Ormai non esiste più dubbio: Corto Maltese è uno e trino. C’è quello incontrato nel luglio del ’67 sulla rivista Sgt. Kirk: il marinaio legato a una zattera che vaga alla deriva al largo delle isole Salomone. Era l’inizio di Una ballata del mare salato, l’epifania del mito proseguita per 29 puntate fino alla scomparsa del demiurgo nel 1995. Al contrario di Schulz che sovrappose la morte dei Peanuts alla sua, Hugo Pratt ha lasciato spazio a chi avesse voluto continuarne l’opera.
Così abbiamo conosciuto il Maltese dei due spagnoli Pellejero e Canales, che hanno confezionato quattro storie classiche (pubblicate da Rizzoli-Lizard) stilisticamente in linea con il predecessore. Due anni fa ecco invece la grande novità che ha frantumato gli schemi: un terzo Corto realizzato da Bastien Vivès, disegnatore, e Martin Quenehen, scrittore. I due francesi hanno preso il pirata di carta, ne hanno modificato la data di nascita al 1980 più o meno, gli hanno messo addosso abiti di oggi e l’hanno sparato nella capsula del tempo. Paracadutandolo sul ventunesimo secolo.
Oceano nero, il loro romanzo a fumetti uscito due anni fa, doveva essere una scommessa singola: un colpo di roulette e poi rien ne va plus. Invece no. È ora in libreria questo appassionante La regina di Babilonia edito da Cong – casa madre svizzera detentrice dei diritti dell’opera di Pratt – che farà felici gli aficionados. Di certo i ragazzi dell’era Netfilx, attratti da trame cinematografiche serrate e colpi di scena a ripetizione. Quindi la generazione di mezzo cresciuta (ma quanto poi?) con la saga di Indiana Jones a caccia di misteri. Infine i puristi: anche loro avranno capito che tutto deve cambiare per restare uguale. Perché Corto è sempre lo stesso nei tratti fondamentali: lo spirito libero, l’ironia, i sentimenti profondi, il desiderio d’avventura.
Certo le differenze esistono eccome. Scordatevi il tocco lieve degli acquerelli del maestro di Malamocco: qui campeggiano un profondo nero, il bianco abbagliante e soprattutto i toni grigi tra flash di luce e ombre. Non troverete i gabbiani in volo, piuttosto i piccioni di piazza San Marco. Al posto dei mari del Sud c’è l’Adriatico. E le riflessioni affondano nel dolore, mai nella leggerezza del sogno o del viaggio. Ci sono però le donne – un lampo fra tutte: Freya -, questo sì. Hanno bellezza, anima e molto corpo. A cominciare dalla protagonista Semira, personaggio chiave al fianco del nostro eroe: una combattente musulmana che tiene legata al collo la spoletta di una bomba. Meglio esplodere che essere catturata dai serbi, “meglio rompersi fuori che dentro” spiega nella esemplare postfazione Marco Steiner. Si chiama così in ricordo di Semiramide, leggendaria regina-guerriera vissuta sulle sponde dell’Eufrate nove secoli prima di Cristo, che conquistò tutto l’Oriente.
Corto è innamorato di Samira, ricambiato. La storia comincia a Venezia – è l’ottobre del 2002 – con un bacio che riempie due pagine. Lui le chiede: “E se sparissimo? Io e te da soli”. Lieto fine impossibile. Troppi morti attorno. Troppo odio, troppo rancore, troppa violenza. Troppi affari sporchi e conti in sospeso tra la fine del conflitto nell’ex Jugoslavia e l’inizio della seconda guerra del Golfo. Se in Oceano nero l’evento cruciale era l’attentato alle Torri Gemelle, ne La regina di Babilonia lo sfondo è la tragedia dei Balcani con le scie della vendetta etnica. Il galà in laguna a bordo di uno yacht, che apre la vicenda, è già una festa di sangue con in campo trafficanti d’armi serbi e iracheni, una cassaforte zeppa di dollari, agenti della Cia, jihadisti, mercanti d’arte. E il fantasma di Ishtar, dea della guerra e dell’amore che scenderà all’inferno. Corto viene catturato dai servizi Usa e imprigionato in un sito segreto nell’Iraq occupato, non lontano dalle rovine di Babilonia dove da qualche parte è nascosto il favoloso tesoro di Alessandro Magno.
Come nella migliore tradizione di Pratt, l’avventura è abitata da personaggi reali. C’è Ismet Bajramović detto Celo, capo sanguinario della resistenza bosniaca e cocainomane legato a bande criminali: morirà nel 2008, sparandosi un colpo alla tempia. Ci sono Annie Leibowitz, la fotografa delle rockstar, e Gina Haspel, che anni dopo sarebbe stata nominata da Trump direttrice della Cia malgrado le accuse di tortura sui prigionieri. Ultima nota: il marinaio con l’orecchino non si sposerà mai. Non può infilare la fede nuziale all’anulare sinistro, perché una lama nemica gliel’ha amputato. È il destino dell’uomo del destino.