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Vinca Delfico Sorge, la signora che resistette a D’Annunzio

La nipote e saggista Paola Sorge pubblica le lettere inedite in "Un té con D'Annunzio"

Piccolo chalet gaio come te / dietro un separé prenderemo il tè / sorseggiando palpiti e passion / e al tramontar del sol / un languido usignol / ci canterà d’amor la sua canzon. Mezzo secolo prima del Trio Lescano con Luciana Dolliver, Gabriele d’Annunzio aveva gettato nell’Adriatico le sue reti di seduzione. La preda designata si chiama Vinca Delfico Sorge, abruzzese come lui, stessa età, figlia del conte Filippo De Filippis Delfico e di donna Cleomene. Porta il nome di un fiore e ha aggiunto a quello paterno il cognome del marito Simone Delfico, possidente terriero, che colpevolmente la trascura per l’amministrazione delle campagne. Lei è giovane e resta malvolentieri sola in casa. Non che le manchino occasioni e ammiratori, tutt’altro. Il pittore Alfonso Muzii e il musicista Vittorio Pepe sono tra i più assidui del settecentesco palazzo di famiglia a Nereto, nel Teramano: paese vicino alla costa e tappa obbligata per gli illustri escursionisti che vanno o tornano dalle gite sul Gran Sasso, distante cinquanta chilometri. Ma la sua bellezza abbagliante si specchia con una purezza interiore che la rende desiderata quanto inattaccabile.


Nel lotto dei discreti pretendenti spiccano due amici che fanno e faranno parlare di sé l’Italia e l’Europa: il pittore naturalista e fotografo Francesco Paolo Michetti e il divino Gabriele, che è ospite del primo nell’ex convento di Francavilla convertito in cenacolo. Lo frequentano anche Benedetto Croce e Matilde Serao, condividendo esperienze di vita e pensiero con altri letterati, artisti e intellettuali. È l’estate del 1888 e lì il venticinquenne D’Annunzio sta scrivendo il suo primo romanzo: s’intitola Il piacere e farà subito scandalo. Il protagonista è Andrea Sperelli, esteta ricco e aristocratico, raffinato nei gusti e nell’espressione, che si divide tra due donne perdendole infine entrambe. L’atmosfera del libro è simbolista e decadente, la prosa è permeata di introspezione, desiderio e sensualità. Dei personaggi femminili quello che più colpisce è Maria Ferres, moglie di un ministro e madre integerrima, descritta come “spirituale ed eletta”: Sperelli la assedia, lei resiste annotando nel diario sentimenti contrastanti, riflessioni, turbamenti. Finché cede. Somiglia moltissimo per incanto, intelligenza e cultura a una donna reale, sensibile alle arti e timorata di Dio: è la perfetta descrizione di Vinca.

Gabriele D’Annunzio

“Avete mai pensato che da quasi dieci anni, a intervalli, io giro attorno a voi e sono attratto dal vostro fascino? Ero un fanciullo e camminavo lungo la riva del mare alla ventura, con la vaga speranza d’incontrarvi. Sono un uomo corrotto dalla esperienza della vita, provato dal dolore, e tendo le braccia verso di voi come verso la chimera più desiderabile”, le scrive il poeta durante la stesura del Piacere. È un attacco frontale, senza pudore, che sconvolge la destinataria della lettera. Vinca ne parla con Michetti, corteggiatore più soffice del sodale e rispettoso confidente. Le sue avance si limitano alla firma Ciccillo demonio scherzoso in coda alle missive che le spedisce: ne ammira la straordinaria bellezza, tanto da farle due magnifici ritratti, ma non va oltre. Gabriele è invece una minaccia immanente. Dinanzi allo svelamento che comunque l’attira, lei prega il Signore di darle la forza di resistere. E nel pieno di una tempesta emotiva prende la decisione estrema: in quell’estate afosa del 1888 si chiude nel villino dei Delfico a Montesilvano, a un passo da Pescara tra la pineta e le onde. Fa muro. Niente spiaggia, niente sole, niente passeggiate, niente feste per timore di incontrarlo. Fuori c’è il Diavolo e la virtù non può correre rischi.

