Come ogni dicembre, al Metropolitan Museum of Art di New York si chiude l’anno con moda e stile. Da oggi, 7 dicembre, fino al 3 marzo 2024, il Costume Institute del museo più grande di tutti celebra l’opera delle stiliste donne di tutto il mondo con la mostra Women Dressing Women.
Co-curata da Mellissa Huber e Karen Van Godtsenhoven, la rassegna esplora la creatività e l’eredità artistica delle stiliste della collezione permanente del Met, insieme ad un insieme fitto di nomi che va dalla fine del XX secolo ai giorni nostri, e mette in evidenza designer celebri, nuove voci e figure dimenticate, a prova del fatto che l’industria del fashion è da sempre forte dell’ingegno al femminile.
Lo stesso titolo – “donne che vestono donne” – enuncia la caratteristica trasversale di un lavoro che appartiene unicamente a loro. Insieme ai profili di settanta creatrici di moda, dal 1910 al 2022 circa, la mostra traccia altresì la storia di importanti brand guidati da donne. Dall’haute couture francese di case come Jeanne Lanvin e Elsa Schiaparelli, alle americane Ann Lowe e Claire McCardell, insieme a colleghe contemporanee, Iris van Herpen e Simone Rocha.

Women Dressing Women ha subito un forte ritardo a causa della pandemia. Era in progetto per festeggiare i 100 anni delle Suffragette, tre anni fa. Il Metropolitan Museum è noto per aver dedicato grandi mostre a donne singolari, talenti che hanno cambiato la moda – Coco Chanel, Madame Grès, Rei Kawakubo, Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada – rassegne considerate tra le più rilevanti a livello mondiale, ma mai prima il Costume Institute aveva rivolto l’attenzione alla creatività e all’eredità artistica delle donne designer con l’intento di percorrere la storia della moda tutta.
“Questa mostra inviterà i visitatori a riflettere sui contributi che le donne hanno dato alla moda. Women Dressing Women rappresenterà anche la dedizione da parte del Museo ad amplificare voci storicamente sottovalutate e celebrando il lavoro di coloro che sono diventati nomi familiari”, ha detto Max Hollen, direttore del Metropolitan Museum.

L’exhibition si snoda attraverso l’esplorazione di quattro nozioni chiave – anonimato, visibilità, e assenza/omissione – offrendo una nuova interpretazione del canone tradizionale della storia della moda e mette in risalto il modo in cui l’industria è servita come potente veicolo per l’autonomia sociale, finanziaria e creativa delle donne.
Una sezione della mostra “si occupa dei modi in cui le donne hanno utilizzato la moda per sovvertire i valori convenzionali della bellezza ed esplora come l’abbigliamento possa dare autonomia a chi lo indossa”, ha affermato Mellissa Huber, co-curatrice. I punti salienti includono un body in pizzo riciclato di Hillary Taymour, indossato sulla passerella da Aaron Rose Philip, un modello con paralisi cerebrale che usa una sedia a rotelle elettrica. Taymour ha sviluppato strategie per creare abiti ampiamente accessibili per taglia, età e sesso.

Infine, l’exhibition si conclude con un’esplorazione di coloro che sono stati omessi dalle tradizionali narrazioni sulla moda. Forse la più notevole è Ann Lowe, una designer nera che ha lavorato durante il periodo della segregazione. La mostra presenta l’abito color crema lungo fino al pavimento di Lowe, decorato con i suoi caratteristici garofani rosa sulla gonna e un nastro sul busto. Lowe ha persino cucito l’abito da sposa per Jacqueline Kennedy, anche se all’epoca non ottenne alcun riconoscimento.
Riflettendo, Women Dressing Women sarà cassa di risonanza del periodo attuale, momento che vede stiliste appropriarsi del timone di brand di levatura mondiale: a partire dall’italiana Maria Grazia Chiuri che dal 2016 è direttrice creativa per la linea femminile di Christian Dior. Quindi Virginie Viard per Chanel nel 2019, la prima stilista donna dopo Coco. Hermès ne ha volute addirittura due, per entrambe le linee, Nadège Vanhee-Cybulski e Véronique Nichanian. ll periodo al femminile nella moda è d’oro, dunque, e nonostante nel settore gli uomini costituiscano ancora la percentuale maggiore di amministratori delegati così come gli stilisti a capo dei più grandi marchi siano stati uomini per decenni, ci piace pensare che in una certa misura il futuro possa essere più rosa.