Appuntatevi queste due date, 25 e 28 giugno 2024 e il luogo: Metropolitan Opera House. È lì che Alessandra Ferri debutterà con i danzatori dell’American Ballet Theatre in Woof Work, un ricordo di Virginia Woolf, trasfigurato in danza e creato, nel 2015, con lei e per lei dal britannico Wayne McGregor. Principale coreografo residente al Royal Ballet, e ancora per il 2024 direttore artistico della Biennale Danza, a Venezia, McGregor ha venduto i diritti del suo fortunato balletto all’ABT,
dopo averli concessi, nel 2019, anche alla compagnia del Teatro alla Scala.
La notizia in questi mesi aleggiata intorno all’amatissima étoile italiana di nascita (6 maggio 1963), ma internazionale di fama, cioè l’incarico, accettato, di direttrice artistica del Wiener Staatsoper Ballett, si concretizzerà il primo settembre 2025: dunque in un futuro ancora foriero di molte sorprese.
In maggio Ferri lascerà Londra, città dove si è formata, ha vissuto a lungo e ancora abita, per riassaporare l’aria e sentire sulla propria pelle l’energia di una megalopoli che le è rimasta nel cuore. “Risiedere per trent’anni a New York, com’è capitato a me, quando, nel 1985, Michail Baryšnikov m’invitò proprio all’ABT di cui all’epoca era direttore, ti lascia un segno profondo”, assicura. “Londra non è certo un piccolo centro: è immensa, organizzata, vivace ma New York ogni tanto mi manca; sento di averci ancora delle radici. Ritornare tra alcuni mesi sarà emozionante; Susan Jaffe danzava con me quand’ero nella compagnia che ora lei, dopo Kevin McKenzie, dirige; il nuovo ABT sarà un ambiente amico”.
Nota oltre che per il talento, per la sensibilità espressiva da grande tragédienne tante volte affiancata a Carla Fracci, l’indomita Ferri, come si ricorderà, coltivò il pensiero di ritirarsi dalle scene nel corso del 2007. Lo attuò congedandosi prima dal pubblico americano e dall’ABT nel ruolo di Giulietta, accanto a Roberto Bolle, poi al Teatro alla Scala (ove dal 1992 era Prima ballerina assoluta), calandosi nei panni di Marguerite in La Dame aux Camélias di John Neumeier (il partner, ancora Bolle). Tuttavia la danza continuava a essere la sua grande passione e necessità.
Nel 2008 si occupò della programmazione coreutica per il Festival dei Due Mondi di Spoleto: forse una premonizione… Nel 2013, allontanatasi da Fabrizio Ferri, il marito fotografo da cui ebbe due figlie, Matilde ed Emma, tornò sulle punte proprio a Spoleto in The Piano Upstairs, una pièce da lei stessa firmata e da quell’anno in poi non ha più smesso di danzare. Acclamata a Broadway nel balletto Chéri firmato da Martha Clarke, ebbe accanto per la prima volta Herman Cornejo, il danzatore argentino, a lungo suo partner sino a che la chiamata al Royal Ballet per Wolf Work non coincise con il suo vero e trionfale ritorno alle scene.

Grazie alla pièce di Wayne McGregor, ispirata a tre racconti di Virginia Woolf, la star ottenne l’“Oliver Award for Outstandng Achievement in Dance” e si assicurò il ruolo di étoile al Royal Ballet proprio a Londra, la città prescelta per il suo desiderato rientro in Europa. Anche ora la sua “english life” è scandita da un lavoro pressante e di estrema delicatezza. Curare il repertorio e affiancarsi come coach ai Primi ballerini e non solo, le ha impedito di appendere le scarpette al chiodo, e invece concesso di elargire la sua lunga esperienza, punteggiata di premi e collaborazioni con coreografi di fama (tra i quali Jerome Robbins, Twyla Tharp, Agnes De Mille, Anthony Tudor, Jiří Kylián, Roland Petit), a giovani talenti in divenire, mostrando, correggendo, danzando con loro.
