La notte del bene inizia con una goccia che cade, nella doccia di casa. Continua con il pianto di un bambino, il cigolio di una porta, uno scarafaggio agonizzante. Le ossessioni del protagonista, i dolori del giovane Ettore, sono già tutti qui, ma lui non riesce a capirli. Si è innamorato, si è sposato, ha fatto un figlio; si è disamorato, tuffato nel lavoro, imbambolato in un club per soli uomini, lasciato stritolare dagli ingranaggi della corruzione. E’ andato da un’analista, ha cercato spiegazioni fra le foto del nonno, ma non ha capito. Anche la protagonista Elena, non sa perché la nascita del figlio l’ha spiazzata così tanto. Perché oltre ad averla fatta ingrassare, imbruttire, divenire ossessiva, l’ha gettata in uno stato di depressione che ha radici profonde. Anche lei va dall’analista, ma quelle radici non riesce a scioglierle. Poi c’è Matilde, mezza età, segretaria con dei segreti, capelli rosa e un computer, anche lei il puzzle della sua vita, la cui soluzione è costantemente davanti ai suoi occhi, non riesce a risolverlo.
La notte del bene tutti i fili si sciolgono e si ricollegano, chissà se quello è il bene, cosa poi è il bene? Se lo deve essere molto chiesta Sara Fruner che torna su queste tematiche dopo il suo romanzo d’esordio L’istante largo, le affronta con una capacità maggiore tanto che il premiatissimo André Aciman la definisce «una maga della parola».
“È stata la malcelata imperfezione di Ettore ed Elena ad attrarmi – scrive l’autrice per spiegare il suo libro – scostando il capolavoro della loro coppia, ho scorto una trama di crepe correre verso angoli bui. Nulla di più irresistibile per uno scrittore.” Sara Fruner quindi li insegue nelle strade diverse che intraprendono per colmare l’angoscia che li assale. Nessuno dei due riesce più a comunicare con l’altro, e la depressione aumenta assumendo colori e forme individuali, apparentemente irrisolvibili.
E’ un romanzo dell’era moderna quello di Sara Fruner, nata a Riva del Garda, laureata in inglese a Ca’ Foscari, e trasferitasi dal 2017 a New York, dove insegna italiano presso la New York University e il Fashion Institute of Technology. E’ il romanzo di chi, abituato alle comunicazioni rapide, le frasi a effetto di Twitter, le rappresentazioni iconiche di se su Instagram, si esprime con frasi tronche, il cui vero significato rimane un quesito da risolvere, e fra una mancata risposta e l’altra affoga nei monosillabi, nella vodka, negli psicofarmaci. E’ un romanzo che si dipana come un giallo ma è di fatto un dramma esistenziale, di amori trovati e subito persi, dell’incapacità di amare.