Lei scrive libri sulla famiglia: si sente più autore di fantascienza o archeologo?
“(sorride) Né l’uno, né l’altro. Diciamo che osservo dall’interno una società sempre più precaria, specchio del contatto quotidiano con la realtà. Registro la vulnerabilità della coppia legata alle condizioni materiali, l’instabilità fra i coniugi, la fragilità del ruolo di genitore. E cerco di dare una mano a chi deve destreggiarsi in una palude piena di insidie”.
Simone Bruno risponde alla piccola provocazione. È un sacerdote di 49 anni, pugliese di Putignano, psicologo e psicoterapeuta, dottorato di ricerca in Psicologia della comunicazione, docenza alla facoltà di Scienze della formazione nell’Università di Bari. Giornalista professionista, dirige le Edizioni San Paolo e la testata Il Giornalino. Nei suoi saggi si è occupato dei legami affettivi tra padre, madre e bambino, e della reciprocità uomo-donna. Però è soprattutto l’ultimo volumetto ad aver suscitato interesse, approvazione e una buona dose di critiche feroci. Il titolo è un interrogativo spinoso: Siamo sempre una famiglia?
Don Bruno è un prete moderno, coraggioso e dinamico. Ha appena partecipato al Book Pride di Milano, il 6 aprile terrà uno speech a Bologna organizzato dal gruppo dei Cristiani radicali e introdotto dal vicario episcopale don Davide Baraldi. Fa parte di quella Chiesa ospedale da campo che tanto piace a Bergoglio e si muove – spiega – nel solco dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, la gioia nell’amore. Il problema è capire di quale amore parliamo. E soprattutto di quale famiglia.
Che cos’è la famiglia oggi, ammesso che esista ancora?
“Le famiglie benedette dal sacramento del matrimonio, tradizionali e naturali, non si toccano. Certo sono ferite, deboli, spesso in crisi profonda: si dibattono tra mille problemi. Ma esistono. Resistono. Vanno accompagnate nel percorso perché il concetto moglie-marito-figli è irrinunciabile. Sottolineato questo, ci sono altre tipologie che non possiamo ignorare: sottosistemi in cerca di legittimazione”.
Vuole elencarli?
“Coppie di fatto, famiglie allargate che comprendono figli nati da precedenti unioni, famiglie ricostituite da persone separate o divorziate. E coppie omosessuali”.
Terreno scivoloso: come l’affronta?
“Stando al centro, la posizione più difficile. Credo nel dialogo evitando di giudicare. Non assolvo e non condanno: rifiuto le sentenze preventive davanti a un dato antropologico oggettivo. Cerco sempre di avere uno sguardo realista. Sereno”.
Proviamo a esaminare queste nuove famiglie una per una? Partiamo dai conviventi.
“Otto coppie su dieci fra quelle che partecipano ai corsi prematrimoniali sono conviventi. In molti casi hanno già dei figli. Non ha senso bollarli come adulti incapaci di scelte definitive: due immaturi egoisti che privano i bambini, quando ci sono, di un contesto affettivo solido e di una buona educazione. Questa sintesi è semplicistica e assolutamente ingiusta. Sono a tutti evidenti le condizioni materiali che minano dall’esterno l’organizzazione di un matrimonio stabile. Se il lavoro è precario, se si fatica ad arrivare alla fine del mese, se il futuro è un’incognita, come si può accusare di disobbedienza al Vangelo due persone che comunque decidono di vivere assieme? È essenziale tenere in considerazione tutti gli elementi, situazione per situazione”.
Poi ci sono quelli della seconda occasione: famiglie allargate e famiglie ricostituite.
“Anche rispetto a loro il discorso di fondo è il medesimo. Nella maggior parte dei casi si tratta di coppie che hanno alle spalle una situazione personale non cercata e non voluta. Sono incolpevoli, eppure per certi aspetti dolorosamente ai margini della Chiesa: mi riferisco all’eucaristia, innanzitutto. Sta alla comunità cristiana essere la madre che le abbraccia, per non farle sentire abbandonate”.
Veniamo al punto più divisivo: le unioni gay.
“Gli omosessuali si innamorano come gli eterosessuali , stringono legami affettivi forti, desiderano una convivenza pienamente riconosciuta per costruire da lì un progetto di vita comune. Rivendicano il diritto all’appartenenza reciproca, la possibilità dell’uno di prendersi cura dell’altro. Senza essere etichettati, senza vergogna, senza più sensi di colpa. Di fronte a queste evidenze comprensibili il compito della Chiesa non è creare o sottolineare traumi: è amare”.
Amare le persone gay singolarmente o anche le famiglie gay?
“Il discorso è talmente complesso che certe volte pare di camminare sulle uova. Mi rifaccio al principio di bontà accostandomi alle radici della fede. Mi fermo qui: andare oltre sarebbe una fuga in avanti, dannosa per chi invece va protetto”.
La Chiesa è spaccata su questo punto: è possibile armonizzare le posizioni?
“Serve tempo, la strada da fare è tanta, tanta, tanta. Il punto di partenza è però una verità indiscutibile: ogni credente è un battezzato, non esistono cristiani di serie A e serie B. Nessuno sceglie di essere gay. L’orientamento sessuale è l’esito complesso e articolato dello sviluppo umano, che tiene conto degli aspetti biologici, psicologici e sociali. Per questo riguarda la dimensione intima e immodificabile della personalità di ciascuno”.
Gli ultras tradizionalisti vorrebbero metterla al rogo per le sue idee. Dicono di lei: il prete paolino ha dimenticato San Paolo…
“Sono stordito dall’esasperazione della dottrina, stufo delle ipocrisie che causano solo dolore. Consiglio una rilettura teologica profonda delle Sacre Scritture, alla luce del magistero del Papa che si fonda su tre semplici regole: accogliere, discernere, integrare. È questo il compito della Chiesa”.