Chissà se il partito dell’Uomo Qualunque era davvero qualunquista? Esce presso D’Amico, il libro dei due storici Antonio Alosco e Maurizio Erto, dal titolo accattivante Siamo uomini o caporali?, e da contenuti di grande interesse per gli studiosi della politica e del costume italiano negli anni tra la caduta del fascismo e i ’50. Il testo ripercorre l’avventura umana e politica di Guglielmo Giannini, campano di Pozzuoli trapiantato a Roma, dove morì praticamente dimenticato nel 1960 a 69 anni esatti, dopo aver fatto parlare di sé al tempo della Costituente, scuotendo dalle fondamenta l’edificio istituzionale in costruzione, volendone esplicitamente il crollo prima ancora che fosse costruito.
Licenza elementare in tasca, autodidatta onnivoro (Erasmo, Locke, Pascal, Spinoza, Rousseau, Montesquieu, Diderot, Voltaire, Bentham, Marx, tra i tanti), si definirà, come richiama il libro, “capitano del Genio, giornalista, romanziere, autore drammatico, regista, politico”. Con il fascismo ebbe poco a che spartire: uscito illeso dalla Prima guerra mondiale, si guardò dal partecipare ai movimenti revanscisti e insurrezionali che avrebbero portato ai Fasci e alle camicie nere. Quando quella violenza prese il potere, si chiuse nell’attività teatrale e cinematografica, vivendo di canzonette e sceneggiature. Che poi condividesse col regime più di qualche ideuzza e fosse fondamentalmente du destra, è cosa risaputa.
Il libro di Alosco ed Erto, dopo aver raccontato l’incontro-scontro con il potente Angelo Rizzoli, illustra come, il 27 dicembre 1944, arrivi nelle edicole di Roma, da poco liberata dall’occupazione germanica, il primo numero del satirico L’Uomo qualunque, UQ. La copertina è programmatica. Una donna simboleggiante l’Italia ha in mano una ramazza e a lato spazzolone secchio e straccio. Spinge fuori dal quadro un enorme mucchio di carta straccia. Ciascuna delle striscioline ha un nome. Il più vistoso è “fascismo”; a seguire i vari “affarismo”, “settarismo”, “politicantismo”, “oligarchismo”, “intrighismo”. In bella evidenza “C.L.N.”, quel Comitato di liberazione nazionale che stava combattendo nel nord Italia i tedeschi in ritirata e i repubblichini di Salò sguinzagliati a catturare e far la pelle ai patrioti combattenti. In sintesi: quel Giannini lì sfida l’Italia intera, anzi no, perché mancano monarchia e chiesa dall’elenco dei ramazzandi. Nella prima pagina interna, un omino strilla “Abbasso tutti!”: tutti sta per partiti politici.
Abbasso prima ancora che si mettano a lavorare sa francamente di partito preso, ma in quell’Italia che si andava riabituando a pensare e criticare, il settimanale satirico registrò un immediato quanto strepitoso successo. Le 25.000 copie iniziali divennero presto 80.000 rendendo UQ il più letto nella penisola. Spuntano Donna qualunque, L’Europeo qualunque, Buonsenso. Giannini è abile e scaltro, e la fa davvero grossa, nel senso che vende molto e diventa subito un caso politico. Dirà di se stesso che le giravolte degli ex fascisti e certi comportamenti degli antifascisti lo avevano spinto a diventare anti-antifascista.
Sia come sia, l’estate successiva al primo numero, nasce il Fronte de L’Uomo Qualunque. Sederà all’Assemblea costituente con 37 deputati, 32 eletti nella lista, 5 transfughi. Durerà poco; il consolidamento della Democrazia Cristiana di De Gasperi, nel 1948, toglie ad UQ terreno di pascolo.
Alosco ed Erto dedicano quasi 150 pagine al significato storico e politico della meteora Giannini. Correttamente sostengono che le motivazioni della vicenda sono tuttora tra di noi, perché irrisolto è rimasto nelle democrazie il nodo della folla analizzato da Gustave Le Bon. Richiamano il Prezzolini di Codice della vita italiana («I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi»), un approccio ribadito al grande pubblico dal film di Camillo Mastrocinque del 1955. Protagonista il poveruomo (Totò) le cui conclusioni su come funzioni la vita avrebbero ispirato ad Alosco ed Erto il titolo del libro. “Caporali” era stato uno dei rimandi iconici negli articoli di UQ, con titoloni del tipo “Siamo stanchi di caporali”.
Tra i pregi del testo, imprescindibile per chi voglia approfondire i temi del populismo contemporaneo, l’efficacia con la quale tratteggia l’uomo Giannini, attribuendogli, insieme a coerenza e dignità, un limite imperdonabile per qualunque politico: l’ingenuità che lo spinse a provocare e sfidare uomini come De Gasperi, Togliatti, Nenni. Perse rovinosamente.