Com’è bello far l’amore da Trieste in giù / l’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu. Era il 1978 quando Raffaella osò l’inosabile portando in tivù una canzone che lasciava liberi tutti. Messaggio forte e chiaro lanciato nelle case italiane: ognuno poteva fare in camera da letto quel che voleva e con chi voleva. In che modo c’è riuscita sbaragliando censure, scandali e pregiudizi? Adesso lo sappiamo: semplicemente, la Carrà era un’aliena. Catapultata sulla Terra dal re di Arkadia, il pianeta della bellezza, per regalare gioia a un’umanità senza sorrisi.
La rivelazione arriva da un’opera lirica che più inedita non si può, intitolata Raffa in the sky, che ieri sera ha trionfato – ovazioni, chiamate a ripetizione, bis – nella prima al Donizetti di Bergamo. Niente a che vedere con un musical, tantomeno un biopic. “È un’opera post moderna originale nel soggetto e nella forma, che non si basa su un testo preesistente”, spiega Alberto Mattioli, giornalista e scrittore che ha firmato il libretto con la sceneggiatrice e drammaturga Renata Ciaravino. Lui melomane con oltre duemila rappresentazioni (“stasera alla Scala sarà la numero 2019”, puntualizza) nello zaino di guardone-critico, lei autrice a tutto campo ma senza incursioni nella lirica. Eppure, la strana coppia funziona. Anche perché amalgamata in una squadra che gioca bene, a partire dal numero dieci Francesco Micheli (regista e ideatore del progetto), per proseguire con le ali Lamberto Curtoni (autore della musica) e Carlo Boccadoro (direttore d’orchestra), ben assestata in difesa con i terzini Edoardo Sanchi (scenografo) e Alessio Rosati (costumista), ai lati del libero che è il coreografo Mattia Agatiello.

Tanti nomi, ma andavano fatti. Perché Raffa in the sky è una performance collettiva, che vive di unità stilistica grazie alle contaminazioni e alle citazioni. Esattamente come il personaggio attorno a cui tutto gira: Raffaella Maria Roberta Pelloni, in arte Carrà, nata a Bologna in tempo di guerra: il 21 maggio del ’43. Showgirl, soubrette, ballerina, cantante, conduttrice. Diva del sabato televisivo, il varietà che non c’è più. Attrice nel cinema da Mario Bonnard a Sinatra. Regina pop di Spagna e del Sudamerica. Settant’anni di carriera. Sessanta milioni di dischi venduti. Beniamina dei bambini e icona gay, l’amica di famiglia che sapeva esprimere una trasgressione senza urla. “La popstar italiana che ha insegnato agli europei la gioia del sesso”, la definì il Guardian. Creatura venuta da un altro mondo: extraterrestre, appunto.
Così se Damiano Michieletto ha portato sul palcoscenico la cine-lirica, Micheli propone la sua tele-lirica. Scelta obbligata, viste caratura e provenienza della musa ispiratrice. Scelta rischiosa. Ma chi ha detto che la parabola della Carrà non possa essere rappresentata anche in questo modo? L’operazione riesce perché la trama non è solo biografia. È una fantascienza complessa che entra a gamba tesa nella realtà di una famiglia piccolo borghese, immigrata al nord. Padre e madre che chiudono gli occhi davanti a un figlio omosessuale, attratti come sono dai simboli del boom economico: la cucina a gas, la lavatrice. E la televisione, naturalmente. “Il piccolo schermo ha avuto negli anni ’60 la stessa funzione del melodramma nell’Ottocento: a buon diritto la musica della Carrà appartiene alla memoria comune degli italiani. È così per Va’ pensiero e Nessun dorma, è così allo stesso modo per Rumore, Fiesta oppure per il Tuca tuca e Tanti auguri”, chiosa Mattioli.

Il prodotto finale è un’opera divertente e coraggiosa, che non si vergogna di mettere insieme Hollywood, Méliès e il conte zio di Manzoni (troncare e sopire, sopire e troncare). Che rielabora, spezzetta, trasforma le canzonette in partitura colta. Che affianca con successo le voci liriche pure di Dave Monaco, Gaia Petrone, Carmela Remigio, Roberto Lorenzi e Haris Andrianos a quella leggera di Chiara Dello Iacovo, partita da Sanremo giovani per approdare alla prosa. È lei a impersonare la Raffaella nazionale con il caschetto biondo Vergottini, nella cornice di un teatro musicale che tutto mescola e dove tutto ha un senso. Sottofinale e finale danno la cifra di Raffa in the sky: la profondità sta nella leggerezza, a far l’amore comincia tu.