Sarà ancora una ennesima giornata di lotta contro la violenza di genere, per i diritti e l’autodeterminazione delle donne. Abbiamo ancora bisogno dell’8 marzo, Giornata internazionale della donna, per ribadire che non può e non deve essere così. Sono le voci di Io mi canto da sola, uno spettacolo- tributo alle donne che hanno lottato, sofferto e resistito nell’ombra della storia.
A metterlo in scena sul palco della Casa Italiana Zerilli Marimò New York University, quattro attrici della compagnia All’italiana – Italian Boston Theatre Company. Eleonora Francesca Cordovani, Chiara Durazzini, Rossella Mancullo, Carmen Marsico, hanno proposto al pubblico una serie di monologhi e canzoni su donne storiche italiane sopravvissute alla violenza, all’abuso e al patriarcato.
Da Michela Murgia che nel saggio Stai Zitta (2021) ha evidenziato il legame mortificante che esiste tra le ingiustizie subite dalle donne e le parole che alle donne vengono dette, a Franca Rame che in Lo stupro (2009) raccontò la violenza subita, manifestazione di un rapporto diseguale nel quale gli uomini prevaricano e discriminano le donne. Dalle donne contemporanee di Le Beatrici (2011) di Stefano Benni, a Artemisia Gentileschi pittrice barocca che si ribellò allo stupro portando a caro prezzo il suo carnefice in tribunale, fino a Gostanza da Libbiano, accusata ingiustamente di stregoneria nel Cinquecento.
Eleonora Francesca Cordovani, direttrice della compagnia teatrale spiega bene che se non si passa all’azione, nulla potrà cambiare davvero. “Ho iniziato a lavorare a questo progetto dieci anni fa quando vivevo ancora in Italia. L’idea nasce dai Monologhi della vagina di Eve Ensler alle cui produzioni ho partecipato sia negli Stati Uniti che in Italia. Ho pensato che sarebbe stato interessante fare una cosa simile in Italia, un paese in cui si uccidono le donne in numero maggiore rispetto agli altri Paesi. Ho fatto ricerche su figure femminili realmente esistite che si sono opposte alla violenza e al patriarcato per mettere in scena le loro storie non solo sui palchi delle città italiane ma anche qui negli Stati Uniti; il patriarcato rimane la causa fondamentale delle violenze degli uomini sulle donne non solo italiane“.
Al centro di tutto c’è la potenza della narrazione, che trasforma il palcoscenico in un luogo di consapevolezza e cambiamento. Tutto l’impianto tecnico e scenico è stato costruito al fine di dare esattamente questa sensazione; e allora assumono un significato profondo la scelta dei vestiti bianchi delle attrici, la scenografia essenziale e minimalista e una colonna sonora che nella voce di Carmen Marsico ripercorre storie di donne vittime di violenza ma che hanno avuto il coraggio di reagire e di rifarsi un progetto di vita. Tra queste c’è Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare pubblicamente il matrimonio riparatore.

Ogni parola e ogni nota portano con sé il peso di secoli di lotta e sacrificio. I monologhi in scena restano fedeli al testo originale: “Le uniche modifiche riguardano gli atti del processo ad Artemisia Gentileschi e Gostanza da Libbiano”, precisa Cordovani, “e questo per renderli più contemporanei ed accessibili ad un pubblico moderno. Molti passi avanti sono stati fatti e molti diritti conquistati, eppure è sconcertante leggere testimonianze di donne che appartengono a periodi storici così lontani tra loro e scoprire che le dinamiche di controllo e sopraffazione sopravvivono ancora oggi”.
Con un linguaggio diretto e senza filtri, le quattro attrici affrontano le realtà crude e spietate delle esperienze femminili nel corso dei secoli. “Sono monologhi intensi, ben tre raccontano la violenza in modo molto esplicito, a questi abbiamo affiancato uno più leggero tratto dal libro corale Le Beatrici di Benni, dove, con amara ironia, otto donne rivelano le brutture della nostra società”.
In un mondo che spesso dimentica o minimizza il contributo delle donne alla storia, Io mi canto da sola è un promemoria che le voci delle donne non possono essere ignorate o silenziate, e che ogni storia, anche la più oscura, merita di essere raccontata e ascoltata. “Alcune di queste toccano le esperienze personali delle stesse attrici. Per loro è stata una sfida manifestare fisicamente ed emotivamente i drammi rappresentati in scena.A conferma che tutte le donne hanno vissuto nel corso della loro vita almeno un episodio di violenza o molestia maschile. E che ognuna di noi mette in atto le strategie più varie per sentirsi sicura tra le vie della propria città. Ad esempio, quello che dovrebbe essere un diritto, tornare a casa liberamente e in sicurezza – nei fatti non lo è”.
Il pubblico è silenzioso, scosso. È inevitabile. “Non è semplice portare in scena una tematica così delicata, soprattutto quando la platea è quella delle scuole”, commenta Cordovani. “A volte il pubblico, sia donne che uomini, si sente offeso o lascia la sala prima della fine. È la dimostrazione che il teatro può e deve diventare occasione per provare a smuovere le coscienze. Lo scopo è ricordare le sofferenze delle donne, ma anche evidenziarne lo spirito combattivo e la capacità di reagire alle avversità della vita”.