Vinca Delfico Sorge in uno dei ritratti di Francesco Paolo Michetti, particolare

Ma tenere le porte sprangate serve a poco. D’Annunzio le fa recapitare una copia del romanzo uscito nel maggio dell’anno dopo; lei legge e comprende che quelle pagine la riguardano direttamente. Prende carta e penna e cuce di getto una risposta: “Ma perché scrivete Voi di questi libri? Un giorno dovrete renderne conto a Dio, io Ve lo dico. E come farete allora? Dovrete tener conto de’ vostri talenti così bassamente spesi, dovrete render conto del male incalcolabile che fate”. E ancora: “Voi siete Andrea Sperelli, vi siete ricopiato in ogni minima piega dell’animo. Io non so capire come siete Voi, chi vi ha traviato così e come potete scrivere perennemente in una atmosfera corrotta”. Quella lettera non partirà mai. Qualcuno però ne ha ritrovato la minuta nella casa di Nereto con l’annotazione in coda: “Distrussi l’autografo l’1 gennaio 1890”. Qualcuno è la scrittrice e saggista Paola Sorge, studiosa del Vate. Ed è soprattutto la nipote di Vinca. “Ero un’adolescente quando, scartabellando nella dispensa del palazzo di Nereto, ho notato tra la frutta e le pizze di formaggio alcune carte fermate da un laccio. E ho scoperto quel che non sapevo e nessuno mi aveva raccontato”.

La storia era troppo significativa per non renderla pubblica. Sorge ha messo insieme dieci epistole superstiti del carteggio, le ha legate alle dediche sui volumi che il poeta soldato inviava a Vinca e ne ha tratto un libretto: Un tè con d’Annunzio, cinquanta pagine pubblicate ora da Castelvecchi. C’è un prima e un dopo la prepotente rivelazione del desiderio narrato — mutato nomine — nel romanzo. Il prima è una lettera di Gabriele datata 25 ottobre 1987, in cui le annuncia di essere diventato padre per la terza volta a neppure 24 anni. Quindi continua: “Mi sono messo a scrivere fra una tazza di thè e l’altra, e a poco a poco mi son lasciato andare come in una conversazione piacevole. Con voi è sempre dolce conversare”. Il dopo è l’asprezza per la brama carnale non corrisposta dalla très chère, très belle: “Voi siete la pigrizia in persona, non mi rispondete mai”. In realtà donna Vinca scriveva, strappava, ricopiava in brutta copia le righe imparate a memoria senza spedirle. Era il suo modo di combattere.

Il tempo però annulla le distanze e chiude le ferite. Lui conserverà per sempre “la memoria dei bei giorni di Nereto” attratto da nuove conquiste, lei accoglierà l’ospite ormai celeberrimo nella “mensa fiorita, con vino di topazio e di rubino”. Passata la bufera, Vinca riprende la vita di società e ai ricevimenti gli uomini si presentano con una pervinca all’occhiello in suo onore. Morirà a 49 anni nel 1911. Una compagna di scuola la ricorda così sul Corriere Abruzzese: “È stata una gentildonna perfetta e di una bellezza soave, affascinante, maestosamente splendida e simpatica e con tutte le seduzioni dell’intellettualità vera e completa, seduzioni che con gli anni invece di scemare aumentarono”. L’unica donna che il grande tentatore non è riuscito a possedere.

 

Massimo Cutò

Massimo Cutò

Giornalista, classe 1957, ha svolto tutta la sua carriera tra Resto del Carlino e Quotidiano Nazionale. È nato a Pescara ma vive e lavora a Bologna da molti anni. Ogni volta che arriva in piazza Maggiore non si rassegna a una domanda senza risposta: perché qui non c'è il mare?

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