A cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini il suo docufilm “Comizi d’amore”, sui costumi degli italiani che lo stesso Pasolini diresse e interpretò nel 1964 in giro per l’Italia, diventa occasione di “Altri comizi d’amore”, grazie a Massimiliano Finazzer Flory in collaborazione con Rai Cinema. Il regista e attore lo girerà in bianco e nero, con inizio delle riprese in Friuli a febbraio, tra frasi e forme pasoliniane interrogherà italiani sui temi legati all’amore.
A Finazzer Flory, che i lettori conoscono per aver partecipato già a New York a diverse performance, abbiamo fatto delle domande su questo suo film che intende presto portare anche negli Stati Uniti.

“Altri comizi d’amore”, questo il tuo titolo che indica il “proseguimento” con il documentario “Comizi d’amore” che Pasolini diresse nel 1964. Secondo te quale messaggio voleva dare Pasolini agli italiani di oltre mezzo secolo fa? Ci riuscì? E quale messaggio ti aspetti dal tuo?
““Solo parlando manifestiamo il sapere nel silenzio… ingenua e vergognosa avidità”. Con le sue parole credo che qui stia il punto. Nella società della comunicazione, nel suo evidente trionfo, che ci omologa ai suoi mezzi, in crisi c’è l’uomo. E il dialogo. Paradossale? Fino ad un certo punto. Ovvero il fallimento, almeno al momento, della mediazione tra cultura scientifica e umanistica. Profeticamente Pasolini capì. Io? A me basterebbe far alzare con il film la voce contro il lockdown mentale e restituire un’immaginazione sociologica. Nel mio film Pasolini è uno specchio da cui escono storie invertite più che pervertite. Il messaggio? Da un lato che il nuovo uomo che il potere vuole è un ignorante che non studia. Dall’altro che il rifiuto pasoliniano della retorica e della violenza non significa rifiuto della bellezza che abbiamo dentro di noi.
Pasolini era apertamente omosessuale in una Italia bigotta che rendeva la vita difficilissima a chi non si omologava. Eppure in quel suo documentario gli italiani sembrano sorprendentemente più aperti sul tema dell’amore di quello che uno si aspetterebbe. O no?
“In realtà gli italiani quando sono esibizionisti dicono più di quello che pensano, salvo poi negare la realtà. Sull’amore poi bisogna distinguere se si tratta di temi legati al proprio corpo o a quello degli altri. Anche qui l’osceno ha delle sue performance… ma la questione è un’altra e ancora una volta culturale ovvero il rapporto tra l’amore e il sesso. Tuttavia credo che su questo rapporto si debba essere seri (metodo pasoliniano). Ho l’impressione che tra i giovani il sesso possa essere uno dei molti modi di dimenticare il presente. Più che vittime siamo forse ormai carnefici del nostro inconscio?”
Hai detto che questo tuo film con Rai Cinema non sarà “su Pasolini ma sul metodo Pasolini di cui abbiamo bisogno per interpretare il qualunquismo e il conformismo della nostra epoca diffuso anche nei nostri sentimenti più profondi, perfino in quello dell’amore”. Come ci può aiutare quindi il “metodo Pasolini” a capire l’amore nell’anno 2022? Ma l’amore quanto conta ancora per l’uomo del XXI secolo?
“L’amore con Pasolini è fratellanza frutto di una consapevole antropologia cristiana di cui la società ha fatto a meno per offrire anche alla politica il controllo delle nostre passioni. O peggio dei nostri sentimenti. Il metodo di cui parlo è la serietà che abbiamo perduto. Non sappiamo più dire no a noi stessi. Con gli altri è facile. Del resto la volgarità del conformismo anche negli affetti ha un’altra faccia apparentemente opposta: il lusso di amare. Orrendo solo pensare che possa essere un lusso fare un figlio…”

