L’animale pesa dieci chili. E’ appoggiato sulla coscia destra dell’uomo piccolino vestito di nero, con i capelli grigi e la mosca sul mento. L’animale si allarga e si stringe, ha un mantice e una cassa armonica e 71 bottoni sui lati. Emette un suono drammatico: acuto o grave, capace di 142 toni diversi perché cambia a seconda che il mantice si apra o si chiuda. I suoi organi interni sono 3786 tra ance, rivetti, pettini, braccetti, manequitos, zapatillas e così via. L’animale si chiama bandoneon, è spuntato dal nulla in Germania a metà Ottocento, poi è salito su una nave di emigranti ed è sbarcato in Argentina. Esprime un suono chiamato tango.

Il bandoneon è bello, elegante e pericoloso. Solo alcuni riescono a domarlo ma nessuno è riuscito ad accarezzarlo come quell’omino vestito di nero. Si chiamava Astor Pantaleon Piazzolla, era nato giusto un secolo fa a Mar del Plata ed è morto nel 1992 a Buenos Aires, fiaccato da un infarto prima e più tardi dall’ictus al cervello che l’aveva paralizzato per metà. Fra lui e l’animale la comunicazione era stata immediata e soprannaturale. Si incontrarono che Astor era un ragazzino litigioso e ignaro del proprio eccezionale talento. Fu suo padre ad affidargli quello strumento comprato per 19 dollari in un negozio dell’usato a New York. “Alla fine di ogni concerto mi peso e mi accorgo che ho perso due chili. Il bandoneon è il mio psicanalista, inizio a suonare ed esteriorizzo tutto”, spiegava ormai adulto il figlio di Vicente e Assunta Manetti. Nonino e Nonina, una coppia speciale, lui nato a Trani e lei a Massa Sassorosso in Garfagnana, arrivati in Argentina a cercar fortuna e passati per mille mestieri fino a diventare contrabbandieri di whisky nell’America del proibizionismo.
E poi c’è quell’altro animale: lo squalo. “Finché avrò la forza di suonare il bandoneon, andrò a caccia di squali. E finché avrò la forza di andare a caccia di squali, suonerò il bandoneon”. Un cerchio che si chiude. Astor e il vecchio e il mare di Hamingway, la poesia e l’epica. La sua filosofia era una sfida infinita iniziata prestissimo con le risse in strada: io contro il resto del mondo, vediamo chi è il più forte. Sulla barca l’ispirazione per le sue note celesti. “La pesca è attesa – confidava – ed è in quei momenti che arrivano le idee musicali, attraverso la forza espressiva dell’animale nell’acqua”. La sua idea di musica era il tango. Tango nuevo fatto di contaminazioni, dissonanze, studio continuo, partiture ardite, jazz, Gershwin, Bach e certi strumenti mai visti prima in orchestra. Logico che uno così fosse altamente divisivo.
Chi era davvero Piazzolla detto El Gato, il gatto, per i movimenti felpati, l’abilità e l’intelligenza? L’Argentina è la terra dei soprannomi. Puoi essere El Gato oppure El Gordo, il ciccione, come Annibal Troilo che fu maestro del bandoneon. Oppure El Flaco, lo smilzo, come Luis Cesar Menotti che condusse la squadra albiceleste al Mondiale del ’78. O El Loco, il matto, come Marcelo Bielsa che sa rendere migliori i suoi giocatori. E naturalmente El Diez, il dieci, il numero magico di Maradona di cui Astor era innamorato. Chi era dunque questo dio della musica?

Un film, distribuito in Italia da Exit Media, colma il vuoto di una domanda senza risposta. Il regista è Daniel Rosenfeld, argentino, che ha frugato in un vecchio garage rintracciando ricordi e reperti inediti negli scatoloni: registrazioni dal vivo, interviste radio e tivù, soprattutto filmini in super 8 con le immagini sgranate di una famiglia felice, unita e senza soldi. Astor, la moglie Dedé, i figli Daniel e Diana, l’ossessione della musica, la fame. Daniel ha suonato con il padre, Diana è stata la sua biografa. La fuga da casa, il divorzio, nuove compagne, i rapporti difficili con i figli punteggiati da liti e lunghi addii. “Non posso dire di essere stato un buon padre e poi la separazione dalla madre per colpa mia ha creato una situazione difficile. Più tardi siamo riusciti a capirci, mi hanno dato bellissimi nipoti. Ci vogliamo molto bene”.
Piazzolla, la rivoluzione del tango è il titolo italiano del film, né documentario né biopic. Oltreoceano invece è intitolato Los anos del triburon, gli anni dello squalo, e si capisce perché. La vita va presa a morsi con denti forti e affilati. “Ho cambiato i vecchi schemi, per questo sono stato attaccato. Ho dovuto difendermi dai nemici”. La sua musica spaccò l’Argentina. Piazzolla aveva rivoltato il tango popolare come un calzino, sottraendolo alle sale da ballo per portarlo nei cabaret degli studenti (“i primi a seguirmi”) e poi nei più grandi teatri d’opera.”Il tango è un pensiero triste che si balla”, ammoniva il compositore Enrique Santos Discépolo, benedetto dal monumento Borges. Astor non la pensava così. Non del tutto almeno.”La mia musica è triste perché il tango è triste. Ma se è più elaborata, se l’ascolto è più difficile, possono dare la colpa solo a un motivo: mi sono rotto l’anima studiando”.

