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February 18, 2023
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Sergio Basili: l’ultimo rumorista del cinema

1200 films e tanti registi nel curriculum del creatore di suoni con la valigia

Massimo CutòbyMassimo Cutò
Sergio Basili: l’ultimo rumorista del cinema

Sergio Basili

Time: 6 mins read
Come si fa un cigolìo?
Girando la manopola di una vecchia radio.
Uno scricchiolìo?
Si passa una vite sul legno.
E uno stridìo?
Strisciando una forchetta sul ferro.
Detta così sembra facile. Ma per inventare la realtà in uno studio di registrazione servono talento, esperienza, fantasia, pazienza e tantissima passione. Sergio Basili, 79 anni, romano, è l’ultimo rumorista del cinema italiano. Da più di mezzo secolo per nove ore al giorno si chiude in una saletta buia, davanti allo schermo dove passano le immagini di un film. Nel più completo silenzio: i suoni, quelli li fa lui.
Che mestiere è il suo?
Sono un creatore di suoni. Serve un temporale? Costruisco la pioggia accarezzando la sabbia o lo zucchero su un piano di plexiglass. Per i tuoni invece faccio vibrare una lamiera. E’ un’arte.
Come ha cominciato?
Bazzicavo il mondo del cinema come assistente operatore. Durò due giorni, non era per me. Entrai però nello stabilimento di doppiaggio: nei film americani, registrati in presa diretta, mancavano sempre dei piccoli rumori. Oppure bisognava rifarli perché erano venuti male. Così mi chiesero: fammi una porta, fammi una poggiata di bicchiere, fammi un versamento d’acqua. Ho provato e non ho mai smesso.
E’ stato complicato imparare?
Il rumorista è una professione che si è sviluppata nel dopoguerra, ma era nata già a cavallo degli anni ’30 e ’40 simultaneamente al mestiere del doppiatore: microfono, tavolino e attrezzi per l’uno, microfono e leggìo per l’altro.
Quanto ci ha messo a diventare bravo?
Ho avuto un grande maestro, un uomo che guardavo con rispetto e attenzione totale. Ho rubato i segreti a un genio.
Chi era?
Si chiamava Tonino Caciuottolo. Possiamo dire che ha inventato lui il mestiere del rumorista. Si presentava in studio con una grossa valigia: dentro c’erano gli oggetti più strani.
Per esempio?
Piatti, posate, pettini, un guantone da boxe, tazzine, catene, spade, pattini a rotelle, un tamburello, palloni da calcio sgonfi. Gli attrezzi di un mago, i trucchi di un prestigiatore. Due su tutti.
Quali?
Un paio di mezze noci di cocco e una collezione di scarpe di tutti i tipi: da uomo, con i tacchi alti, le ballerine, stivali, gli scarponi militari. Senza questi è impossibile lavorare.
E lei?
Ero affascinato. Quando il mago entrava in azione era uno spettacolo assistere ai suoi prodigi. Poteva riprodurre tutti i rumori del mondo. Mentre lo guardavo lì al tavolino pensavo: e questo che fa? A poco a poco ha cominciato ad affidarmi delle cosette da fare, rumori secondari che davano comunque corpo alle immagini.
La sala dei rumori
Così ha preso una valigia e l’ha riempita.
Esatto. E’ il bagaglio dell’artigiano: i giochi di un bambino.
Facciamo qualche rumore?
Se c’è un gangster spaccaossa, bisogna spezzare un gambo di sedano: il crack è perfetto. Per una testa fracassata da Bud Spencer nel saloon, il cavolo cappuccio è meglio del cocomero. Le foglie calpestate in autunno si fanno accartocciando un foglio di giornale. I passi che affondano nella neve sono le mani passate su fecola di patate e sale. Gli zoccoli dei cavalli? Ecco a che cosa servono le mezze noci di cocco: si battono su un piano di legno infarinato e il gioco è fatto. Terence Hill adora quel vecchio suono.
Le risse del Far West?
Colpisci un petto di pollo o un quarto di bue, a seconda della violenza dell’azione. E poi c’è la soluzione Caciuottolo.
Spieghi meglio.
Il famoso pugno con gemito. Gli americani dicono di averlo inventato loro, ma è roba made in Italy. Il rumorista tira un cazzotto contro una poltrona e simultaneamente emette un lamento soffocato. L’effetto è di un realismo straordinario. Caciuottolo era capace di fare da solo una scazzottata fra cinquanta cowboy, variando la voce per differenziare i gemiti.
Meglio di un suono autentico?
Davanti al microfono, un fuoco vero rende poco. Paradossalmente devi creare un suono finto se vuoi che sia autentico. Si ottiene spiegazzando la carta stagnola o un foglio di plastica.
La cosa più complicata?
I passi. Variano a seconda della scena, di come si muove l’attore o l’attrice. Il personaggio ha paura? E’ esitante o determinato? Entra o scappa? Sale le scale correndo? Devi capire come si muove. Assecondarne l’intenzione e dosare il suono. Siamo qualcosa in più che rigattieri o trovarobe.
C’è un legame tra il rumorista e l’attore sul monitor?
Siamo interdipendenti. Prendiamo la camminata di Montalbano: ha un passo particolare, aritmico. Sempre lo stesso tac tac ma con alcune variazioni. Se poi Zingaretti nel film cammina a fianco di un altro devi differenziare i passi. C’è voluto tempo per trovare la sincronia.
Un altro attore che sente vicino?
Thomas Milian, il mitico Er monnezza: camminava saltellando, mica facile. Il passo elegante di Mastroianni aveva un suo timbro specifico. Oggi c’è l’ispettore Coliandro, ovvero Giampiero Morelli: so come si muove, mi ci ritrovo senza fatica.
