Quello di Héctor Ulises Passarella è un carisma umano che si avverte chiaro e forte dal primo incontro. Per non parlare del suo carisma musicale, che analogamente è così palpabile e travolgente sin dal primissimo ascolto. Si resta ammaliati di fronte alla melodia del suo strumento magico, prolungamento di anima e cuore di uno dei migliori bandoneisti al mondo. E’ proprio il bandoneón di Passarella che ha contribuito a rendere indimenticabile, ad esempio, una colonna sonora Premio Oscar come quella de “Il postino”, a firma Luis Bacalov.
Quanti ricordi con questo film, alla ribalta ogni anno soprattutto quando si avvicina il 19 febbraio, la ricorrenza del compleanno dell’indimenticabile protagonista Massimo Troisi. L’amato attore, se fosse ancora vivo, quest’anno compirebbe 69 anni. Dopo la sua scomparsa improvvisa nel sonno a poche ore dalla fine delle riprese, a soli 41 anni, “Il postino” ha ottenuto un grandissimo successo internazionale, sia in Italia sia negli States, ed è stato candidato a cinque Premi Oscar (tra i quali uno a Troisi come miglior attore: il quarto di tutti i tempi a ricevere una candidatura per l’Oscar postumo). Dei cinque, si concretizzò solo quello per la migliore colonna sonora. Scritta, come dicevamo, da Luis Bacalov.
“Ricordo questo film come un atto poetico” – ci confessa Passarella.
“Poesia che non ci sarebbe stata se non fosse per quella capacità innata di Troisi di trasmettere semplicità vera, e quelle sfumature preziose raccolte dal bravissimo regista Michael Redford. Posso dire, tranquillamente, che in gran parte del mondo è rimasto un amore indimenticabile per questo film. Non c’è pubblico di nessun Paese dove sono stato che alla fine di un concerto non mi abbia chiesto di suonare ‘Il postino’ ”.
Iniziamo la chiacchierata con Héctor Ulises Passarella ricordando inizialmente la genesi della musica di questo film, che il suo bandoneón ha contribuito indiscutibilmente a portare nel mito, per poi arrivare a parlare di Tango. Mondo affascinante, come poche altre melodie al mondo. L’inconfondibile suono e la particolare espressività del fraseggio di Passarella gli hanno fatto meritare l’amore del pubblico e l’ammirazione di critica ed addetti ai lavori. Qualche nome di chi lo ha sempre ammirato, oltre a Luis Bacalov: Myung-whun Chung, Ionesco Galati, Leo Brouwer, Donati Renzetti, Placido Domingo, Yuri Bashmet, Franco Scala, Lavarl Skou Larsen.
“Non conoscevo Luis Bacalov personalmente; mi chiamò al telefono subito dopo la morte di Troisi, cioè appena lui era stato contattato, a sua volta, per la composizione della colonna sonora”.
E cosa le disse Luis Bacalov, Maestro?
“Mi disse: Mi hanno detto che lei sarebbe il bandoneonista ideale, ma che non suona da alcuni anni per un problema di salute. Io gli risposi: Ho ricominciato da poco. Mi disse ancora: La posso ascoltare? Risposi: Certo, senza nessun problema! Tutto si svolse molto in fretta, perché c’era urgenza della colonna sonora. Andai a trovarlo a casa sua a Roma, e lì mi fece conoscere il tema principale. Suonai per lui, che esclamò entusiasta: Ma da dove è uscito, Lei!!! Mi consegnò una fotocopia del manoscritto per pianoforte, che naturalmente conservo come un bellissimo ricordo. Luis conosceva bene non solo il bandoneón del tango, ma anche – e questo mi entusiasmò molto – il bandoneón cosiddetto classico , cioè quello del virtuosissimo Alejandro Barletta (suonato con una tecnica diversa da quella del tango, e certamente magnifica). Mi disse: Veda lei: non vorrei tanto il bandoneón del tango, ma piuttosto un suono barlettiano, con sapore di porto. In altre parole, ero proprio io. Fino a quel momento non avevo esperienza in registrazioni per colonne sonore. Suonai il primo brano con orchestra (quello con cui si apre il film) sicuro che fosse una prova, e che poi avremmo registrato veramente. Ero molto emozionato, anche perché, mentre suonavo, vedevo le immagini del film scorrere… ed ero tanto toccato emotivamente dalla morte di Troisi. Fu bellissimo quando alla fine del brano andai alla sala regìa del celebre studio Forum a riascoltare l’esecuzione, e dissi a Bacalov: Ma questa era una prova, vero? Bacalov guardò il regista Redford e disse: Ma quale prova? Questa esecuzione deve rimanere! Per il pomeriggio del giorno dopo era tutto fatto: colonna sonora ed anche alcuni brani extra per la pubblicazione di un Cd. Un contributo straordinario a questa colonna sonora, oltre a quello dell’ Orchestra Sinfonietta di Roma, lo diede anche il leggendario fonico romano Franco Finetti, che riuscì con straordinaria maestria ad imprigionare tutte le sfumature del suono”.

