Innanzitutto un avvertimento: a Tilda Swinton non piace sentir parlare di lei come “attrice” bensì come “performer”, e la varietà dei personaggi che ha interpretato nel corso degli anni, cambiando come un camaleonte al punto da divenire a volte irriconoscibile ne e’ la dimostrazione.
Vampiro Eve in Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch, iper ambizioso avvocato Karen Crowder in Michael Clayton di Tony Gilroy, diverse incarnazioni nei film del suo grande amico Luca Guadagnino (The Protagonists, I’m Love, A Bigger Splash, Suspiria), fino al recente Problemista. Il nuovo film della compagnia A24 (la stessa dietro il successo all’Oscar di Everything Everywhere All at Once che aveva debuttato qui proprio un anno fa) ha avuto la sua premiere al SXSW festival (South by SouthWest) ad Austin ed è ora nei cinema. E’ la storia di un ragazzo di El Salvador che arrivato a New York ha problemi di visto e rischia la deportazione. Basato sulla storia vera dell’autore, Julio Torres, divenuto celebre con i suoi sketches in Saturday Night Live, il film affronta il problema dell’immigrazione in America in una cornice surrealista, ed è una critica del capitalismo in modo fantasioso. Accanto a Tilda Swinton compaiono Isabella Rossellini, Rza, Catalina Saaverdra, e James Scully. Julio Torres, che lo ha scritto e diretto è il motivo, spiega Swinton, della sua adesione al progetto.

“Adoro Julio e per me e’ sempre eccitante fare qualsiasi cosa con lui” ha detto l’attrice parlando con i giornalisti ad Austin. “E’ un vero filmmaker. Mi riporta a quello che ho sempre amato nel cinema, da quando ho cominciato con Derek Jarman negli anni ’80 lavorando praticamente solo con lui per nove anni, fino alla sua morte nel ’94. Alcuni pensavano che il nostro modo di lavorare era arcano, perché facevamo un gran miscuglio di tutto senza curarci del prodotto finale, interessati piuttosto al processo. Quando Derek e’ morto ho pensato che non avrei mai più avuto quel tipo di esperienza. E invece miracolosamente ho incontrato altri che volevano lavorare in quel modo. Ogni volta che faccio un film penso che è l’ultimo e che mi dedicherò ad altro per il resto della mia vita. Poi mi ritrovo coinvolta in un’altra conversazione, un’altra festa, e vado avanti. E’ per questo che penso di essere solo una performer. Una volta dovevi scrivere la tua professione sul passaporto: io non sono mai riuscita a scrivere la parola attore. Anche perché ho sentito tanti attori veri parlare di quello che fanno e come lo fanno e quello non e’ il mio mondo, mi sentirei un’imbrogliona se parlassi di me come una attrice perché le mie priorità sono diverse, e lo sono state fin dall’inizio.”
Il film Problemista, precisa, racconta la realizzazione di un sogno apparentemente impossibile un tema che ha risuonato profondamente in lei. “Il film parla di sogni e ostacoli. Quando parliamo di sogni nella mia vita, delle mie ambizioni, io devo essere onesta – non sono mai stata una brava bugiarda – e confessare che da giovane la mia ambizione non era quella di lavorare nel cinema. Di sicuro non mi sono mai messa davanti ad uno specchio con una spazzola a mo’ di microfono per esercitarmi con il mio discorso di accettazione a un Oscar! La mia ambizione era quella di vivere in Scozia, da dove vengo, vicino al mare, con un orto, i figli e dei cani, e lavorare con i miei amici. E non mi interessava il tipo di lavoro: sarei stata contenta di stare in un negozio a vendere maglioni o in un giornale. Mi sono ritrovata di fronte alla cinepresa quasi per caso, ed eccomi qui. Contenta del viaggio fatto, ma non posso dire che questo sia sempre stato il mio sogno!”
Dieci anni fa, qualcuno le ha ricordato, Tilda Swinton aveva descritto il cinema come un tappeto magico: lo è ancora. “Mi sembra che sia più magico che mai,” spiega “ma negli ultimi anni abbiamo avuto tante battaglie e sfide diverse. Sto per cominciare un film in Irlanda dove mi hanno detto che tutti devono indossare sempre la mascherina. Ma io non metterò una mascherina perché sono super sana e ho avuto il COVID tante di quelle volte che sono piena di anticorpi! Due anni fa non avremmo nemmeno sognato di fare un’affermazione del genere o di essere in una sala come ora in cui nessuno indossa la mascherina. Ho temuto che la gente dimenticasse il potere del tappeto magico dopo essere rimasta lontana dalle sale per tanto tempo. Per fortuna non e’ stato così. Chiedete a chiunque, non solo ai maniaci del cinema come me, cosa gli e’ mancato di più durante la pandemia e diranno tutti la stessa cosa: amici, famiglia, musica, cinema. E viaggiare, un po’. Questa e’ l’unica cosa buona della pandemia: che quelli che dicevano che il cinema stava finendo si sono accorti di essere in torto, perché anzi il cinema ha ricevuto un boost. Everything everywhere all at once, che ha vinto agli Oscar, e’ un grosso film che va visto sul grande schermo. E ora tanta gente che non ne aveva sentito parlare andrà a vederlo, e questo e’ un’ottima cosa per il cinema: gli Oscar servono a qualcosa!”