Due film profondamente diversi, uno americano e uno canadese, al Tribeca Festival. Entrambi di giovani registi, entrambi prime mondiali, e indipendenti, ma il primo indaga un dolore personale, profondo, l’altro la sofferenza di una comunità. Certo, sono toccanti, molti lettori e spettatori eventuali saranno tentati di non andare avanti, ma entrambi i film raccontano verità con cui prima o poi dobbiamo fare i conti.

The Good Half, il film americano, ha dei protagonisti di eccezione. Nick Jonas, nel ruolo principale, è un cantante oltreché attore, frequentemente nelle cronache mondane anche per essere sposato con Priyanka Chopra e avere una piccola bimba cui ha dedicato una canzone dell’ultimo album dei Jonas Brothers, il gruppo formato da lui e i fratelli Joe e Kevin Jonas. Robert Schwartzman, il regista, è pure il frontman di una band, i Rooney, ma è anche uno sceneggiatore e attore e viene da una famiglia che qualcosa di cinema sa: la madre è Talia Shire, lo zio Francis Ford Coppola, i cugini Nic Cage e Sofia Coppola e il fratello Jason Schwartzman. Finite le presentazioni.
Il film si svolge a Cleveland e parla di un giovane, Renn, che torna in quella città che non ama, per il funerale della madre. Non è tornato quando era malata, lei gli diceva di continuare la sua vita, lui le ha voluto credere e l’ha continuata. Entrambi così cercavano di non guardare in faccia la realtà. Ma quando la realtà si manifesta in tutte le sue crude e burocratiche necessità lui ironizza, polemizza su tutto e con tutti, non vuole fare i conti con il dolore.
“Ho perso il padre per un cancro quando ero ragazzo – ha spiegato il regista – e in qualche modo ho cercato di capire perché è stato tanto difficile per me comprendere e accettare il dolore della perdita.”

Renn rivede la sorella, ma mantiene la distanza fisica, si lascia abbracciare dal pdre solo dopo un po’ poi va al karaoke e a bere e flirta con una ragazza, fa di tutto insomma per non pensare che quello che sta succedendo è vero, sta succedendo proprio a lui. Un interessante spaccato di umanità americana dove le emozioni sono trattenute, represse, sono private, e se uno chiede come stai, l’altro risponde bene anche il giorno del funerale della madre. Solo davanti alla bara della madre Renn riuscirà finalmente a iniziare a sciogliere il grumo che tiene dentro raccontando un episodio della sua vita felice con la madre. “Tu hai avuto la parte migliore, gli dice la sorella, eri il suo preferito, io gli sono stata accanto quando stava male, ho avuto la parte peggiore ma non fare a cambio.” La sorella con il dolore ha fatto i conti giorno dopo giorno lui comincia ora.
Nel film recitano anche Brittany Snow nel ruolo della sorella, Elisabeth Shue la madre che compare in flashbacks, David Arquette e Matt Walsh.

Di diverso registro il film canadese Richelieu, che poco ha a che fare con il cardinale che ha dato solo il nome alla zona, e alla fabbrica, dove è ambientata la storia. Diretto dall’esordiente Pier-Philippe Chevigny, il film debutta al Tribeca per venire poi presentato al Karlovy Vary Film Festival e al Fantasia International Film Festival.
E’ la storia di Ariane (Ariane Castellanos) che torna a vivere a Richelieu dopo una traumatica separazione e inizia a lavorare come interprete fra i dirigenti della fabbrica dove viene processato il granoturco e i lavoratori migranti stagionali che arrivano dal Guatemala. Nessun locale lavorerebbe per 10 dollari l’ora, spiega il direttore ad Ariane quando obietta che i turni sono massacranti e bisogna prendere più manodopera. Più i giorni passano più Ariane scopre le condizioni di sfruttamento dei lavoratori e meno riesce a tacere. Il film mostra la cruda realtà dello schiavismo dei nostri giorni, condizioni di lavoro miserevoli per la parte sfortunata del mondo che ci permettono di godere dei benefici del sistema. Il regista Chevigny è cresciuto proprio a Richelieu e ha studiato a lungo le condizioni di vita dei migranti. “Voglio mettere in discussione l’immagine del Canada come un paese perfetto dove non regna l’ingiustizia – ha detto a Variety – portare il film ai festival internazionali mi permette di mostrarlo in giro per il mondo e suscitare così delle reazioni che sarà difficile ignorare.” E sarà difficile dimenticare alcune scene clou del film, sarà difficile dimenticare quei visi e quelle storie.
Assolutamente da vedere.