Ostin, Press, Fineberg, Shrem, Newhouse. Un quintetto da NBA che sta dominando il campionato del mercato dell’arte 2023. Cinque mega collezionisti per cinque monumentali collezioni. Proprietari di fortune sublimi che per un motivo o un altro -divorzio, debiti, decesso, o beneficenza come nel caso degli Shrem- hanno messo in vendita i rispettivi patrimoni artistici. Meravigliosi, museali e, soprattutto, milionari. Luogo dell’offerta: sempre, rigorosamente, uno: New York. Questi primi nove mesi dell’anno hanno confermato un trend che nel 2022 ha toccato la sua apoteosi. Parliamo del passaggio in asta delle single owner collections, le collezioni monoproprietario che nello scorso anno hanno rappresentato quasi un terzo del fatturato globale di tutta la stagione (da 20 miliardi di dollari totali) e rappresentano una delle principali chiavi di lettura del mercato dell’arte post-Covid. Le vendite di queste collezioni, infatti, hanno stabilito un nuovo record nel 2022, raggiungendo 3,99 miliardi di dollari di vendite totali all’asta, superando il record precedente del 2021 e generando il 30,9% delle vendite delle tre major: Sotheby’s, Christie’s e Phillips.
Il comune denominatore di tutte queste mega raccolte? La Grande Mela. Sia perché è stata teatro di tutte le vendite, sia perché, nella maggior parte dei casi, è stata la città dove esse sono state conservate. Ma qual è la chiave del successo di questo format? Perché le aste tematiche, incentrate sulla collezione di un’unica figura, risultano più attrattive per i buyer? In primo, lapalissiano, luogo, perché a grandi collezioni corrispondono grandi opere. E i collezionisti più abbienti, spinti dalla passione e dall’investimento, raramente si lasciano scappare lavori di calibro museale. In seconda istanza, il desiderio di disporre e godere di un’opera appartenuta a un personaggio leggendario nel suo campo d’azione (Mo Ostin, Paul Allen, S.I. Newhouse, David M. Solinger, per fare alcuni esempi emblematici).
Un’aura che si riverbera nell’opera d’arte posseduta dal precedente proprietario. Terzo, delle collezioni (costruite con tutti i crismi) attrae l’organicità, il senso di compiutezza e studio, l’idea che dietro al suo formarsi ci sia stato un ragionamento, un filo rosso che lega ogni opera all’altra. Ad accomunare le sue componenti può essere un artista, un periodo storico, un tema, un genere, un sentimento. Dunque acquistandone un pezzo non si compra solo il suo singolo valore, ma anche quello che ha guadagnato facendo parte di una precisa collezione, la quale è stata assemblata secondo un criterio preciso. E se da tempo il mercato ne ha preso consapevolezza, il 2023 ha allineato i meccanismi in modo che la tendenza si definisse come evidenza. Un assaggio l’avevamo avuto nel 2021, quando la Macklowe Collection si è presa, anche se solo per pochi mesi, il primato di collezione più cara di sempre.

Del resto era una delle aste più attese della stagione. Harry e Linda Macklowe, il loro divorzio milionario, l’obbligo di vendere le opere per spartirsi il patrimonio. Le 35 opere della Macklowe Collection si presentavano da Sotheby’s come uno dei nuclei più preziosi di sempre. E con una narrazione personale che contornava una serie di opere dal valore museale. Tali aspettative si sono condensate in una notte di novembre, con la vendita di capolavori del calibro di Mark Rothko (No. 7, 82 milioni di dollari), Jackson Pollock (Number 17, 61 milioni di dollari), Le nez di Alberto Giacometti (78 milioni) e Nine Marilyns di Andy Warhol (48.5 milioni). In totale furono 676,1 milioni. Che, sommati ai 246 della seconda parte dell’asta, esitata a maggio 2022, hanno permesso alla Macklowe di superare la collezione Rockfeller (835 milioni di dollari nel 2018 da Christie’s).
Il record ha dato lo slancio alle altre grandi collezioni che si apprestavano a salire sul rostro. Come la Thomas e Doris Amman Collection, venduta per oltre 317 milioni sempre a maggio dello scorso anno da Christie’s. Risultato che si compone, per oltre la metà, della vendita di un’unica opera, definita da Alex Rotter, presidente del dipartimento di 20th and 21st century art di Christie’s, come “The most significant 20th-century painting to come to auction in a generation”. Si tratta di Shot Sage Blue Marilyn di Andy Warhol.
Ad acquistarla il gallerista Larry Gagosian, presente nella sala che si affaccia sul Rockefeller Center, probabilmente per un cliente. La cifra? 195 milioni di dollari. Rimane l’opera la più cara di sempre tra quelle realizzate nel XX secolo; la seconda nella classifica generale, inarrivabile il Salvator Mundi di Leonardo (450 milioni). Il ritratto si basa sull’immagine promozionale dell’attrice nel film Niagara e racchiude in sé una stratificata simbologia che parte dallo status di icona di Marilyn e arriva alle promesse infrante del sogno americano. Inoltre, due delle cinque opere di cui si compone la serie erano state colpite dai proiettili sparati da un modella in visita alla Factory dell’artista pop. Una sfiorata tragedia divenuta mito.

