L’ottimo lavoro fatto dal prof. Alberto Giordano per Rubbettino, nel proporre traduzione e apparato critico di estratti da The American Democrat, or Hints on the Social and Civic Relations of the United States of America, del 1838, risulta utile e tempestivo. Rafforza la conoscenza del pensiero politico statunitense delle origini (quello non ancora inquinato dall’invito ad essere espressione della grande potenza) nei lettori in lingua italiana. Arriva nel pieno di una stagione di forte crisi della democrazia, generata dai fenomeni che ai suoi tempi James F. Cooper (1789–1851) additava ai connazionali, avvertendoli che certi comportamenti avrebbero potuto porre a rischio la loro giovane democrazia.
Cooper è conosciuto in Italia, e non solo, per la capacità di narratore “popolare” di storie che hanno trasmesso “a grandi e piccini” il sapore della prima America, indigena e coloniale. In tanti ricordano i suoi The Pioneers (1821), The Last of the Mohicans (1826), The Prairie (1827), per citarne alcuni. In molti meno conoscono le sue opere politiche e civiche. Tra queste The American Democrat, uscito nel 1838 da H. & E. Finney, a Cooperstown, N.Y.
Quando scrisse quel libro, da un quinquennio era rientrato dal lungo soggiorno europeo iniziato nel 1826. Nel vecchio continente si era trasferito, insieme alla famiglia, per ragioni finanziarie e di carriera, ma si era fatto presto prendere la mano dal suo spiccato civismo, impegnandosi in difesa della comunità di espatriati statunitensi, e in battaglie d’opinione contro la corruzione aristocratica e le ingiustizie che, in particolare in Gran Bretagna e Francia, gli capitava di toccare con mano. The American Democrat scaturì anche dall’osservazione diretta di come quei ceti dirigenti manipolavano a proprio piacimento il potere giudiziario e parlamentare, a danno degli umili che non avevano strumenti di intervento sulla cosa pubblica. Cooper ricorderà bene la lezione quando, riferendosi al bisogno americano di giustizia sociale, scriverà frasi come “Nella nostra nazione può riscontrarsi un minor tasso di diseguaglianza rispetto alla maggior parte delle altre, ma in ogni caso le diseguaglianze esistono” oppure “l’eguaglianza assoluta nelle condizioni sociali, nei diritti politici o nei diritti civili, non esiste negli Stati Uniti…”. Andrà anche oltre, scrivendo: “L’eguaglianza non costituisce uno dei principi che governano le istituzioni degli Stati Uniti”…
Secondo Cooper, il dato da ricercare, in assoluto, è la difesa della libertà personale e collettiva dai tiranni. Il che gli apre la questione su ciò che vada, o non, inteso come libertà. Rileva: “Se la maggioranza di un paese governasse senza alcun freno, introdurrebbe probabilmente altrettante ingiustizie e oppressione di quelle che si riscontrano sotto un dominio di un unico autocrate.” Per lui è evidente che i soli limiti alle libertà e alla discrezionalità di una maggioranza qualsivoglia, devono essere quelli che le leggi fissano attraverso procedure e regole di comportamento, così che la libertà dei più – che spesso sono anche i più forti e più ricchi – possa essere “utilizzata solo in base a certi principi generali per esercitare la minor violenza alla giustizia naturale, che sia compatibile con la pace e la sicurezza dell’intera società.”
Evidente che la società alla quale Cooper sta guardando, pur muovendo dai principi di libertà propri della nascente nazione statunitense, va stimolata a maggiore giustizia; non può e non deve evadere la questione della democrazia, quel regime politico che potenzialmente produce la “generale elevazione delle qualità dei cittadini”. Se si va a riempirla di contenuti, avverte, ci si ritrova immediatamente sul lato dei diritti sociali, perché se è vero che la democrazia non può sopravvivere senza i doveri di libertà, è altrettanto vero che “la sua vera tendenza consiste nell’elevare i meno fortunati a uno status sociale non indegno della loro appartenenza alla specie umana.”
Un processo lungo e complesso, visto che Cooper non prevede, nell’immediato, il suffragio universale, e avverte contro i rischi legati ai cancri delle democrazie: la demagogia, la stampa servile o populista, i partiti corrotti e senza spirito patriottico, il pubblico non educato, l’opinione pubblica credulona. Avverte: “… i cittadini corrono particolarmente il rischio di diventare degli utili idioti al servizio dei demagoghi e dei tessitori di intrighi politici, dal momento che la maggior parte dei crimini in una democrazia derivano dalle colpe e dai piani di simili personaggi…”
James Fenimore Cooper Contro i demagoghi – I pericoli della democrazia americana
a cura di Alberto Giordano Rubbettino, 2023