Lei nasce in Uruguay, e l’amore per il suo Paese ha contraddistinto la sua vita e la sua musica. Parliamo del tango moderno: come lo definisce lei, Hector Ulises Passarella, vera autorità in materia, che del tango moderno rappresenta uno dei compositori più interessanti e – oserei dire – più prolifici?
“La mia volontà, anche se non sarò mai soddisfatto del risultato, è stata sempre quella di comporre una musica che partorisse una sintesi tra i miei studi accademici, il mio grande amore per la musica ‘esatta’ ( come la definiva il grande Leonard Bernstein, al posto di ‘classica’ o ‘artistica’) e la mia esperienza, fin da bambino, nella musica del mio Paese, cioè il tango. Così pure per quanto riguarda il mio innamoramento per quel tango più moderno del grande Astor Piazzolla. Penso sia qualcosa di straordinario fare una musica che in qualche modo abbia a che vedere con la tua cultura, con i tuoi ricordi o con i tuoi sapori: appagante per vari motivi, e ancor di più quando vivi in un luogo ‘lontano’ come mi poteva ancora sembrare l’Italia negli Anni ’80. Purtroppo, è molto difficile riuscire a trovare una sintesi interessante dal punto di vista artistico. Solo i grandi come Bartòk, Ginastera, Villalobos, e per certi versi anche il grandissimo Shostakovich (che tanto ammiro), sono riusciti nell’impresa: una musica che rispecchiasse le bellezze e atrocità del tempo in cui vissero, senza mai perdere il carattere essenziale della loro cultura di riferimento. Ammiro anche gli uruguaiani Lamarque Pons e Renè Marino Rivero. Hanno fatto una coerente ricerca del tango all’interno della musica contemporanea del loro tempo. Attualmente, molta musica di tango viene presentata nel mondo come nuova o contemporanea, ma direi bugie se non dicessi che siamo ben lontani dall’avere un prodotto nuovo, originale, artistico. Considero che ci sia moltissima confusione in materia, merito anche dei tempi che corrono. E della velocità con cui si consumano i prodotti”.
Quante volte nella sua vita ha percepito lei stesso, al termine di un concerto o una singola interpretazione, di aver raggiunto la perfezione dell’esecuzione?
“Non saprei rispondere, in quanto non credo che io abbia mai raggiunto la perfezione durante un concerto o in una semplice presentazione. Vero è che la mia interpretazione della Misa Tango di Bacalov come solista dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretta dal maestro Myung Whun Chung, è stata definita ‘straordinaria’ da Michelangelo Zurletti de La Repubblica. Pure io me la ricordo come qualcosa di particolare. Ero ben ispirato e felice di suonare vicino ad un musicista come il Maestro Myung Whun Chung, e alla eccellente Orchestra e meraviglioso Coro di Santa Cecilia. Abbiamo avuto, in quell’occasione, una intesa eccezionale da tutti i punti di vista. Un altro episodio che ricordo molto volentieri riguarda il locale del famoso Tango Bar della mia città. Avevo 14 anni, ed ero accompagnato da due straordinari chitarristi. Il bar era pieno di gente e di fumo di sigarette. Pochi minuti prima di suonare, avevo ascoltato a intermittenza un racconto tristissimo: una signora che occasionalmente si trovava lì, stava raccontando a due o tre ‘parrocchiani’, tutti con il gomito appoggiato sul bancone (da veri ‘tangheri’), che, alla giovane età di 12 anni, era stata scambiata dai suoi genitori con una damigiana di vino da 10 litri! Suonai intimamente per lei, con estrema commozione, quel bellissimo tango del grande Osvaldo Pugliese intitolato Recuerdo. Un vero omaggio alla figura femminile. Finito di suonare, ascoltai un lungo silenzio da parte di tutti i presenti, e poi vidi alcune lacrime cadere da quelle persone oramai affogate nell’alcool”.

