Tra le tante frottole raccontate sul Medioevo da storici prevenuti o male informati, c’è la presunta misoginia di una società che pure ci ha consegnato personaggi femminili a tutto tondo. Quelli poetici e letterari come Beatrice di Dante, Laura di Petrarca, Fiammetta di Boccaccio; quelli religiosi come Caterina da Siena, Jeanne d’Arc, Chiara d’Assisi; quelli politici come Aliénor d’Aquitaine, Matilde di Canossa, Hildegard von Bingen; quelli filosofici come Héloïse d’Argenteuil, Roswitha von Gandersheim, Isotta Nogarola. E si potrebbe continuare, magari attingendo al lungo elenco fornito dal libro Scrittrici del Medioevo Un’antologia (2024), curato per Carocci da tre medieviste, Elisabetta Bartoli Donatella Manzoli e Natascia Tonelli. I testi sono presentati e commentati da studiose e specialiste delle specifiche letterature in questione, che hanno anche proceduto ad opportune traduzioni.
Con le quattrocento pagine del volume si entra in un mondo per lo più sconosciuto, falsato da secoli di censure e pregiudizi. Vi si trovano pagine di alta letteratura mistica e poetica, testimonianze della propria condizione di vita, spesso monastica, ragionamenti sulla storia e la politica, considerazioni filosofiche e morali. A scriverle sono donne di estrazione sopratutto borghese e aristocratica, spesso monache che nel convento o nel monastero hanno trovato una condizione di emancipazione, potere sociale e libertà che difficilmente avrebbero potuto raggiungere fuori dalle sacre mura, specie nella soggezione coniugale. Sono anche donne che viaggiano, intrattengono rapporti colti e religiosi fuori dal monastero, trattano con potenti della Chiesa e della politica. La scrittura delle quarantacinque donne del libro investe un po’ tutti i generi letterari di quel tempo europeo: epistolari, narrativa, poesia, teologia, morale, scienze, economia. Diverse le lingue utilizzate: dalle colte come latino, greco, ebraico, arabo alle nascenti come provenzale, italiano, francese, medio-tedesco, ibero-romanzo.
Significativa l’organizzazione dei testi e delle autrici, attraverso sei sezioni tematiche, che seguono alla colta introduzione: l’educazione, il sé e il mondo, la maternità, l’amore, il corpo e il sesso, la mistica e il sacro. Cenni biografici, bibliografia e una tavola geografica e cronologica, fanno da corredo finale, utile per inquadrare le vicende personali e letterarie delle scrittrici.
Alcune citazioni assisteranno nella comprensione del senso dell’opera.
In Vita di Willibald, Ugheburga, suora e agiografa dell’VIII secolo, narra in latino l’edificante biografia del vescovo di Eichstätt, consegnato a cinque anni al monastero dai genitori. Valga per un esempio della scrittura fiorita della suora il seguente: “Egli trascorse un buon lasso di tempo nel divertimento dei giochi infantili… fino a giungere … alla peluria dell’adolescenza (ad lanugine et pubertatis adolescentia perventus est) che lo portò a un obbediente attaccamento…”.
Per il “sé e il mondo”, due citazioni che molto dicono sul ruolo famigliare e sociale delle donne nel medioevo. Margherita Bandini è moglie del celebre commerciante Francesco Datini di Prato col quale intrattiene un fitto epistolario: gli grida in faccia la capacità di gestire il patrimonio e di effettuare scritture, visto che è alfabetizzata. Inutile che lui se la prenda perché gli ha scritto con tropa larghezza ovvero libertà: “Francescho, io chonoscho ch’io v’ò scritto tropo largho c ò mostrata troppa signoria in chontra voi di dirvi il vero”.
Di Isotta Nogarola, che scrive in latino, compare nel libro un’orazione in difesa del suo genere, contro la retorica maschilista del doctissimo viro Damiano dal Borgo: “… ti chiedo di dimostrarmi se le donne superano gli uomini per verbosità o piuttosto per eloquenza e virtù? … se riconoscerai di uscire sconfitto, sarò soddisfatta …”
Nella sezione dedicata al corpo e al sesso, s’impone la voce squillante di Gandersheim, la monaca Roswitha, autorevolissima nel suo tempo sin presso la corte pontificia, autrice di otto poemetti e delle sei pièces ispirate a Terenzio. In una di queste narra, in latino, dell’eremita Abramo di Kidun, ma in realtà esalta la figura della prostituta, poi redenta, Maria. Quando Abramo, che l’ha allevata da piccola, ritrova Maria e con lei parte per la retta via, lei gli dirà: “Padre mio caro, come fa il buon pastore, è compito mio indicare la strada alla pecorella ritrovata. Di mia spontanea volontà la percorrerò con tutte le mie forze…”