Si è tenuto al Festival del Cinema di Roma, un incontro ravvicinato con il regista Marco Bellocchio, in occasione dell’uscita del suo documentario “Max può aspettare” e dell’imminente emissione della nuova fiction, distribuita dalla Rai “Esterno Notte“. Un incontro ricco di arte e cultura durante il quale sono state ripercorse le varie fasi creative del regista, dal periodo della sua formazione fino all’ esordio sul grande schermo.
Marco Bellocchio nasce a Piacenza, Emilia Romagna e fin dai tempi della scuola salesiana ha mostrato interesse per il mondo del cinema. La sue ribellione interna verso modelli sociali conformisti si mostra già da quando, a Bobbio, frequenta la piccola sala cinematografica locale, alimentando la propria passione per la regia. Nel 1959 dalla provincia si trasferisce a Roma per frequentare il Centro Sperimentale di cinematografia, dove i suoi studi iniziarono nell’ambito della recitazione, per poi passare presto dietro la telecamera, su consiglio del grande Andrea Camilleri.

Era la fine degli anni cinquanta, il periodo della “Dolce Vita“, nel quale il cinema d’autore si divideva in due tendenze: la Nouvelle Vague, con Jean-Luc Godard e in Italia con il cinema realista, tra i cui esponenti Bellocchio nomina come fonte d’ispirazione Luchino Visconti. Il regista racconta quanto fosse diffidente nei confronti dei cinque attori dello Star Sistem italiano dell’epoca: Tognazzi, Sordi, Gassman, Manfredi e Mastroianni, poiché la sua ricerca era volta di più a scoprire nuovi volti e a realizzare cinema sì realista ma a tratti surreale. Viene mostrato, dunque, uno spezzone del suo film d’esordio: “I pugni in tasca“.
Pellicola carica di mistero e dai toni disturbanti, girata a Bobbio, che narra la storia di una famiglia di provincia, nella quale il protagonista e figlio maggiore Augusto, interpretato da Lou Castel, esercita il proprio potere di vita e di morte sul resto dei componenti ma che, dopo averlo ottenuto muore tragicamente. Come se il fato, da burattinaio, avesse guidato ogni singola azione dei personaggi.

E’ un film rivoluzionario, nel quale il protagonista è l’antieroe che oltretutto muore. Un fattore quasi inesistente nel panorama cinematografico dell’epoca nel quale il percorso dell’eroe, lo guidava quasi sempre verso il compimento della propria rivoluzione. Curioso nell’ambito della realizzazione di questa pellicola, è stato anche l’incontro con il protagonista: dopo averlo cercato per giorni attraverso provini senza risultati, Marco Bellocchio e la sua squadra operativa incontrano per caso alla mensa del Centro Sperimentale Lou Castel, che stava seguendo dei corsi di regia, il quale vince subito il ruolo di protagonista e che dal maestro viene definito un attore profondamente creativo.
Successivamente si passa a parlare di un altro suo capolavoro: “Vincere“. Film che racconta gli anni di ascesa di Benito Mussolini, interpretato da un egregio Filippo Timi, dal socialismo fino al drastico passaggio al fascismo e la storia d’amore con Ida Dalser, interpretata da Giovanna Mezzogiorno. Un film che mette soprattutto in risalto il rifiuto di una donna che non accetta di essere messa da parte per il potere, un dolore che la trascina dritta in manicomio compromettendo non solo la propria persona ma anche il figlio che porta in grembo.

Altro capolavoro che viene citato è “Enrico IV“, che vede protagonista un Matroianni, che a detta di Bellocchio, si trovava in un periodo di stasi della propria carriera. La cosa curiosa è che l’attore viene definito come una persona semplice ma allo stesso molto triste e riservata, come se internamente avesse una lotta irrisolta che incupiva il suo sguardo.
“Max può aspettare” è invece un film documentario in cui viene raccontata la storia di suo fratello senza filtri ne pudori, che allo stesso tempo ricostruisce un’epoca storica e che è stato presentato al Festival di Cannes.
“Provo gratitudine nei confronti della generosità della Brigate Rosse. A loro devo la restituzione della vita e della libertà. Dopo quello che è accaduto provo completa incompatibilità con il partito della DC e rinuncio a tutte le cariche, anche quelle future. Mi dimetto.” Così apre invece la presentazione della nuova serie diretta da Marco belloccio: un Aldo Moro sdraiato nel letto che chiude con la Democrazia Cristina. Fiction, che verrà distribuita dalla Rai, “Esterno Notte“, nata da un’illuminazione avvenuta durante il quarantesimo anniversario della morte di Aldo Moro. Dal breve frammento mostrato quello che traspare è un egregio lavoro di regia. Bellocchio è riuscito a raccontare gli anni della prigionia di Aldo Moro senza freni e con un realismo che risucchia completamente. Si nota una mano sapiente e una mente che conosce intimamente le vicende che vengono narrate. Un tratto importante è la dimostrazione di quanto tutti i poteri forti, abbiano giocato un ruolo importantissimo e si percepisce sulla pelle il momento in cui le Brigate Rosse chiudono definitivamente con la Democrazia Cristiana.

Finalmente una fiction che in Rai farà la differenza, la speranza è che sia la prima di tante, sotto la guida della sapienza di un maestro, che anche in ambito televisivo potrà apportare pensiero, contenuto e bellezza.
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