Lei ha composto molti brani per quintetto, ottetto e per bandoneón e orchestra, eseguendoli in gran parte d’Europa, ed ha realizzato trascrizioni per bandoneón di musiche di Bach, Vivaldi, Haendel, Frescobaldi, Bartók e Santorsola. In ottica moderna, ha arrangiato molti brani del repertorio tanghistico tradizionale, sia per bandoneón solo, sia per bandoneón ed archi. Insomma, una vita dedicata al tango. Come si può descrivere questo amore per chi, invece, il tango non lo conosce affatto? Da dove si comincia ad amarlo?
“Non avrei potuto non amare il tango. Sono figlio di un vero ‘tanghero’, e quindi all’età di 8 anni frequentavo già i più apprezzati ‘tangheri’ della mia città. E quando uso questa parola non mi riferisco esclusivamente ai ballerini di tango, come accade erroneamente con questo sostantivo in Italia ed in molte parti del mondo. Intendo quelle persone che conoscono ogni sfaccettatura del tango. In modo concreto, in modo vissuto. Faccio un esempio: il mio maestro per il bandoneón del tango fu Oscar Raùl Pacheco di Florida. Lui non ballò mai un tango – e non frequentava il mondo della notte, tranne quando doveva suonare – ma è stato uno dei più grandi tangheri che io abbia conosciuto. Nelle sue azioni, nella sua dignità, nel modo di concepire la musica e le amicizie. Non esistono più le riunioni intime dei tipici ‘tangueros’ – a cui faccio riferimento – che soffrivano e riflettevano all’ascolto di un bel testo di tango come Un boliche, Las cuarenta, Murmuyos. Oserei dire che alla fine dell’ascolto di brani simili, ognuno di quegli individui, amici di mio padre – che io ancora oggi ricordo con tantissimo affetto – confessava in silenzio i propri difetti, i propri peccati. Promettendosi qualcosa di buono, che il giorno dopo magari avrebbe realizzato. In altre parole, il poeta metteva uno ‘specchio’ davanti a tutti coloro che volevano guardarsi dentro. Oggi ci sono serate commerciali, non solo a Buenos e Montevideo, ma nel mondo. Serate per turisti o persone del posto in cerca di un diversivo. Per il Rioplatense, il tango non era – purtroppo, devo parlare usando un tempo al passato – un momento di relax: era al pari di una tragedia greca. Oggi esiste una falsa cultura del tango, tra l’altro venduta a basso prezzo. Chi vuole sentire il sapore del tango ‘vero’ dovrà sempre ascoltare le orchestre di Troilo, di Pugliese , di Federico, di Salgàn, il sestetto tango. Cantanti come Edmundo Rivero, Goyeneche, e pochissimi altri. Piazzolla è già una evoluzione di ciò che sto raccontando. Analizzare testi profondi come El motivo , La reina del tango, Milonguita penso che sia la cosa migliore per avvicinarsi al tango. E capire che il ‘vero’ tango non potrà mai essere sensuale, ma solo un ‘sentimento dell’assenza’ (titolo che ho dato al mio primo festival in Italia nel 1995)”.

Tante le onorificenze in carriera, come quella di “Cavaliere della Repubblica Italiana”, “Premio Creativamente 2009” della Presidenza della Provincia di Macerata, “Ciudadano Ilustre de Montevideo”, “Ciudadano Ilustre de Florida”, “Cittadino onorario di San Ginesio”. Impossibile ricordarle tutte. Una vita di successi, ma anche di sacrifici. Nell’età della sua maturità, in che tipo di chiave rilegge la sua carriera? Chi sono stati i suoi maestri?
