Violenza estrema in Cisgiordania. Come non avveniva da un decennio. 86 morti palestinesi, perlopiù uccisi nei raids dell’esercito israeliano alla ricerca degli estremisti responsabili di attacchi contro gli israeliani. Molte vittime innocenti dall’una e dall’altra parte. Sangue che chiama sangue nella più biblica e antica delle tradizioni. Questa la realtà attuale. Una realtà nella quale si inserisce un film, di un regista israeliano, Noam Kaplan, presentato in prima mondiale al Tribeca Festival e atteso con apprensione in Israele, che racconta i dubbi e le ansie in merito al futuro in quella regione.
Si intitola appunto The future ed è un film semplice, quasi teatrale: due donne parlano, in una piccola stanza a vetri. Questo il nucleo principale. Sono una ricercatrice israeliana, Nurit Bloch (Reymond Amsellem) che ha elaborato un algoritmo per individuare e prevenire gli attacchi di terrorismo dei palestinesi, ed una palestinese Manar (Samar Qupty) responsabile dell’omicidio di un ministro israeliano un atto di resistenza all’occupazione come lo definisce, che a questo algoritmo è sfuggita.
La ricercatrice vuole capire quello che non ha capito e alla fine conclude che forse il futuro in quel paese non le piace affatto, ci rinuncia. Nello sfondo una missione israeliana sulla luna raccontata in tutte le diverse edizioni dei telegiornali e che serve come conto alla rovescia per il film. La dottoressa Bloch studia il futuro del paese ma il suo futuro personale è nebuloso: vorrebbe avere figli, sta cercando una madre surrogata, ha problemi con la madre, non vede mai il marito sempre preso dalle sue ricerche. La giovane palestinese di contro sa di non avere futuro in quella terra, prima o dopo l’uccisione del ministro: le sorelle sono tutte emigrate in nord Europa per costruirsi una vita, la madre è disperata, rimasta senza figlie, senza giardino, dove tutto è morto dopo che gli israeliani le hanno costruito sopra un ponte che le ha tolto la luce.
Ma la luce è stata tolta a tutti da questa assurda situazione politica. Il giornale israeliano Haaretz ha scritto che questo è uno dei film più coraggiosi del cinema israeliano contemporaneo. Il regista Kaplan ha detto “mi colpisce che ci avviciniamo alla luna e ci allontaniamo sempre più da noi stessi. Pensiamo di essere molto intelligenti noi israeliani – ha aggiunto-, pensiamo di poter fare arrivare un uomo sulla luna, ma non riusciamo a fare pace con i nostri vicini.
Un film assolutamente da vedere.