Pasolini era il classico intellettuale impegnato nei problemi della società, per esempio tra i primi a criticare ferocemente il consumismo capitalista prevedendo già negli anni Cinquanta e Sessanta gli enormi scompensi che sarebbero arrivati dopo. Quella dell’intellettuale coscienza indipendente e critica della società è ancora una funzione importante in democrazia? Ne vedi oggi di menti libere e così impegnate ai livelli di Pasolini?
“Neppure lui era indipendente. Né avrebbe voluto sapendo che la libertà si manifesta nel capire e che quindi necessità dell’Altro.
Se l’intellettuale oggi è in crisi e soffre la sua relativa irrilevanza la causa è anche sua, in quel intellettualismo inteso come luogo comune della cultura, distruttivo perché disposto solo a problematizzare. Gli effetti di un’istruzione scolastica e di un’informazione scissi o peggio opposti alla poesia hanno accelerato lo scompenso.
Con questo film “Altri Comizi d’Amore” ambientato in un hotel le cui stanze sono ognuna di esse una faccia dell’amore, per eccesso e per difetto, cerco di dare occasioni ai ribelli incompiuti. Mettendo in scena volti veri, solitudini che ci descrivono. La poesia è la mia macchina di ripresa”.

Dalla tv di ieri, ai social on line di oggi con l’impatto che creano nelle menti soprattutto dei più giovani … Secondo te, fosse vivo oggi Pasolini, come li avrebbe percepiti? Avrebbe avuto anche lui un profilo su Instagram o una pagina su Facebook? Ovviamente per affrontarli crticiamente, come infatti fece con la televisione pur facendosi intervistare più volte…
“Per uno scrittore cineasta orientato dalla poesia, è evidente che avrebbe accettato di sporcarsi con questa realtà, di farne parte per criticarla da dentro. Se affermò che l’Italia è diventata un tugurio dove i proprietari si sono comprati una televisione ora in quel tugurio tutti abbiamo un telefonino. Il punto però è il tugurio cioè la miseria intellettuale, corrotta da un consumismo accattone, incapace di riconoscere il “fascismo” degli algoritmi”.
A Los Angeles l’Academy Museum of Motion Pictures in collaborazione con Cinecittà inaugurerà a febbraio una retrospettiva integrale in occasione del centenario della nascita del regista. Gli USA, patria della società capitalista, celebra uno dei cineasti più critici del sistema consumistico. Cosa rappresentava per Pasolini veramente l’America? E New York, che visitò a lungo, che effetto gli fece?
“L’America per Pasolini è al tempo stesso un’ideale e il pragmatico agire. Due dimensioni che se ben declinate fanno fare le rivoluzioni da noi ormai impossibili. Da questo punto di vista l’ingenuità americana è una selvaggia energia per l’eccellenza statunitense. Per quanto riguarda la cosiddetta classe media il tema rimanda a un neocapitalismo di natura imperialista che sta però in Cina. L’America rimane un Paese dalle contraddizioni virtuose e il cinema che ha Los Angeles come mito e modello bene fa ad includere anche la nostra testimonianza. Del resto il conflitto tra pubblico in sala e il popolo in casa è la cifra della sfida tra sviluppo e progresso. NYC a Pasolini piaceva perché in essa è viva la sfida tra le radici e il mondo. Forse perché apparentemente l’incertezza a NYC non è come da noi seguita dall’impotenza”.

Tu nelle tue opere interpreti il genio italiano: Dante, Leonardo, Verdi… ora Pasolini: personaggi così diversi, ma tutti immortali per la storia della cultura italiana: oltre il genio, c’è qualcosa che hanno in comune questi grandi che hanno ispirato il tuo lavoro?
“Ma certo: il bisogno di patria. E poi l’amore per l’unica certezza che abbiamo… il passato, per la tradizione, per il senso della storia, per l’esperienza filosofica per lo scandalo dell’arte e la sua possibilità di rivoluzione, per una pala d’altare, per la pioggia che sale dai prati, per il realismo che offre la natura non solo umana ma anche la terra con il sacro, i sentimenti e per tutti la parola glorificata, scritta o dipinta oppure pronunciata per quel “visibile parlare” che ci rende partecipi della superbia e della umiltà nel nostro viaggio verso “un bosco spesso e vivo””.
Altri suoi progetti negli USA?
“Oltre a mettere a disposizione il film sul metodo Pasolini “Altri Comizi d’Amore” agli Istituti Culturali della Farnesina desidero proseguire il mio viaggio con la lettura della Divina Commedia nelle Chiese e con la proiezione del mio cortometraggio “Dante, per nostra fortuna” nei luoghi dell’arte contemporanea”.