Nei suoi 22 anni di carriera come regista Monica Stambrini ha diretto Le Ragazze del Porno, un progetto collettivo di film erotici d’autore di registe italiane, Io sono Valentina Nappi e Queen Kong. Il suo ultimo lavoro Chutzpah – Qualcosa sul pudore, uscito nel 2023, fa il suo debutto negli Stati Uniti il 22 aprile 2024 alla 13ª edizione del Queens World Film Festival (QWFF), la rassegna internazionale di cinema indipendente organizzato dai residenti del Queens, Donald Preston Cato e Katha Cato.
Con una telecamera come compagna di viaggio, Stambrini sfida se stessa e il mondo esterno, navigando tra i flutti dell’alcol, della maternità, della sessualità e della ricerca interiore. Il risultato è un’opera cinematografica che invita lo spettatore a riflettere sul rapporto con la propria identità e la propria storia, aprendo le porte a una terapia visiva condivisa.
“Attraversavo un periodo di crisi esistenziale – racconta la regista – e mettermi di fronte alla macchina da presa è stata una sorta di necessità, un modo per cercare di dare un senso alla mia vita affettiva e lavorativa”.

Stambrini inizia a registrare in modo ossessivo ogni cosa: i momenti con i suoi genitori, nonni, figli, amici e partner, così come le sessioni di terapia. Un film che diventa un’indagine intima e pubblica sulla propria vita, raccontato attraverso riprese contemporanee con il cellulare e tanto found footage realizzato dalla cineasta nel corso di una vita, spezzoni rimasti chiusi in un cassetto per ben dieci anni. “Trovare questi filmati è stato come colmare un vuoto, ha approfondito la mia ricerca interiore, spingendomi a guardare e a comprendere me stessa, quasi come se stessi facendo terapia con uno psicologo, e come faccio spesso nei miei autoritratti”.
La regista è nata a Mountain View, California, dove i giovani genitori erano espatriati per gli studi di psichiatria del padre Giulio Stambrini. Poi il divorzio, il rientro in Italia, la vita della bambina divisa tra il papà e la mamma, il rapporto con i nonni e in particolare le nonne.
“Esporre al pubblico la mia famiglia è stata la parte più difficile, i miei genitori, mio padre in particolare, e lo è ancora oggi”, dice. “Li ho messi di fronte a domande scomode che non avevo mai avuto il coraggio di fare prima, e a quelle accuse che non gli avevo mai rivolto per non ferirli”. I due figli della regista sono i protagonisti più autentici del racconto, gli unici che, pur indagati spudoratamente da vicino, anche sul wc, tengono testa alla mamma stando al gioco con allegria e tenerezza.

Queste immagini diventano per Stambrini il terreno per sondare quel sentimento di rottura che percepisce dentro di sé. Quando scopri cose in un periodo caotico significa che per un lungo tempo non le hai conosciute. Dopo la separazione dal marito, vive una doppia vita, alternando settimane da madre a settimane da sola con molto alcol a disposizione. Stambrini nel film si mette a nudo con innocente sfacciataggine, e in un certo senso obbliga gli altri, consenzienti, come i genitori, o non consenzienti, come la psicoterapeuta che viene registrata di nascosto, ad essere i personaggi del suo film: “Dopotutto stavo mettendo scena la mia vita privata, non la sua”.
Nella sua ricerca personale di identità e di tanti perché, è la regista che guida e manovra la fotocamera del cellulare e i racconti altrui, sempre attraversando il confine tra ciò che è privato, privacy e pubblico, pubblicabile.
E per farlo esce dagli schemi e dal comune senso del pudore. Come recita lo stesso titolo Chutzpah che in yiddish significa spudoratezza. “Portare il porno sul grande schermo e cercare di trasformare il linguaggio pornografico in un’arte richiede lavoro e coraggio. E questo non solo in quanto donna ma anche perché non sono una regista di porno. Ho sempre avuto una passione per i film audaci che turbano, sorprendono e emozionano”.
Cosa che le aveva permesso di realizzare Ragazze del Porno, un progetto autoprodotto, girato in bagno e montato in cucina. “Mentre montavamo il film con Paola Freddi ci divertivamo a riflettere sul tema del film, la pornografia, e scherzavamo sul fatto che trattare l’intimità in modo così autobiografico, mescolando realtà e finzione, fosse in realtà più audace del fare porno stesso”.
Ma come reagirà il pubblico americano? “Negli Stati Uniti c’è una duplice natura”, spiega la regista, “da un lato, gli americani sono molto aperti, radicali e accoglienti verso ciò che è nuovo e audace; dall’altro, c’è una certa prudenza, specialmente in un’epoca di grande sensibilità politicamente corretta. Le donne spesso esplorano la propria intimità più degli uomini, riflettendo una maggiore attenzione all’autoesplorazione femminile e al coraggio delle donne. Queen Kong ha avuto successo negli Stati Uniti, vincendo numerosi premi, anche se ha suscitato reazioni contrastanti. Questa dualità degli americani può sembrare contraddittoria, ma è affascinante, poiché l’underground americano rappresenta sempre un’avanguardia”.