E’ una sensazione strana vedere le fiamme che minacciano la foresta tedesca, il cielo rosso fuoco, le ceneri che volteggiano nell’aria prima di cadere sugli ignari protagonisti, dopo avere trascorso due giorni scrutando il cielo giallo di Manhattan immersi nell’aria carica del fumo degli incendi canadesi. Che incredibile tempismo portare Afire, (titolo originale Roter Himmel) il film di Christian Petzold che ha vinto il leone d’Argento alla Berlinale, al Tribeca Festival proprio adesso, proprio mentre tutti ci chiediamo se i danni provocati dall’uomo sul clima e sull’ambiente possono essere fermati, meglio contrastati, o se finiremo travolti come alcuni dei personaggi del film.
Ma non è solo all’ambiente che pensa il regista, ma alla condizione umana, al come vivere esemplificato dai 4 personaggi che si ritrovano per caso insieme in una isolata casa sul Baltico.

Al centro della storia c’è un giovane scrittore, Leon (Thomas Schubert), con un manoscritto da finire. Insieme all’amico Felix ( Langston Uibel) va nella casa di lui in mezzo alla foresta per ritrovare l’ispirazione. Trova invece un’altra ospite inaspettata, Nadja (Paula Beer, Orso d’argento al Festival di Berlino 2020 per la sua interpretazione in Undine – Un amore per sempre di Christian Petzold) e Devid (Enno Trebs) . Si irrita, si irrigidisce, è permaloso, geloso, invidioso degli altri che cercano di godere delle belle giornate di sole mentre lui si tormenta e tormenta gli amici con il suo comportamento e le sue battute antipatiche. La foresta intanto brucia sullo sfondo. Ma Leon e gli altri sembrano convinti che il vento porterà l’incendio lontano. Arriva la cenere, le fiamme uccidono gli animali ma solo quando la tragedia vera colpirà le loro vite lo scrittore troverà l’ispirazione e riuscirà a superare i propri limiti.
La parabola scritta da Petzold è un percorso di educazione sentimentale e di rieducazione alla vita. Che passa attraverso la discesa, il dolore, la perdita. Tutto prende fuoco e si trasforma in cenere. Ma anche nel dramma Petzold mantiene una distanza e il racconto si dipana attraverso gli sguardi, soprattutto della misteriosa Nadja, l’impacciato muoversi di Leon contro il disinvolto vivere di Felix e Devid.

Petzold doveva fare un altro film, si era messo al lavoro su uno scenario distopico quando è arrivato il covid, si è ammalato ed è rimasto un mese a letto. In quel periodo ha visto film francesi e letto letteratura russa e alla fine ha deciso che non era il momento della distopia, ma di altro. Nell’estate del 2020, quando ha iniziato a scrivere Afire la foresta tedesca bruciava, a gennaio un fuoco aveva distrutto lo zoo di Berlino e bruciato gli animali, tutto questo era molto presente nella sua immaginazione e i personaggi nel film si misurano molto con la natura. C’è il mare che Felix fotografa attraverso lo sguardo degli altri, c’è la foresta popolata di rumori di animali sconosciuti, la foresta delle favole che abbiamo amato da bambini, quelle dei fratelli Grimm che un po’ di paura la facevano, c’è il fuoco che incombe.
Christian Petzold, che già è arrivato in Italia con La scelta di Barbara, Transit – La donna dello scrittore, Undine, si conferma un regista dallo sguardo penetrante sulla nostra realtà e nel caso specifico estremamente e drammaticamente attuale. Da vedere.
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