Diciamo Tagli e pensiamo a Lucio Fontana. E non c’è nulla di male: chi più dell’artista italiano è riuscito ad appropriarsi del gesto e del segno iconico ad esso associato? Nessuno, è certo. Ma, anche se la tentazione è reale, se diciamo Fontana non dovremmo pensare esclusivamente ai Tagli. Difatti essi non rappresentano che una delle tante finestre d’espressione dell’artista. Una vasta gamma di modalità, in cui anche la scrittura e il pensiero filosofico hanno avuto la loro parte. Come la scultura. Anzi, forse Lucio Fontana è stato prima di tutto uno scultore. Addirittura, senza allontanarsi dalla realtà, anche i Tagli stessi potrebbero essere intesi come sculture: del resto il loro obiettivo non era forse quello di superare la bidimensionalità del quadro, aprire a nuovi spazi d’indagine? Una prospettiva plastica che meglio si adatta a un’opera scultorea piuttosto che a un dipinto. Ma, al di là degli azzardi critici, è nota e ricca la sua produzione in terracotta, argilla, gesso, metallo, vetro e cemento. Un interesse iniziato negli anni trenta e proseguito fino al 1968. Un lasso di tempo ampio, sicuramente sufficiente a testimoniare la sua importanza nella pratica di Fontana. Se n’erano accorti anche all’epoca, anche a New York.
Era il 1961 quando Lucio Fontana espose per la prima volta nella Grande Mela. Lo fece al 32 East 69th Street. Lì dove c’era lo spazio dei leggendari galleristi Martha Jackson e David Anderson, visionari anche nel portare per primi oltreoceano uno degli artisti più iconici del Novecento. Oggi la storica galleria non c’è più. Ma al suo posto, esattamente nello stesso edificio, ce n’è un’altra altrettanto importante: Hauser & Wirth. La multinazionale dell’arte (19 gallerie in 6 Paesi) non si è lasciata scappare l’occasione e chiude il cerchio aperto sessant’anni fa. Lo fa con la mostra Lucio Fontana. Sculpture (fino al 4 febbraio) curata da Luca Massimo Barbero e realizzata in collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana. 80 opere che raccontano delle molteplici sperimentazioni dell’artista, la possibilità di testare la relazione tra forma, colore, materia e spazio; in un rapporto dialettico tra astratto e figurativo, spazialismo e barocco.

In esposizione troviamo l’estrema eleganza e compostezza di opere come Concetto spaziale, La luna a Venezia (1961), presentata per la prima volta proprio in occasione della mostra newyorkese del ’61, dove un irregolare cerchio nero prende le sembianze di una volta forata da scaglie colorate. Ma anche composizioni elaborate e straripanti, dove la materia scultorea pare essersi ribellata alle mani dello scultore, per espandersi in modo incontrollato nello spazio. Il risultato sono opere dalla natura ambigua, tra l’astratto e il figurativo, dai colori vivaci e le forme esuberanti. Ne sono un esempio i lavori degli anni trenta, come Nudo (1926), Tavoletta graffita (1931), Figura alla finestra (1931), Scultura astratta (1934), Conchiglie e Farfalle (1935-36) e Cavalli marini (1936). Una tensione, quella tra la figura e l’espressione sciolta dalla realtà, che accompagna Fontana anche negli anni Quaranta.

Hauser & Wirth la coglie e la riporta in mostra in maniera eloquente, giustapponendo due opere quasi coeve, ma dal carattere distinto. Si tratta di Scultura spaziale (1947), un anello informale di materia intriso di una forza primordiale, e della monumentale Figura femminile con fiori (1948), che al contrario conserva il suo diretto legame estetico con la realtà. Colpisce che, nonostante l’evidente distanza contenutistica, lo stile di Fontana emerga in modo chiaro in entrambe le opere. La lucentezza dei colori, il volteggiare ondoso delle forme, la resa grezza dei dettagli, la sensazione di movimento e precarietà, l’illusione di trovarsi di fronte a qualcosa di vivo. Non perché si muove, ma perché arde. Risultati sorprendenti i cui passaggi sono messi in luce dall’apparato grafico annesso alle sculture. Disegni preparatori, schizzi o piccole composizioni che aiutano a segmentare il processo creativo di Fontana e ad approfondirne le più piccole dinamiche. Come le prime carte telate del 1949, con cui l’autore sperimenta il tema del Buco, poi centrale nella sua produzione più nota. Un ulteriore ponte contenutistico che evidenzia la trasversalità dei temi dell’artista che adatta il medium al tema e non viceversa.

Lo spazialismo si dimostra così trasversale, un’idea capace di acquisire numerose forme e manifestazioni. Non per ultime quella delle Nature, sculture in terracotta o bronzo grezzo, solcate, bucate e incise, cariche di allusioni erotiche e simbolismi, anch’esse immerse nelle atmosfere crepuscolari dei tre piani della galleria. E se queste appartengono in maniera definita al reame scultoreo, il sincretismo tra pittura e scultura trova il suo culmine nelle ultime opere in mostra: le Ellissi. Tra esse si distingue Concetto spaziale, Ellisse, del 1967. Un ovale d’un viola compatto, forato da un serie di buchi disposti con armonica precisione a formare una composizione dinamica ma dolce. Lo spessore è quello di un quadro, l’arrangiamento cromatico, piattissimo, è quello di un dipinto; ma la forza plastica e la spinta tridimensionale sono proprie di una scultura. Scultura o pittura, dunque? Chi lo sa? Per fortuna l’arte non sempre necessita di risposte precise, anzi è forse nell’apertura di senso che trova il suo compimento. L’importante è tenere presente che Lucio Fontana non è stato solo Tagli, ma molto di più.