L’importanza di Tina Modotti nella storia iconografica degli inizi del XX secolo è vicenda più che nota agli addetti ai lavori. Per loro, ma anche per tutti gli altri – sparsi in ogni parte del mondo – la chiacchierata di oggi con Enzo Carli vuole essere un tentativo di riassumere almeno in breve, anche se in parte, l’importanza oggettiva di questa protagonista femminile dell’Olimpo della Fotografia mondiale, analizzandone gli elementi principali che hanno contraddistinto la sua vita e la sua opera. Premettendo che una compiuta trattazione del mondo artistico della Modotti richiederebbe giorni e giorni, un critico fotografico del calibro di Enzo Carli farà comprendere sicuramente la valenza del solco profondo che la Modotti ha creato nella Cultura dell’Immagine.
Sociologo e giornalista, ed anche lui medesimo fotografo, Enzo Carli ha partecipato a mostre, dibattiti e convegni sulla fotografia in Italia e all’Estero. Affettuoso allievo e amico di Mario Giacomelli, ricordiamo che è autore di saggi e pubblicazioni sulla fotografia e sulla comunicazione per immagini. È stato sempre del resto ricercatissimo consulente di enti pubblici e privati sulla fotografia a livello nazionale e internazionale; citiamo – dal ricchissimo curriculum – la sua direzione artistica di Human work, progetto europeo sulla fotografia (Italia, Spagna, Germania, Romania); la collaborazione con la Biblioteca Nazionale di Francia (BNF) in occasione della Mostra: “Metamorfosi” di Mario Giacomelli (2005/2006); i rapporti con il Metropolitan Museum di Fotografia di Tokyo e quelli con la Galleria Berthet di Parigi.

Parliamo di Tina Modotti: una donna bellissima, che è stata fotografa di talento, attivista indomita e perfino attrice (agli inizi della sua carriera): esiste secondo te, all’interno della storia mondiale della Fotografia, una donna altrettanto eclettica e carismatica?
“Per amor di verità, a partire dall’inglese Anna Atkins (forse la prima donna ad usare la fotografia), sono molte le donne fotografe che fino alla metà del secolo scorso, con il loro coraggio, temerarietà e capacità, hanno lasciato tracce indelebili sulla storia sociale, sulla drammaticità della guerra, documentando gli albori della nuova società di massa e della nuova cultura iconica. Voglio ricordare Julia Margaret Cameron e i suo tratteggi della aristocrazia inglese; Gerda Taro compagna e collega di Robert Capa che perse la vita nella guerra spagnola; Vivian Maier e la sua street photography. Anche Margaret Bourke-White, pioniera del fotodocumento (al seguito del Generale Patton documentò il campo di concentramento di Buchenwald, Dear Fatherland, Rest Quietly ); Imogen Cunningham, Eve Cohen Arnold, Francesca Woodman, Helen Levitt, Dorothea Lange e la sua ricerca dei migranti americani (interprete con la Farm Security Administration – FSA della grande depressione americana), Diane Arbus (con i ritratti degli emarginati sociali) ed anche altre.
Una attenzione particolare va sicuramente però a lei… alla italiana (friulana) Tina Modotti (Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti): una donna dal multiforme ingegno, bella e appassionata; fotografa, attivista, attrice (l’hai ben definita, nella tua domanda), ma anche rivoluzionaria. Tina ha incarnato, con le lue pulsioni, la donna disinibita e appassionata delle nuove opportunità, paladina dei diritti umani latinoamericani”.

