Dai tempi delle guerre persiane, Oriente e Occidente sono fratelli coltelli, amici e nemici: l’analisi di Franco Cardini, in libreria con La deriva dell’Occidente (Laterza 2023), parte dall’imposizione occidentale del proprio canone in ambito storiografico, politico ed economico. La tesi dell’autore sottolinea i rischi di porre l’Occidente come inizio e fine della Storia, come l’unica realtà degna di ascolto, nota e parola.
Sussiste da secoli, avverte Cardini, la tentazione di considerare storia o storia da studiare solo quella occidentale. Per lo meno in Occidente. L’autore non ha tutti i torti a sottolineare come la logica del “the West and the Rest” sia consustanziale all’Occidente. Franco Cardini ricorda che oggi gli happy few
sempre più ricchi e meno numerosi si contrappongono delle masse e questo ha generato una infelicità profonda. “Modernità infelice, o comunque insoddisfatta”, scrive. Difatti il West non può fare a meno del Rest.
L’autore ripercorre dal Cinquecento la dicotomia tra Occidente e Oriente alla luce di quest’ultima tesi. In particolare, l’Occidente ha sempre avuto bisogno dell’Oriente se non altro per il commercio che garantiva sicurezza e integrazione tra Europa e il Rest. Franco Cardini si aggiunge alla lista dei critici della tesi sulla “fine della Storia” di Francis Fukuyama. “Ormai crediamo sempre meno che la storia sia dotata di un ‘senso’ e di una ‘ragione’ immanenti”.
“L’Oriente è l’Oriente, l’Occidente è l’Occidente: e nessuno potrà mai accordarli”, si spingeva a dire Rudyard Kipling. La logica dicotomica è andata avanti per secoli. E a lungo andare ha indebolito l’Europa, così come l’ha indebolita il colonialismo indiscriminato.
A condizionare i sensi di colpa dell’Occidente ci sono anche le questioni migratorie. In maniera polemica, Cardini si scaglia contro lobby e NGOs che operano in questo settore e fa una critica alle istituzioni internazionali.
L’autore ritorna alla profezia di Oswald Spengler – che sembra apprezzare – che oltre un secolo fa prevedeva il tramonto della civiltà occidentale. Una tesi compatibile con quella di Antonio Negri e Michael Hardt sulla nascita, nel Dopoguerra, di un nuovo “impero”, inteso come ordine sovranazionale e non solo “impero americano”, che predilige il libero mercato e i fora di G8, NATO, Banca Mondiale e FMI. Tutte istituzioni spesso e volentieri accusate di essere i burattinai (occidentali) della globalizzazione.
Su questa linea, conclude, Cardini: “Il “grande complotto” […] non esiste […]. Ma disegni e programmi formulati per conseguire interessi particolari di lobby e da personaggi […] sopra la legalità interna e internazionale, questi sì […]. E le sedi delle corporations, dei clubs, delle banche, delle imprese […] sono ben fornite di stanze dei bottoni”. In quest’ottica, aveva forse ragione Spengler? Che forse il sole dell’Europa è tramontato?