Talvolta le serate finivano a cazzotti e ombrellate fra il pubblico spaccato in due. I tradizionalisti odiavano lui e le sue manipolazioni. “Non mi sembra vero che certi pseudocritici continuino ad accusarmi di aver ucciso il tango: io gli ho fatto la chirurgia estetica”. Una volta un tassista lo lasciò a piedi chiamandolo assassino e comunista. E un’altra volta suonava con il Quintetto a San Pedro, in provincia. “La gente aveva riempito il teatro, alla fine un tipo si avvicinò: maestro, adesso che il concerto è finito perché non suona un tango? Gli scaraventai addosso la cartella degli spartiti”. Piazzolla era colpevole di aver seguito la lezione del primo vero maestro Alberto Ginastera: “Un musicista, mi disse, non può restare fermo sulle sue partiture. Deve sapere di pittura, letteratura, teatro e cinema”. I tangueros, anche i migliori, parlavano solo di donne e gioco d’azzardo.

Piazzolla scappò spesso tra un ritorno e l’altro nella patria ingrata da cui non riusciva a staccarsi. New York, innanzitutto, e del resto era cresciuto a Manhattan e lì aveva incontrato Carlos Gardel che lo volle in un film con lui. Parigi lo adottò. Per un anno, tra il ’53 e il ’54, seguì le lezioni dell’inflessibile Nadia Boulanger che gli mostrò la via: “Mi ha fatto scoprire chi ero, costringendomi a tirar fuori il bandoneon dall’armadio in cui l’avevo nascosto”. Roma e Milano gli offrirono l’opportunità di salire sul palco con Milva e Mina, un enorme successo, l’album strabiliante con Gerry Mulligan nel ’74: tango e sassofono, che meravigliosa fusione. La Germania e il Giappone lo accolsero come un re.

Restava però un uomo insoddisfatto, tempestoso e irrequieto malgrado i capolavori indiscutibili: Adiòs Nonino, Balada para un loco, Libertango, Oblivion, Maria de Buenos Aires, Aconcagua, le colonne sonore. Malgrado i tour con il Quinteto, l’Octeto, il Conjunto 9. Molti hanno sfruttato le sue immense capacità: ha scritto tremila brani e ne ha registrati cinquecento, guadagnando infinitamente meno di quel che valeva. Nell’88, dopo il bypass, durante la convalescenza a Punta de l’Este alimentò con le sue partiture il fuoco di una grigliata. Istintivo e viscerale. “Sono quel che sono perché cento volte sono andato a sbattere contro un muro e cento volte mi sono rialzato”, affermava orgoglioso.
Nel film è il figlio Daniel a mettere ordine nel labirinto Piazzolla. Fra lacrime trattenute, fierezza, malinconia e rimpianto. Lui che nel ’78 imputò al padre di aver abbandonato la sperimentazione dell’Octeto Electronico per riabbracciare le certezze del Quinteto. “Ti rendi conto di aver fatto un passo indietro?, lo rimproverai a brutto muso. Era una cosa terribile da dire. Mi rispose con dodici anni di silenzio”. Scorrono sullo schermo i fotogrammi dell’esibizione al Teatro Colon di Buenos Aires, il giorno della pacificazione con il suo Paese non più ostile. E la commozione di Astor pari a quella per il concerto nella cattedrale di Trani, dove tutto ebbe inizio. “Il mio cuore è tanguero. Ernesto Sabato ha fatto una radiografia quasi perfetta della mia musica: il tango di Piazzolla ha gli occhi, il naso e la bocca di suo nonno, il tango, il resto è di Piazzolla”.

Un uomo straordinario, la sua vita, i miracoli. E la morte in ospedale: triste, solitario y final. Racconta Daniel: <Mi fermò uno sconosciuto fuori dalla stanza dov’era senza più coscienza. Disse: tanti anni fa tuo padre ha fatto un patto con il Diavolo, ha barattato il successo del suo tango con questa fine di merda. Poi quell’uomo sparì come si era materializzato. Non ho mai capito chi fosse>.