Euro Rotelli, toscano poi trasferitosi in Friuli con la famiglia, è un artista poliedrico cresciuto con il bisogno sempre più forte di comunicare le proprie emozioni. La sua prima esperienza è stata con il mezzo pittorico, per poi scegliere la fotografia come passione, lavoro e strumento espressivo ideale. “Sono diventato con il tempo fotografo pubblicitario, dedicandomi contemporaneamente alla ricerca – ci dice Euro – Mi interessano sia i paesaggi che le persone, che ritraggo con personali sperimentazioni, come con la pellicola Polaroid che ho utilizzato e sperimentato in modi diversi fino a culminare nel progetto The Body The Soul, il mio omaggio ai più grandi protagonisti della danza classica a livello internazionale, e alla Polaroid stessa, nel frattempo non più in produzione”. La ricerca artistica di Euro Rotelli va inquadrata al di là del mezzo usato – macchina fotografica, pellicola o digitale – che per lui costituisce solo il tramite per elaborare un’idea. È in questo modo che ha realizzato nel tempo tantissime ricerche: spostamenti a lungo raggio, studi, investimenti economici e fatica. Il suo ultimo progetto ha come oggetto Paul Auster, protagonista della letteratura statunitense contemporanea, nonché uno degli scrittori più noti di New York, con un fulcro letterario che gira attorno alla ricerca dell’identità, del senso e del significato della propria esistenza. Individuale o collettiva, storica o sociale. Scrittore e saggista – ma anche sceneggiatore, regista e produttore – Auster è dotato di una scrittura diretta ed incisiva, ed analizza le angosce e le nevrosi dell’uomo odierno. Euro Rotelli ha raccontato con le foto, ispirandosi a Auster, la solitudine della vita contemporanea in una New York simile a un palcoscenico, dove tutti recitano una parte, ma alla fine sono soli in mezzo alla folla.

“New York, Paul Auster and me”: un Travel Diary edito da Postacart, che racchiude fotografia e letteratura. Immagini che sostituiscono parole. Da dove nasce l’idea?
Le mie immagini costituiscono un viaggio attraverso una New York diversa dai cliché, quella che Paul Auster ci vuole mostrare, e quella che io stesso ho scoperto attraverso i suoi libri, in una straordinaria sintonia di emozioni e percezioni.
L’idea è nata dalla lettura del suo Trilogia di New York. Avevo visitato più volte questa città e l’avevo fotografata in tanti modi, ma mi era sempre sfuggito il suo significato profondo. Una città unica. L’essenziale lo percepivo, ma non riuscivo ad individuarlo. Poi, l’illuminazione. Paul Auster mi aveva aperto gli occhi.
Decisi che dovevo ricominciare da lì. Gli scritti di Auster sono un’indagine antropologica su una città-mondo di cui racconta le contraddizioni. È stato un coinvolgimento intenso, un’immersione totale nella Grande Mela, fino ad ubriacarmi e confondermi, come accade ai protagonisti dei libri di Auster. All’inizio mi era apparsa una città di luci e colori, mano a mano che mi addentravo però appariva la New York misera degli emarginati. Una metropoli di solitudine, in bianco e nero. Non è stato un ripercorrere i passi dei personaggi narrati: ero proprio io al loro posto. Ero Quinn, con la macchina fotografica invece del taccuino rosso. Ero Stillmann, che raccattava oggetti da terra. O Nathan, finalmente felice a Brooklyn poco prima della tragedia delle Torri Gemelle.

Quando hai incontrato Paul Auster la prima volta?
E’ stato nel 2009, in occasione della sua partecipazione a Dedica Festival. Ero stato incaricato di fargli il ritratto. Anni dopo, quando l’ho ricontattato tramite la sua agente, ha accettato di incontrarmi nella sua casa di Brooklyn. Si ricordava del nostro precedente incontro. Sono tornato più volte a trovarlo.
La tua prima visita a New York te la ricordi?
Sì, certo. Nel 1999. Il ricordo più vibrante è stato salire sulle Torri Gemelle all’imbrunire e con il banco ottico fotografare la città da quell’altezza vertiginosa. Ero solo con mia moglie. Nessun altro. Ho ancora i brividi a quel pensiero, e rimane una mia immagine a documentare quel momento. Una foto che non si può più fare. A Ellis Island, l’isola dove i migranti venivano trattenuti per la quarantena, ricordo l’emozione nel leggere il nome di mio nonno nell’elenco dei migranti. E poi gli homeless, ovunque, stesi sui marciapiedi e nelle metropolitane. Sono tornato poi altre volte per una mia mostra e per il progetto sulla danza The Body The Soul, per il quale ho fotografato alcuni ballerini del New York City Ballet.

E oggi New York come la vedi?
Più vivo New York e meno la comprendo. Credo sia proprio questa la sua caratteristica: l’unicità in mezzo a tante altre città apparentemente simili nel mondo. Una metropoli in perenne divenire, dove ci si smarrisce anche mentalmente. Dove si è soli in mezzo a milioni di persone, e dove cerchi invano risposte a domande che scopri non avere senso. New York è la torre di Babele, una rincorsa verso un sogno che a volte credi di aver realizzato e in meno di un secondo ti frana addosso, ma dove l’impossibile può divenire realtà.
Perché nel libro l’ hai ritratta in bianco e nero?
Perché l’ho spogliata di trucchi e mistificazioni, e ne ho mostrato drammi e tragedie, insieme alla sua incomparabile bellezza ed eccentricità. Il colore ruba l’attenzione ai dettagli, distrae lo sguardo e lo ammalia. Il bianco e nero racconta la verità: non l’addolcisce né la nasconde, ma rivela New York in tutte le sue luci e ombre, difetti e pregi.