A quanti film ha lavorato?
Saranno almeno 1200, comprese le commedie sexy. Se il pubblico al cinema sapesse come si fabbricavano i fruscii della Fenech nella doccia: li facevo io in studio.
Sergio Basili
Com’è il suo rapporto con i registi? 
In saletta mi è passata davanti la storia del cinema. Visconti, Bertolucci, i fratelli Taviani, Dino Risi venivano a vedere come lavoro. Qualcuno chiedeva effetti particolari, ci si conosceva bene e c’era un rapporto di fiducia. Monicelli era molto serio e lasciava completamente carta bianca. A Fellini piaceva giocare: si metteva lì dietro e faceva i suoi disegnini. Però era precisissimo, sapeva esattamente quel che voleva. Se Amarcord è un capolavoro lo deve anche a Renato Marinelli, l’altro grande rumorista di Cinecittà.
I Marinelli sono una famiglia di rumoristi, così come gli Anzellotti. E come i Basili.
Gianluca, mio figlio, è un fenomeno degli effetti sonori. E’ bello lavorare assieme perché la professionalità prevale perfino sul rapporto di parentela. Quando è arrivata l’elettronica mi sono tirato fuori dal computer e ci siamo divisi i compiti: a me i rumori in sala, a lui il montaggio del sound digitale. Facciamo cose diverse ma complementari e cerchiamo la qualità.
Rumori al cinema che restano nella memoria collettiva?
Quelli della trilogia del dollaro, la saga western di Sergio Leone. Era esigente e scrupoloso, a braccetto con Morricone ha seminato di invenzioni la colonna sonora dei suoi film. Sono stato il suo secondo rumorista, dietro Caciuottolo, ne Il buono, il brutto e il cattivo. 
Un altro suono indimenticabile?
Il clacson per Il sorpasso di Risi. Ci sono voluti due giorni prima di trovare quello giusto, unendo campionature diverse.
Il regista con cui ha legato di più?
Ferreri. Siamo diventati amici subito. Avevo 24 anni, facevo i rumori per i documentari di Folco Quilici e nel ’69 mi chiamò a sonorizzare Dillinger è morto, film molto difficile. Ma nel ’73 La grande abbuffata fu uno spasso. Arrivai a Parigi con due valigie di carabattole e gli spaghetti numero 5 che Ferreri preferiva. Attraversai la strada a un semaforo, lui mi aspettava dall’altra parte: le valigie sciaguratamente si aprirono e gli attrezzi invasero la carreggiata. Traffico impazzito, accorsero i vigili e Ferreri scappò via fingendo di non conoscermi.
La grande abbuffata è un film sul cibo…
C’è una scena girata attorno a una torta. Ferreri me ne fece trovare sul tavolino una uguale: usa questa, si raccomandò. Invece la mangiai. Una torta in faccia fa ciaf ciaf, con il giornale bagnato viene meglio.
Come si regola per i suoni impossibili da ricreare in studio?
Ovunque vado mi porto dietro il registratore. La montagna, la spiaggia, l’autostrada. I grilli in campagna. Le cicale, il mare, l’erba: nessun suono è uguale a se stesso. Un uccellino fischietta in modo diverso se è l’alba o il tramonto: devi essere lì pronto a catturare il trillo. Questione di abitudine e di predisposizione: il mio udito percepisce suoni che gli altri non sentono.
Tre doti del buon rumorista?
Orecchio, musicalità, cervello. E voglia di fare.
I giovani ce l’hanno?
Non esistono scuole, l’unico modo per imparare è andare a bottega. L’apprendistato, la gavetta sul campo. Ma i ragazzi vogliono arrivare subito, hanno fretta e non riescono a stare ore e ore in sala con il cellulare spento. La prima cosa che chiedono è: quanto si prende?
Lei quanto guadagna?
Benino, ma non sono più le cifre di una volta. Trent’anni fa, uno bravo prendeva 450mila lire per un turno di tre ore. Il prezzo lo facevamo noi anche con produttori del calibro di De Laurentis e Cecchi Gori.
Com’è il mestiere oggi? 
E’ cambiato. Certi registi giovani non sanno neppure che esistiamo. A un certo punto è  arrivata la moviola: effetti sonori sincronizzati, ma comunque si toccava con mano la pellicola. Oggi c’è la digitalizzazione.
Il rumorista è destinato a sparire?
Macché. Il computer non può fare tutto: non ha la finezza dell’uomo.
Si diverte ancora?
Certo. E’ bello lavorare in squadra. Abbiamo fatto i rumori per la serie tv dell’Amica geniale e a un certo punto c’è un pranzo con i crostacei. Eravamo spiazzati. Poi l’idea: abbiamo comprato un astice e l’abbiamo cucinato con gli spaghetti. Una gran mangiata e il rumore è servito.
Lavora molto?
Sì. Ora abbiamo sul monitor l’ultimo film di Bellocchio e quello di Costanzo. Stiamo facendo anche gli effetti sonori del terzo Diabolik dei Manetti Brothers.
Nessun rimpianto? In fondo il rumorista è un perfetto sconosciuto.
Siamo sempre gli ultimi nei titoli di coda. Ma resta la magia della sala di registrazione, nel buio e nel silenzio assoluto, trattenendo il respiro. Il mio mestiere non si vede: si sente.
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Massimo Cutò

Massimo Cutò

Giornalista, classe 1957, ha svolto tutta la sua carriera tra Resto del Carlino e Quotidiano Nazionale. È nato a Pescara ma vive e lavora a Bologna da molti anni. Ogni volta che arriva in piazza Maggiore non si rassegna a una domanda senza risposta: perché qui non c'è il mare?

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