Uno schiavo, costretto per anni a lavorare per Velázquez, preparando i colori, le tele, i pennelli e tutto ciò che il padrone richiedeva, eppure un talento artistico pronto a dispiegarsi non appena liberato. Allora Juan de Pareira (1608-1670) inizia a dipingere i suoi quadri, colorati tanto quanto quelli di Velasquez erano scuri, ricchi di personaggi di panorami di azione di mito di tutto quello che poteva metterci per distanziarsi dal suo vecchio padrone. Libero, a Madrid, nella seconda metà del ‘600, Juan De Pareja divenne noto, ebbe commissioni importanti, ma la sua fama si disperse molto presto e le sue opere sono finite negli scantinati dei musei. Ci è voluta la determinazione di uno studioso portoricano amante della storia della cultura nera, Arturo Shomburg, per fare riemergere agli inizia del ‘900 i quadri e la storia di questo artista. Ed ora la passione dei curatori del Metropolitan Museum che hanno messo insieme la prima mostra dedicata ad un pittore ex schiavo: “Juan de Pareja Afro-Hispanic Painter in the Age of Velázquez”.
“A Shomburg avevano detto a scuola che i neri non avevano storia – ci spiega la co-curatrice Vanessa K. Valdes – lui è arrivato a New York a 17 anni e da quel momento ha cominciato a mettere insieme una collezione di libri, stampe, spartiti di artisti di ascendenze africane, per smentire questa affermazione. Per lui capire la storia dei neri era necessario per andare avanti, guardare al futuro. Nel 1926 ha venduto la sua collezione alla Carnegie Corporation con l’accordo che fosse donata alla New York Public Library, con il ricavato è andato in Europa per scavare negli archivi e trovare le prove del contributo delle persone di origine africana alla cultura del tempo. La sua prima tappa è stata Siviglia, poi Granada e Madrid. Cercava “La Vocazione di San Matteo” perché voleva finalmente vedere “il lavoro di questo schiavo di colore che ha avuto successo grazie alla sua coraggiosa persistenza contro ogni difficoltà” come scrisse in un suo articolo del 1927. Schomburg ha fatto molto, ma molto va ancora fatto e questa mostra può incentivare la ricerca degli ignoti la cui arte è ancora seppellita in archivi e depositi.”

Nel maggio 1971 quando il Metropolitan Museum of Art acquista il ritratto di Juan de Pareira ad opera di Velázquez per 5 milioni e mezzo di dollari, la notizia va in prima pagina su tutti i giornali. La cifra è record per il museo di una città in quel momento in grave crisi finanziaria, per gli inglesi è uno scandalo che l’opera sia uscita dal paese. Nessuno si pone il problema di chi sia rappresentato nel dipinto, chi sia quell’uomo di colore, che relazione avesse con Velázquez.

Ora sappiamo che Juan de Pareira nacque a Antequera, una cittadina a nord di Malaga, ma non ci sono documenti per stabilire la data, si immagina il 1608, e non ci sono documenti per stabilire chi fossero i genitori, di sicuro la madre era una schiava, il padre probabilmente uno spagnolo bianco. Come de Pareira sia finito al servizio di Velazquez è anche ignoto, di certo la schiavitù in Spagna in quell’epoca era diffusa e tre dipinti di Velazquez, o comunque del suo studio, come sottolinea il curatore David Pullins, su uno stesso soggetto, una cameriera di colore, che sono ora in musei diversi (la National Gallery of Ireland, l’Art Institute of Chicago e il Museum of Fine Arts di Houston) ma sono state riunite per l’esibizione, sono la prova di quanto diffusa fosse la servitù di ascendenza africana ai tempi.
Di certo Pareja è schiavo al servizio di Velázquez per una ventina di anni prima di accompagnarlo in Italia fra il 1649 e il 1651, nel grand tour che artisti e nobili compivano allora, da Genova a Venezia, Firenze e Roma, dove viene liberato nel 1650, (l’atto si trova negli Archivi di stato a Roma) e dove Velázquez fa in quello stesso anno il suo ritratto.

Un ritratto che ci racconta di come da umile schiavo Pareira sia riuscito a venire a contatto con la grande società frequentata da Velazquez all’epoca, abbia visto anche lui le opere e l’arte italiana, un bagaglio di conoscenze che gli sarebbe servito da uomo libero a partire dal 1654 (la liberazione effettiva è avvenuta quattro anni dopo la sottoscrizione dell’atto).
La mostra quindi si apre con le foto di viaggio in Spagna di Schomburg e alcune testimonianze della cultura nera della sua collezione, prosegue con i manufatti dell’epoca di Velazquez e Pareira che dimostrano la presenza della cultura nera, prosegue con le opere di Velazquez negli anni trascorsi in Italia, fra cui il ritratto di Pareira e si conclude con le opere di Pareira stesso. Alcune sono di grandi dimensioni a dimostrazione che le committenze dovevano essere prestigiose, tutte sono vivaci ed estroverse in netto contrasto con la sobrietà aristocratica di Velázquez. “Quando Velázquez muore nel 1660 il suo stile è super rispettato, ma anche ormai passato – ci spiega il curatore David Pullins – Pareja guarda all’are contemporanea in quel momento a Madrid e sviluppa i suo linguaggio”.

Un linguaggio che si può studiare ne La Vocazione di San Matteo del 1661 (Museo Nacional del Prado), dove l’autore si è autoritratto all’estrema sinistra, come facevano allora i grandi maestri, ne La fuga in Egitto (The John and Mable Ringling Museum of Art), il Ritratto di José Ratés (Museu de Belles Arts de València) e Il Battesimo di Cristo (Museo Nacional del Prado).
La mostra è aperta fino al 16 luglio al Metropolitan di New York.