumature spesso trascurate nella lettura in italiano, un’esperienza che lo ha trasformato non solo come interprete, ma anche come persona.
Uno degli aspetti centrali del documentario è il legame tra Dante e Beatrice Portinari, il suo amore irrealizzato, che si trasfigura in un simbolo di ideale spirituale supremo. Heather Webb, dell’Università di Yale, ha ricordato come Dante avesse rivoluzionato la rappresentazione femminile nella letteratura. “Beatrice non è soltanto una musa idealizzata, ma una guida attiva, capace di capace di condurre Dante verso la visione divina. Una figura innovativa che rompe gli schemi del suo tempo, e che il documentario mette in luce con grande sensibilità”. Secondo Bruscagli, in un’opera così radicata nella dottrina cristiana, il ruolo del femminile nel momento della salvezza, rappresentato da Beatrice e dalla Vergine Maria senza la presenza di Cristo, è sorprendente. “Questo evidenzia l’importanza di Maria nella salvezza in modo autonomo, sottolineando un percorso materno verso la redenzione, in contrasto con le tradizionali rappresentazioni maschili del potere divino”.
Dante, scegliendo di scrivere in volgare, ha voluto parlare a tutti, senza distinzioni di istruzione o classe, democratizzando così il suo messaggio, come osserva Alison Cornish, direttrice del dipartimento e presidente della Dante Society of America. “Tuttavia, la natura locale della sua lingua gli avrebbe fatto capire che, per avere un impatto più ampio e duraturo, la sua opera doveva essere tradotta, riconoscendo i limiti del suo dialetto e la necessità che fosse trasmessa attraverso lingue e culture diverse”.
Allo stesso modo, Burns, ispirato da questa inclusività, ha realizzato un documentario che, come una “lingua franca”, si rivolge a un pubblico globale, spingendoci a riflettere su quelle domande universali che da settecento anni continuano a interrogare l’umanità.