È molto in gamba Margherita Fava, con la passione del jazz e tanta voglia di suonarlo, comporlo, farlo sentire a tutto il mondo. Ha 27 anni, viene da Follina, una piccola cittadina vicino Treviso, ed è arrivata in America. Ha già incontrato le montagne e le ha scalate, nella sua vita personale e professionale. Non aveva i soldi per studiare il jazz, ha trovato una borsa di studio alla Michigan State University, ha fatto la cameriera, vissuto in un sottoscala, mangiato schifezze. Non si poteva permettere il master ha trovato alla University of Tennessee un lavoro da graduate teaching assistant per farlo. Intanto ha studiato, conosciuto le persone giuste, insegnato piano jazz, fatto concerti con altri musicisti che hanno registrato il tutto esaurito. E ora esce il suo primo album, Tatatu, il 10 marzo, fatto tutto da lei, persino la grafica, come fatto da lei, e un amico fotografo, è il sito https://margheritafava.com/
Margherita ha respirato crome semicrome, diesis e bemolle fin da piccola: il padre Giorgio Fava è un violinista docente al conservatorio di Castelfranco, la madre Elisabetta de Mircovich una violoncellista e cantante specializzata in musica medioevale. A due anni la piccola Margherita cantava i canoni in latino con la madre, ma quando il padre le ha messo il violino in mano lei, indispettita, lo ha buttato a terra. La musica sembrava storia passata invece a dieci anni ha chiesto di studiare il pianoforte.
“Già lì c’erano i segni della mia vera passione – spiega – perché avevo sentito Gollywogg Cakewalk di Debussy che è ispirato ai ritmi afroamericani, mi era piaciuto tantissimo e volevo suonarlo.”
Studia il piano classico, ma è attratta da rock, indie, brit pop, David Bowie persino la musica italiana degli anni ‘60 e quando un amico si dimentica il basso nella sua stanza, lo prende in mano e scopre un mondo nuovo. Si compra una Fender Jazz Bass prende lezioni e comincia ad amare la musica funk, il beat afro, a fare concerti nella zona.
“Mi dava fastidio però il fatto che suonavo sempre lo stesso repertorio, che l’esecuzione era buona o cattiva, ma finiva lì non c’era nessuna creatività” spiega. Va allora a fare un seminario intensivo di jazz della New School di New York a Venezia e scopre definitivamente la sua strada. Studiare alla New School però era troppo costoso.
“Un amico bassista mi ha dato allora l’idea di mandare la domanda al dipartimento di Jazz della Michigan State University – racconta – non credevo di avere alcuna speranza, invece mi hanno dato una borsa di studio: ero l’unica studentessa internazionale. Avevo una grande passione per l’America, credo che tutti noi, cresciuti con i cartoni animati e i film americani, ce l’abbiamo, ma quando sono arrivata nel “rural” Michigan la vita è stata molto diversa da come me l’ero immaginata. E’ stato traumatico: il mio inglese era minimo, era stato appena sufficiente a passare l’esame di ammissione, il jazz era tutto da imparare, la borsa di studio non era totale quindi lavoravo in caffetteria, vivevo in una casa sottoterra e in più avevo iniziato un rapporto con un ragazzo americano che si è rivelato violento. Era ricco e viziato e se non andava tutto come diceva lui si scatenava l’inferno, era persino geloso che studiassi il pianoforte più di lui. Ho cominciato a stare male, sono crollata in una depressione profonda, non riuscivo più a fare nulla. Quando ho cominciato ad avere pensieri suicidi ho chiesto aiuto all’Ospedale dell’Università. Il primo psichiatra mi ha dato gli antidepressivi, la volta dopo ho trovato un altro psichiatra che ha aumentato la dose e così ogni volta, sono arrivata a prendere forse 300 mg al giorno, non sapevo più come fare, non potevo permettermi di fare analisi e neppure di essere seguita privatamente dallo stesso psichiatra. Allora ho smesso. Di punto in bianco. Era il mio ultimo anno di università, era iniziata la pandemia e io avevo tutti i sintomi dell’astinenza da farmaci: sudori, tremori, pelle distrutta, depressione, ma ho resistito. E’ durata due anni, non avevo più voglia di suonare, lo facevo solo quando dovevo, ma ora ne sono fuori, anche se credo che i farmaci mi abbiano resa più lenta di prima.”
Più lenta forse, più forte di sicuro: Margherita ora vede il suo futuro in America, almeno per un po’, sta facendo richiesta di visto per meriti, mentre sta per uscire il suo primo album Tatatu.
“Mia madre mi racconta che quando cercava di imboccarmi o vestirmi io dicevo tatatu che nella mia lingua significava che volevo fare da sola e siccome questo disco è fatto tutto da me sola ho pensato che era proprio un tatatu!”

“Comporre è il mio modo di esprimermi, mi diverte, mi sembra un gioco. Ho iniziato a scrivere pezzi al mio terzo anno di università e li ho via via archiviati poi a novembre ho registrato. Al sassofono c’è Gregory Tardy, che era il mio insegnante di composizione in Tennessee, molti pezzi li ho scritti con il suo suono in mente e quando ha accettato di partecipare sono stata felice. Rodney Whitaker,che è il direttore del dipartimento di jazz alla Michigan State University, è venuto a fare il produttore e così ho chiuso il cerchio. Nell’album ci sono pezzi miei e arrangiamenti fatti da me di standard jazz come un brano di Thelonius Monk. Venerdì esce il primo singolo su tutte le piattaforme.”

Ora inizia il tour che la porterà in varie città fra Ohio, Michigan e Tennessee, ma non ancora New York.
“Vorrei suonare a New York, ma non avendo ancora un agente non sono riuscita a organizzare. Magari qualcuno ad un certo punto risponderà alle mie mail….”
Magari qualcuno.
https://margheritafava.bandcamp.com/album/okra-search-of-the-unknown
TATATU TOUR 2023
Barking Legs TheaterChattanooga, TN, US
Carnegie HotelJohnson City, TN, US