Il mondo fotografico della Modotti non è mai disgiunto dal suo impegno sociale : in qualità di fotografo, critico e sociologo quale sei, proviamo a tratteggiare meglio questo connubio.
“La vita e la fotografia di Tina Modotti sono strettamente correlate; sono immagini di una vita intensa ed avventurosa (viaggiò in diversi continenti), libera da legami di ogni tipo che non fossero la figurazione delle sue forti passioni indirizzate dall’ intenso impegno sociale. Apprende i primi rudimenti fotografici dallo zio paterno, Pietro Modotti. Determinata e forte, si trasferisce in America, dopo l’esperienza di attrice in tre film hollywoodiani; già sposata (1918) con il pittore Roubaix de l’Abrie Richey, (detto Robo), conosce il fotografo Edward Weston, di cui diventerà amante, e con il quale nel 1923 si recherà in Messico. Il rapporto con Weston le permise di approfondire le sue conoscenze tra fotografia umanista, pittorialismo fotografico e fotografia di strada, e di crearsi soprattutto uno stile preciso che il fotografo Manuel Alvares Bravo distinse in una fase romantica e in una rivoluzionaria. Tina Modotti intuisce perfettamente la forza incredibile dell’immagine e riesce a rappresentare emotività e sentimento sostenendo che la fotografia, […] rappresenta il medium più soddisfacente per registrare con obiettività la vita in tutti i suoi aspetti. Sono immagini che si rivolgono all’interno di altre proposizioni artistiche e che mettono in luce le implicazioni e le possibilità del mezzo, e la stessa Modotti è animatrice e protagonista di immagini che non si limitano a registrare la realtà, ma anche a restituirla alimentata dalla propria coscienza critica e dalla propria creatività, con una espressione – filtro ed incantesimo – che esprime la forza delle proprie idee unite ad uno straordinario senso estetico”.

Insomma, una interprete del reale affascinante e carismatica.
“Sì. Specificherei ancora meglio: una fotografia vigorosa, tormentata, di grande sensibilità e ideali; nella sua vita privata, anche una donna affascinante e desiderata, che partecipò attivamente alla vita del suo tempo conoscendo e diventando amica di altri grandi protagonisti (per citarne alcuni: Edward Weston, Frida Khalo, Diego Rivera, Ernest Hemingway,Robert Capa, Manuel Alvares Bravo, Diane Arbus, Jon Dos Passos, Pablo Neruda). E poi, come non ricordare il matrimonio con Robo, l’intensa storia con Weston, la relazione con Xavier Guerrero (funzionario del Partito Comunista Messicano cui si isciverà la Modotti); si ipotizza addirittura una relazione con la stessa pittrice Frida Kahlo. Fu la compagna del rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella tra i fondatori del Partito Comunista Cubano, drammaticamente assassinato; e di Vittorio Vidali, suo ultimo compagno, conosciuto nel Partito Comunista. Nel 1929 realizzò forse la sua più importante esposizione : la prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico.
Un’artista (anche se lei sosteneva che «Ogni volta che si usano le parole “arte” o “artista” in relazione ai miei lavori fotografici, avverto una sensazione sgradevole dovuta senza dubbio al cattivo impiego che si fa di tali termini. Mi considero una fotografa, e niente altro.) capace di grandi slanci d’amore, in particolare votata al rispetto degli ideali della classe lavoratrice e delle donne, come nel caso della serie dedicata alle donne di Tehuantepec”.

Andrà a visitare questa mostra di Milano?
“Appena possibile, anche se ho avuto già l’occasione, diversi anni fa, di vedere all’ Istituto di Cultura Spagnolo a Parigi una mostra di sue fotografie originali, ed è stata un’emozione unica, fantastica. Un ricordo che non mi ha più lasciato”.
Come vogliamo concludere questa chiacchierata?
“Tina Modotti muore nel 1942 a soli 46 anni a Città del Messico, ufficialmente per infarto. Ma la sua era una vita complicata che l’aveva vista al centro di complessi misteri tra cui sembra – per alcuni – anche dell’assassinio di Lev Trockij. Si parla di un complotto in cui pare sia implicato lo stesso Vittorio Vidali. Non lo sapremo mai. A noi resteranno le sue fotografie testimoni della grande passione della sua vita e di quella degli altri.
«Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella…
Così scriveva Pablo Neruda il 5 gennaio 1942 in un epitaffio dedicato a Tina Modotti”.