Nello stesso mese, qualche giorno più tardi, la Bass Collection si è aggiudicata una sorte simile. Degas, Degas, Degas, Rothko, Rothko, Louis, Balthus, Hammershøi, Balthus, Monet, Monet, Monet. Non è un delirio e nemmeno uno schieramento calcistico, ma può essere almeno altre tre cose: una lista di grandi artisti; la sintesi estrema del soggiorno dell’appartamento di Ann Bass a New York; il catalogo di opere che Christie’s ha venduto per 363 milioni di dollari. La magia di una collezione che ha vissuto, per anni, alle stesse pareti, distillata e dispersa in tante piccole (e care) gocce che per sempre manterranno quella comune provenienza. Una primavera memorabile che ha posto le basi per un autunno irripetibile.
A preparare il terreno la Getty Collection, composta di lotti eterogenei, dipinti ma anche mobili, venduta per 150 milioni di dollari da Christie’s. Ed è stata sempre la stessa maison, un mese dopo, a battere l’asta più importante e ricca della storia. Tra i grattacieli di Manhattan, nella notte del 9 novembre, le prime 60 opere della collezione di Paul Allen, filantropo e cofondatore di Microsoft, sono state vendute per 1,5 miliardi di dollari. Probabilmente quanto di più folle si sia mai visto all’asta. Mossi, tutti insieme, i record di pietre che si pensavano inamovibili. Completamente da riscrivere la classifica dei migliori risultati in asta dei più grandi artisti dell’Otto-Novecento. Record per Paul Signac, con Concarneau, calme du matin (1891) venduto a 39,3 milioni. Il capolavoro puntinista di Seurat, Les Poseuses, Ensemble (Petite version) quintuplicò il precedente record (35 milioni nel 1999 da Sotheby’s) con un’aggiudicazione di 149 milioni.
Un fiore di Georgia O’Keefee (White Rose with Larkspur No. I) è finito tra le mani di una bidder in sala per 26,7 milioni. Gloria anche per Paul Gauguin con Maternité II (105,7 milioni); Cézanne, la cui Montagne Sainte-Victoire è stato venduta per 137,7 milioni; Klimt, con la sublime Birch Forest passata di mano per 104,5 milioni; e Van Gogh, con Verger avec cyprès, uno dei 14 dipinti appartenenti alla serie degli Orchard Paintings, acquistato a 117 milioni. Quota rinascimentale fieramente rappresentata da Sandro Botticelli e la sua La Madonna del Magnificat. Risultati già memorabili, che la seconda tornata ha incrementato ulteriormente portando il ricavato finale a 1,62 miliardi di dollari. Una vetta difficilmente superabile.

Negli stessi giorni (14 novembre) Sotheby’s ha provato a reggere l’urto inferto dalla rivale con la collezioni di David M. Solinger, ex presidente del Whitney Museum di New York. Le opere, alcune di queste passate per il museo, sono valse nel complesso 139,9 milioni di dollari. Le ultime cronache d’oltreoceano, nel mese di maggio, hanno certificato lo storico appena riportato. La Collezione del celebre discografico Mo Ostin ha totalizzato 123,7 milioni, guidata da L’empire des lumières di Magritte venduto per 42,3 milioni.
Esattamente la metà (21,2 milioni) per l’olio su tela Femme nue couchée jouant avec un chat di Pablo Picasso appartenuto ai coniugi Shrem, e per il Burning Standard di Ed Ruscha aggiudicato a 22,3 milioni della Alan and Dorothy Press Collection. La medaglia del realizzo più alto delle ultime mega collezioni, nel complesso, spetta però alla raccolta Gerald Fineberg (top lot un Untitled di Christopher Wool a 10 milioni) con oltre 197 milioni realizzati in due tornate. Venti milioni in più della collezione dell’ex patron dei media Samuel Irving Newhouse: 177,8 milioni di dollari globali, segnati dal prezioso Autoritratto di Francis Bacon da 34,6 milioni. Altre, ennesime, grandi vendite consumatesi sul luccicante sfondo di New York, la metropoli che ha “collezionato” tutte queste collezioni.
Il luogo dove vivono i collezionisti più facoltosi, dove i musei e le gallerie organizzano le mostre più importanti al mondo, dove le strade e i locali nascondono quelli che diventeranno i grandi artisti del futuro, dove le case d’asta aggiudicano un quadro al prezzo di un grattacielo. La città che per natura guarda all’impossibile. E dove, a volte, l’impossibile diventa realtà.