Party affollato all’Istituto di Cultura. Signore allegre, con fantastici bijoux. Si festeggia Angela Caputi, la grande dama dei gioielli fantasiosi, colorati, originali, inventivi. Arrivata a New York per la mostra Reflections/Riflessi: Angela Caputi, aperta fino all’8 giugno, e perché nominata “Ambasciatrice del Design a New York” per l’ottavo Italian Design Day, è accolta da un gruppo affezionato di estimatrici.
“Le americane mi hanno conquistato – confessa – sono state le prime ad apprezzarmi, perché con i miei bijoux giocano, non gli importa nulla se una cosa le attrae. Le italiane invece si fermano dietro le vetrine e pensano: ma quanto peseranno? di cosa sono fatti? dove me li metto? non posso andarci in ufficio. Oppure mettono solo gioielli, mettono solo parure e io invece gli dico: no, se mette l’orecchino non metta la spilla, è troppo! Le italiane le ho dovute interpretare, conquistare un po’ alla volta, le americane hanno conquistato me.”
Madeleine Albright indossava le sue collane, Joan Collins la sua pantera nella serie Dynasty, il Metropolitan Museum e il Fashion Institute of Technology hanno esibito i suoi pezzi in mostra anche al Museo degli Argenti e la Galleria del Costume di Firenze.

Fiorentina, ma nata in Puglia, Angela Caputi, detta Giuggiù dal nomignolo affettuoso con cui la chiamava il padre, questo business se lo è completamente inventato. “Facevo l’insegnante dei bambini che avevano bisogno di manualità – mi spiega – poi sono rimasta sola. Mio marito ha avuto un incidente in una scalata, io avevo Maddalena di tre mesi e Alessandro di 4 anni, mi sono rimboccata le maniche. Ho pensato di fare qualcosa che mi avvicinasse alle altre donne, perché tutte abbiamo dei problemi, qualcosa che creasse comunicazione.”
Ha cominciato a lavorare in una stanza di via Cimabue, con una ragazza ad aiutarla. Oggi è a via Santo Spirito, nel seicentesco Palazzetto Medici, nel cuore di Firenze e lavora con quindici dipendenti. “15 operaie che hanno fatto tanti nipoti – sorride – non ne è andata via mai nessuna, solo in pensione, ho cercato sempre di venire incontro alle loro esigenze: se avevano bisogno dell’orario spezzato glielo spezzavo, permessi, ogni cosa, abbiamo cercato di lavorare sempre bene insieme.”
Insieme assemblano gioielli che Angela non disegna ma crea direttamente componendoli. Si lavora rigorosamente a mano, con pezzi ordinati da vecchie fabbriche di bottoni, che ancora hanno antichi macchinari in grado di realizzare piccoli oggetti. In resina. “Perché è leggera, con una luce naturale. Quando ho cominciato andavo a comprare le murrine a Venezia, ma erano lontane da me e poi erano pesanti e non mi dicevano niente, quindi ho cominciato a cercare le ditte dove con la resina potevo inventare dei colori, ogni colore ha una sua espressione. Io vesto sempre di nero, ma per gli altri desidero che si esprimano con il colore.”
Colore che significa allegria, gioia. Racconta Angela Caputi che quando ha iniziato, nel ’75, l’Italia era nel pieno delle lotte per la rivendicazione dei diritti femminili. Era un periodo difficile, scuro, e lei voleva creare leggerezza, dare alle donne una armatura divertente per affrontare le battaglie quotidiane. E ora, che per le donne l’orologio sembra tornare indietro? “Siamo in un momento di regressione, è vero – conferma – le ragazze non capiscono come mai non siamo state capaci di lasciar loro quella libertà che sembrava conquistata; ci siamo fatte fregare ancora una volta. A tutte dico: potremmo cominciare finalmente a pensare a noi stesse?”
Caputi si definisce con orgoglio un’artigiana, in tempi in cui tutto è industriale, vende solo nei negozi, in tempi di online. Assolutamente controcorrente, perché? “Artigianato e internet non vanno d’accordo, essere artigiani vuol dire intraprendere un dialogo tra chi crea e chi compra. C’è una cultura che altrimenti va a morire. Io voglio spiegargli cos’è e come lo facciamo ed essere sicura che piaccia, non posso solo scrivere: cm tot, peso tot, mi rifiuto.”
“Analogamente, non mi piace l’idea di espandermi troppo e diventare un prodotto commerciale – Caputi ha negozi a Firenze, Parigi, Milano, Forte dei Marmi, Vienna e Lugano, ma non in America. No, in America non ho esclusivisti, vendo bene specie in California e Florida, ma forse perché sono una egocentrica, l’idea di non poter seguire direttamente il negozio non mi piace. Con i negozi io cerco di capire la clientela, di dare quello che la gente può apprezzare.”

Le vetrine dell’istituto Italiano di Cultura di New York sono piene di pezzi delle passate collezioni, da quella dedicata al David di Michelangelo, ai cornetti scaramantici, al rigoroso bianco e nero. E il tartarugato. “È la nuova collezione. Un materiale molto antico coniugato ad uno contemporaneo tagliato al laser.” Strepitoso.