L’ampiezza del suo odierno posto di lavoro non è l’unico aspetto che le fa amare questa struttura d’opera, concerti e danza: piuttosto è la sua organizzazione
armoniosa ove tutto s’incastra a meraviglia incluso un festival per giovani talenti. “Se ripenso a quando arrivai alla Scuola del Royal Ballet, quindicenne (per diventare
Principal Dancer della compagnia a diciannove anni n.d.r.), non vedo certo l’odierna struttura della Royal Opera House Covent Garden”, commenta, “piuttosto qualcosa di simile al Teatro alla Scala, com’è ancora oggi, privato di uno spazio storico e affascinante qual era la Piccola Scala di cui provo nostalgia”.
Tanto affezionata al suo passato, a ciò che lei stessa ha danzato nel mondo quanto appassionata cultrice del suo presente, Alessandra Ferri, mentre scriviamo, si occupa anche della messa a punto di Giselle per l’English National Ballet. Il neo-eletto direttore, Aaron S. Watkin, stupito della sua tranquilla autorevolezza, le ha chiesto di seguire i giovani ballerini della nota compagnia itinerante in vista del debutto al London Coliseum nel gennaio 2024.
“Spiegare com’è nato un balletto, in quale contesto storico e cosa ancora può e deve dare al pubblico, è molto importante per chi va in scena, ma anche per chi ha il
compito di aprire le menti di corpi freschi e inesperti non solo alla comprensione tecnica, in questo caso della tradizione, ma anche al pensiero che la sorregge”, dice Ferri.
Nel 2021, riadattando a sé una pièce creata da Maurice Béjart nel 1998 per Carla Fracci e Micha van Hoecke: L’heure exquise, si è calata nei panni di Winnie, la ballerina agée non più sommersa in una collina di sabbia, bensì in una montagna di vecchie scarpette da punta. È un personaggio che vive di una cultura interpretativa totale (parla, borbotta, canta), che abbraccia la mente e l’interiorità mentre danza. Questa convinzione sarà di sicuro uno dei vademecum/Ferri a Vienna.
Distintasi per la sua personalità, le sue idee, i suoi programmi e prevalendo su trentanove concorrenti, la futura direttrice del Wienerstaatsoper Ballett è già al lavoro
con Bogdan Roščić, alla testa dell’intera Opera viennese e con Lotte de Beer, che presiede la Wiener Volksoper.“ Darò tutta me stessa” assicura “per abbracciare quest’avventura nel migliore dei modi; dovrò dirigere una compagnia di oltre un centinaio di elementi e un secondo ensemble di ventiquattro ballerini stabili, impegnati nelle opere alla Volksoper e non solo”.
Desiderando occuparsi anche della Scuola di Ballo, l’esile étoile dalle sembianze di ragazzina, ricoprirà pure il ruolo di direttrice dell’Akademie dello Staatsoper Ballett. “Ritengo si debba creare un organismo unico, un’impostazione metodologica consonante, in cui il lavoro della formazione si rifletta in quello della compagnia”, asserisce la star. Ferri sa bene che le radici del balletto viennese poggiano sulla tradizione; e di questo il grande pubblico della città si nutre e va in cerca.
Compatibilmente con le economie promette di inserire anche pièce del nostro tempo. Infine è sicura che l’assenza di suoi precedenti a Vienna, sia una
potenziale chance per “arrivare con apertura e totale libertà mentale; con uno sguardo pulito, libero di creare un nuovo legame duraturo”. L’ex capitale asburgica è molto diversa da Londra e New York, forse meno elettrica, più tranquilla ma piena di tesori storici ai quali ispirarsi. Ancora una rinascita, in un territorio sconosciuto ma con ballerini, in parte già noti per il loro valore: un’ennesima, inedita sfida.