“I miei maestri di vita sono stati tanti. Per la musica, in forma diretta, sono stati quattro. Il primo, una musicista bravissima (pianista e direttrice di cori), Teresa Gomez di Florida, che mi aiutò nei miei primi passi in solfeggio e teoria della musica. Il secondo, per il bandoneón del tango, Oscar Raùl Pacheco: stupendo e raffinatissimo bandoneonista e arrangiatore, nonché persona indimenticabile, alla quale ho voluto assai bene. Spero di cuore che la mia città un giorno si decida a ricordarlo con tutti gli onori meritati. Per l’importantissimo apporto didattico, e anche per la diffusione del tango attraverso la bellissima orchestra tipica che egli dirigeva, e con la quale io debuttai da professionista alla tenera età di 11 anni. Il terzo, a Montevideo, per la tecnica che mi ha permesso anche di suonare la musica barocca e contemporanea: il grande maestro Renè Marino Rivero (1936- 2010). Sicuramente, il più grande bandoneonista della storia, insieme al suo maestro, l’argentino Alejandro Barletta (1985-2008), il vero genio del bandoneón. Infine, sempre a Montevideo, per la composizione e altre materie, sono grato al sapiente e talentuoso maestro italo-uruguaiano Guido Santorsola (1904-1994). Questo uomo, che sembrava la musica in persona – ammirato da Stravinsky, Rostropovic, Erich Kleiber, Segovia, e tantissimi altri grandi musicisti – è stata una figura molto importante nella mia formazione, così come per tantissimi altri musicisti uruguaiani. Nel 1985 suonai nella cattedrale di Parma il suo Concerto per bandoneón, pianoforte e orchestra con l’Orchestra Arturo Toscanini. Venne ad ascoltarmi, e ne conservo un ricordo bellissimo. Ritornato a Montevideo, scrisse subito una Sonata per me!”.
Qual è il suo rapporto professionale con l’America?
“Forse sembrerà incredibile, ma è la verità: sebbene abbia collaborato per più colonne sonore americane e dischi, perfino in uno con la recitazione di attori famosi come Andy Garcìa, Al Pacino, Gleen Close, non ho mai suonato dal vivo nell’America del Nord. Penso sia una lacuna enorme. Ho avuto il privilegio di suonare per Robert Duvall in persona, che mi aveva già voluto per la colonna sonora del suo film Assassination Tango. Ho collaborato anche nel film The lover Letter ( 1999) del regista Peter Chan (con Kate Capshaw e Tom Selleck), il quale venne a Roma per assistere alla registrazione della colonna sonora. Ho partecipato anche a quel famoso disco Misa Tango prodotto dalla prestigiosa Deutsche Grammophon, per il quale ebbi la nomination al Grammy USA nel 2001, ma anche questo disco, che tante soddisfazioni mi ha dato, lo registrai a Roma. In altre parole, tutto ciò che ho fatto per l’America, è stato fatto in Italia! Alcune televisioni americane si erano interessate ad una presentazione in duo – pianoforte e bandoneón – con Luis Bacalov, e qualche manager anche per una mia tournée con il mio ensemble. Purtroppo, per un motivo o per un altro, non si è mai potuta concretizzare una mia presentazione in quella parte di mondo”.

Per concludere: la differenza tra il tango argentino e quello uruguayano. E una volta per tutte: dove è nato per la prima volta il tango?
“Direi che non c’è differenza strutturale. Forse, e solo, in piccolissime sfumature di carattere nel fraseggio, essendo quello uruguaiano un po’ più timido, più introverso del tango argentino. L’Uruguay è un paese piccolo, ma ha dato grandissimi nomi nel tango. Va detto però che l’Uruguay arriva tardi nel riconoscere e sponsorizzare alcune cose che lo riguardano e che gli appartengono profondamente. Nei miei 25 anni vissuti intensamente in Uruguay, non ho mai avvertito la contrapposizione di questi due Paesi in tema di tango. Condividere i vari talenti era il pane quotidiano, senza pensare se fossero nati da questa o dall’altra parte del grande fiume. Mai ho sentito dire ad un argentino che il tango è argentino, o ad un uruguaiano che il tango è uruguaiano, ma solo parlare del tango rioplatense. Il Rio de la Plata non ci divideva, ma ci univa. Era qualcosa che non doveva assolutamente essere perso. Purtroppo, anche questo concetto è stato invece cubierto por el asfalto . Mi chiedi dove è nato il Tango. Allora, dopo questa premessa, proverò ad essere neutrale, ma non prima senza aver indossato un giubbotto anti proiettile (sorride). Il tango è una musica di porto; il porto di Montevideo, sicuramente, è più importante di quello di Buenos Aires. Quindi, la risposta è facile: il tango nasce a Montevideo!”
Qualcuno ha detto: Non è tango, è Passarella. E’ la massima aspirazione per ogni artista: avere uno stile.