Ci avvicinavamo al secondo anno dell’era Covid 19, un’era segnata dalla necessità medica, politica e culturale di rivedere il nostro rapporto con la natura. Il suo indiscriminato sfruttamento. La necessità di monitorare e studiare le nuove possibili pandemie e di risettare l’intero sistema sanitario emergenziale mondiale in vista di altre, possibili, pandemie. Ecco che la Russia ha invaso l’Ucraina. Una aggressione nefasta e in opposizione ad ogni regola del diritto internazionale della autodeterminazione dei popoli e delle Nazioni. Una invasione figurata, ma sempre scongiurata dalle democrazie occidentali.
Mentre scriviamo, l’invasione è ancora in corso e non sembra figurarsi all’orizzonte una tregua o un ripensamento da parte di Putin (giustamente definite dal Presidente Biden, un criminale di guerra) di fermare le truppe russe e sedersi al tavolo della trattativa con il Presidente ucraino Zelensky.
Immagini tragiche arrivano da Kyiv, Mariupol, Leopoli e tante altre città della Nazione Ucraina assediate dalle truppe russe. Ovviamente in questi casi, quando una città viene assediata, i suoi monumenti distrutti, gli Istituti religiosi violati, gli ospedali ed i teatri bombardati, emergono le storie di quei luoghi. La loro grande tradizione culturale. Il legame con l’Occidente e le tensioni geopolitiche, identitarie e culturali con la Russia.
E’ il caso, tra tanti, di Odessa. Città che vide la nascita di una delle canzoni e melodie più famose di tutti I tempi: O’ sole mio. Scritta e musicata nel 1898 da artisti napoletani in trasferta ad Odessa – liriche di Giovanni Capurro, musiche di Eduardo di Capua e Alfredo Mazzucchi. E come trascurare un capolavoro del cinema muto La corazzata Potemkin del 1925 filmato da Sergej Michajlovič Ėjzenštejn anch’esso ambientato da Odessa, porto strategico del Mar Nero.
Questi capolavori dell’arte mondiale appartengono alla storia mondiale della cultura. Come vi appartengono u romanzi di Dostoevsky, di Tolstoy, di Turgenev e tutta la immensa produzione letteraria russa. Che niente ha a che fare con la propaganda e le fake news del regime di Putin. Leggerli, studiarli, divulgarli non solo permette una maggiore comprensione della cultura, dell’identità di un popolo, dei suoi valori e delle sue relazioni sociali. Sempre disgiunte dalla politica. Nell’arte, nella produzione artistica di autori di una determinata Nazione, sia essa l’Ucraina, la Russia o il Myanmar (altra tragedia umanitaria in corso) vengono portate alla consapevolezza, alla conoscenza, istanze rimosse, sopprusi, valori e bellezze di una Nazione filtrati dalla sensibilità di un autore. Ma soprattutto ci permette di entrare, da lontano, con l’immaginazione nel cuore poetico e narrativo di una Nazione. Di caprine l’anelito alla libertà e la vita ordinaria di tanti common people. E dunque un plauso al Center for Fiction di New York, che ha allestito un angolo per la letteratura Ucraina (in traduzione). Odessa Stories di Isaac Babel, The Orphanage di Serhiy Zhadan, Sweet Darusya di Maria Matios. Certo non sarà l’unico momento di esternazione e promozione della Cultura Ucraina ed artisti straordinari. Ma è importante per far arrivare all’opinione pubblica i valori letterari ed umani di una Nazione. Non dimentichiamo che per secoli la letteratura ha formato ed informato grandi diplomatici. Spesso essi stessi trasformatisi in scrittori. Pensiamo al primo Ministro inglese Benjamin Disreali.
La letteratura non sostituisce i negoziati diplomati ma ci fa addentrare nel desiderio di libertà ed autonomia delle Nazioni. E forse, a difesa della Democrazia, bisogna anche considerare la letteratura, l’arte, la musica di Nazioni minacciate da regimi autoritari. Si chiamava un tempo soft power. E’ fondamentale per apprezzare la bellezza ed il desiderio di libertà di ogni persona o ogni Nazione che cerca la autodeterminazione e la vita regolata da un regime democratico.