Ricordate, ricordate sempre, che tutti noi, e tu e io in particolare, discendiamo da immigrati. È di Franklin D. Roosevelt l’incipit della prefazione del libro di esordio di Germana Valentini “Veniero. Storie di immigrati italiani a New York”. Romana, classe 1977, Valentini è autrice televisiva, ballerina classica e collaboratrice per testate italiane e straniere. Pubblicato per i tipi di Colonnese Editore, il volume ripercorre le vicende degli italiani dell’East Village di Manhattan a partire dalla fine dell’Ottocento. Storie che si intrecciano all’epopea di Antonio Veniero, partito nel 1885 da Vico Equense – cittadina affacciata sul Golfo di Napoli – in cerca di fortuna nel Nuovo Mondo. Tenacia e impegno permetteranno ad Antonio di aprire la Veniero’s Bakery, in seguito divenuta la pasticceria più nota della Grande Mela.
Il libro narra le avventure delle famiglie al timone del locale, i Veniero, i Di Palma e gli Zerilli. Fino a Robert, pronipote sessantenne del fondatore, che nel 2019 ha festeggiato i 125 anni del negozio italiano più longevo di New York, tanto da meritarsi il riconoscimento di landmark, sito storico.
Inaugurata nel 1894 sulla 11esima strada, tra Prima e Seconda Avenue, Veniero fu dapprima bottega di caramelle, successivamente accompagnate da caffè espresso e cappuccino. Nel 1920, con l’introduzione dei biscotti, si attestò come vera e propria pasticceria.
Il saggio di Valentini non è unicamente una biografia, bensì un manuale di storia, di sociologia e di costume. Insomma, un misto di incanto e nostalgia. Supportata da una vasta raccolta di documenti storici, l’autrice conduce per mano il lettore nelle strade dell’East Village. Con l’approssimarsi del 2024 quale “Anno delle radici italiane”, l’operazione è un importante contributo alla ricostruzione della nostra immigrazione nel mondo e in particolare negli Stati Uniti. Contribuisce all’efficacia della narrazione la conoscenza che l’autrice ha della ragnatela di Manhattan, in quanto ci trascorre buona parte dell’anno. “New York è un sogno fin da bambina. Da aspirante ballerina, le luci di Broadway la mia fonte di ispirazione. Poi il regalo per i miei trent’anni nel 2006 è stato l’inizio della vita vissuta tra Roma e New York”.
Valentini ripercorre le vicende di un “ragazzino temerario e intraprendente”, quelle del quattordicenne Antonio Veniero che, ancor prima della grande ondata di immigrazione di massa di fine Ottocento, arriva a New York. In tasca “la statuina dell’Immacolata come quella che stava nella chiesa dei Santi Ciro e Giovanni a Vico Equense”. Sul ponte del bastimento Antonio sigla una specie di accordo con il compagno di viaggio Lello, “sarebbero diventati ricchi di sicuro e avrebbero messo su famiglia”.
E il sogno diventa storia di successo. Dal matrimonio del giovane con Pasqualina, germoglia una stirpe rimasta alla guida di un pezzo di Manhattan per quattro generazioni.
La bakery fin da subito rappresenta un luogo di lavoro ambito dagli immigrati italiani: “Se hai bisogno di un lavoro vai da Antonio Veniero a New York, lui te lo darà’”. Con l’estro di Enrico Capineri, vero scultore della pasticceria, l’abilità di Carmelo Borgognone, re della cheesecake, e degli altri maestri dell’arte dolciaria, Veniero ha navigato attraverso la Grande Depressione del 1929, la Seconda Guerra Mondiale e una città in continua trasformazione.
“La prima volta che entrai da Veniero fui inebriata dal profumo. Mi riportò ad un ricordo nascosto della mia infanzia, quello delle pasticcerie di un tempo, prima che cambiassero gli aromi”, ci racconta al telefono Germana Valentini che ha iniziato il lavoro nel 2019.
“Il centoventicinquesimo anniversario fu lo spunto di questo progetto. I racconti di Robert Zerilli, di cui ero amica, mi hanno fatto desiderare di raccontare la storia della sua famiglia fin da subito. Ho iniziato a fare ricerche dapprima sul posto, poi, ritornata in Italia a causa della pandemia da Covid, sul web e via email”.
Il libro restituisce il ritratto della piccola Italia dell’East Village. Un quartiere dove cognomi e lingua avevano un unico denominatore, l’italiano. Le “paste” di Veniero rappresentavano i pranzi della domenica, le feste e le occasioni più importanti. E probabilmente fu qui che venne servito per la prima volta l’espresso agli immigrati a New York. Veniero è stato luogo di approdi e incontri, di confidenze e racconti della propria terra di origine e della rinascita a Nuova York.
“Sono partita da un documento importantissimo, un video di circa due ore in cui Robert riprende la narrazione di Peter Veniero, figlio del fondatore – spiega Valentini – Ho avuto la fortuna di incontrare il pasticciere Carmelo Borgognone, prima che ci lasciasse. Sono riuscita a raccogliere racconti diretti da chi ha vissuto la storia del posto”.
Germana Valentini ha inoltre ricostruito un albero genealogico, quello della stirpe dei Veniero appunto, di cui la stessa famiglia non era a conoscenza. “Ho cercato senza sosta gli eredi di centinaia di persone, sono partita da fotografie, da lettere, ho scavato su Linkedin e passato in rassegna lunghe liste dell’anagrafe dei paesi di origine. Mi ha colpito leggere che, dal 1930, il censimento mostra interi quartieri con cognomi italiani. È tutto annotato, finanche il mestiere in corrispondenza del nome e curiosamente nel linguaggio italoamericano degli immigrati. Un lavoro che alla fine ha permesso a tanti parenti che non si erano mai conosciuti di riunirsi. Sono molto felice per questo”.
Intanto la scorsa settimana, il dieci giugno, a Robert Zerilli è stata conferita la cittadinanza onoraria di Vico Equense. “Bentornato a casa” – ha detto il sindaco Giuseppe Aiello, porgendogli la targa dell’attribuzione. Una cerimonia a cui era presente la città intera, che negli anni di lavoro della Valentini l’ha accolta come colei che ha acceso una luce sul paese regalando una dimensione nuova. Di riscoperta di radici e di orgoglio. “A Vico mi avvicinano desiderosi di raccontare aneddoti riguardanti i propri famigliari emigrati. A Gianluca Dorelli, il figlio dell’attore Jonny, che ha vissuto a New York con la famiglia immigrata, il libro ha ricordato i racconti della nonna su Veniero. Inizio a percepire di aver fatto un lavoro non solo di ricostruzione storica, dovuta direi, ma anche di sentimenti e di emozioni. La soddisfazione più grande è stata riportare a casa Robert Zerilli, riportare a casa un italiano. Il mio impegno non poteva avere finale migliore”