L’idea di An Evening with John Legend è semplice: sul palco delle Terme di Caracalla a Roma, c’è solo lui: John Legend. Niente fronzoli, niente distrazioni. Solo la potenza della sua voce, le note del pianoforte e la sua storia di vita. Il cantante e musicista americano è uno dei pochi artisti ad aver completato un EGOT, l’acronimo con cui negli Stati Uniti si fa riferimento alla vittoria di un Oscar, un Grammy, un Emmy e un Tony Award, rispettivamente i più importanti premi del cinema, della musica, della televisione e del teatro.
Legend ha dato il via al suo spettacolo con un intenso uno-due, eseguendo Let’s Get Lifted Again e soprattutto Tonight (Best You Ever Had), un’esplosione di soul, che combina la sua voce ricca di sfumature gospel con il rap dell’artista americano Ludacris.
“Felice di essere nuovamente a Roma, città magica,” ha esclamato Legend. “Di essere qui con voi; ci divertiremo e stasera avremo l’opportunità di conoscerci meglio”. Un viaggio indietro nel tempo, quando tutto ciò che contava era la semplicità di essere John Stephens. “Sono nato a Springfield, dove i miei genitori mi hanno cresciuto sotto l’ala della fede. Mio padre era un pastore e la frequentare un luogo di culto ha lasciato un’impronta indelebile sulla mia visione del mondo.” I ricordi di quei momenti si trasformano in una potente interpretazione di Take My Hand Precious Lord, che punta dritto al cuore del pubblico.
Legend svela al pubblico di aver scoperto la passione per la musica all’età di sette anni quando si è unito al coro della sua chiesa e ha iniziato a imparare a suonare il pianoforte sotto la guida della nonna, scomparsa troppo presto. “La sua morte ha gettato la nostra famiglia nell’abisso della tristezza. Mia madre, devastata dalla perdita, è affogata nella disperazione e nella sua lotta contro le dipendenze, uscendo dalla nostra vita. Ho perso due persone in un colpo solo. La musica mi ha aiutato a navigare attraverso le acque tempestose della mia esistenza”, confessa commosso, mentre le note di Bridge Over Troubled Water di Simon and Garfunkel si diffondono nell’aria, accompagnate dall’immagine della nonna sugli schermi.
Il pericolo del melodramma è in agguato, una minaccia che Legend sventa con il racconto dei suoi successi accademici e le tappe della sua migrazione da Philly a New York. Gli appassionati di Hip-Hop e gli eruditi della musica sanno bene che Legend ha fatto il suo debutto professionale come pianista in Everything Is Everything di Lauryn Hill, un trampolino di lancio verso la fama. E mentre la sua storia si snocciola, il pubblico rimane rapito, in attesa di un epico scontro con un rapper di Chicago di nome Kanye West.
Quell’incontro ha dato il via a una serie di eventi che avrebbero portato John a cantare nei cori di Encore di Jay-Z e a fornire i vocalizzi doo-wop per Alicia Keys nella sua hit You Don’t Know My Name. Legend conferma la sua inclinazione per il soul tradizionale della Motown con alcuni passaggi di Selfish degli Slum Village e American Boy di Estelle.
“Finalmente i discografici che prima mi snobbavano si sono accorti di me, e ho firmato il mio primo album”, ha raccontato Legend, mostrando l’aria soddisfatta di chi ha ottenuto la sua rivincita. Prima di eseguire Ordinary People, il brano tratto dal suo debutto vincitore di un Grammy, Get Lifted, l’artista è tornato al momento in cui è diventato John Legend: “Mi hanno detto che il mio vero nome andava bene per un commercialista, non per un musicista, per poi trovarmi a negoziare con un produttore di pornografia riguardo all’uso del mio nuovo nome d’arte”.
L’atmosfera si mantiene intatta con il medley delle canzoni che Legend ha dedicato alla moglie Chrissy Teigen: “Quando l’ho conosciuta, sono stato catturato dal suo spirito e ho scritto tante melodie per lei”. Tra queste, c’è Wonder Woman, Good Morning, Wild e il grande successo All of Me. Eseguita per la prima volta al loro matrimonio dieci anni fa, su All of Me, le voci del pubblico si alzano all’unisono il pezzo viene eseguito in coro.
Il punto culminante della serata è Glory singolo estratto dalla colonna sonora di Selma, il film di Ava Duvernay del 2014 che ha portato il musicista alla vittoria dell’Oscar per la miglior canzone. La voce si fa solenne ad accompagnare la marcia trionfale di Martin Luther King del 1965 per rivendicare parità di diritti per tutti i cittadini americani senza nessuna distinzione di razza. Il messaggio della canzone risuona ancora di più alla luce della situazione attuale negli Stati Uniti. “La comunità afroamericana continua ad essere soggetta a discriminazioni e persecuzioni, intrappolata in un sistema carcerario ingiusto e spietato. Le prigioni americane sono il prodotto di tale sistema distorto e richiedono un cambiamento radicale e immediato”.
Legend, oltre a essere un gigante nel mondo della black music, si rivela un maestro dell’arte della narrazione con storie che hanno lasciato il pubblico delle Terme di Caracalla alle prese con le emozioni più pure e in un secondo momento alle riflessioni.