

La prima sensazione che si ha entrando alla mostra Grounded in Clay: The Spirit of Pueblo Pottery, in esposizione da domani nella American Wing del Metropolitan Museum of Art di New York, è la stessa di quando si torna a casa. C’è un’intimità profonda che attrae i visitatori verso i vasi in argilla e ceramica arrivati dal New Mexico di diverse dimensioni, forme, colori e utilizzi.
Le opere, che vanno dall’XI secolo ai nostri giorni, sono state selezionate dalla Vilcek Foundation in collaborazione con l’Indian Arts Research Center della School of Advanced Research (SAR). Ma le vere protagoniste sono le memorie che li accompagnano: ogni didascalia è stata scritta direttamente dai figli e nipoti che ricordano i propri antenati, appartenenti alle venti comunità di Pueblo mentre lavoravano l’argilla e producevano utensili di uso domestico, diventati attraverso questa mostra vere e proprie opere d’arte.
Negli ultimi anni la Vilcek Foundation, in collaborazione con l’Indian Arts Research Center della School of Advanced Research (SAR), si è impegnata a raccogliere in un’unica grande collezione queste ceramiche, conservate dagli eredi di Pueblo. In quanto artisti, studiosi e imprenditori si sono riuniti in un collettivo per condividere le proprie storie e dare continuità all’antica tradizione familiare. Uno fra loro, Brian Vallo, appartenente alla comunità degli Acoma, era già in contatto con la responsabile dell’American Wing, Sylvia Yount.
Poi, nel 2020, è entrata in gioco Patricia Marroquin Norby, la prima curatrice nativa assunta full-time dal MET. E il progetto è andato in porto: una sessantina i curatori che hanno partecipato all’allestimento della mostra e selezionato le opere da esporre per dare un senso di antichità e contemporaneità allo stesso tempo. Le ceramiche sono state distribuite fra il MET, dove ci ha lavorato Norby, e la sede della Vilcek Foundation, dove se n’è occupato Vallo. “Il progetto iniziale che Vallo aveva in mente nel tempo si è sviluppato: adesso coinvolge molte più persone, molte più comunità e hanno lavorato tutti insieme per scrivere i testi, le descrizioni e organizzare gli spazi affinché tutte le voci riuscissero a emergere nel miglior modo possibile”, racconta Norby.
A catturare l’attenzione dei visitatori, all’entrata della mostra, c’è un vaso di argilla firmato da Lonnie Vigil e raccontato da Nora Naranjo Morse: “Quando l’argilla chiama, non puoi scappare. È il tipo di richiamo che senti più nelle ossa che nelle orecchie. E puoi sentirlo in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, anche quando sei in città”. È nero lucido, la pancia è enorme rispetto alla base di appoggio che, invece, è molto piccola. “Chi si è occupato di organizzare gli spazi, considerando che avremmo avuto a disposizione solo 300 m2, non voleva che i visitatori si sentissero opprimere. Un vaso di quelle dimensioni avrebbe decisamente soffocato il resto”, commenta Norby. “E poi è impossibile non notarlo. Tutte le persone appena entrano all’American Wing appena lo vedono sanno che da qui comincia l’esposizione dei nativi. È l’Harley Davidson della nostra mostra”.
Insieme alle ceramiche, sono state esposte anche tele colorate che riprendono i colori e le immagini della comunità di Pueblo. “È importante che le persone vedano anche delle rappresentazioni contemporanee di Pueblo, che capiscano che le comunità non sono qualcosa di antico. Ma anzi che gli artisti nativi sono vivi e molto attivi”.