Andar per musei e mostre. A volte può essere barboso (ai tempi di scuola, quando le “visite”, oltre che obbligatorie, erano anche “guidate” da noiosi nozionisti incapaci di appassionare, anche quando di fronte avevi dei Michelangelo, dei Giotto, dei Botticelli…). Col tempo, non solo si cresce; si impara ad apprezzare. I musei e le mostre “tradizionali”, e poi ecco che prende il gusto delle piccole grandi scoperte.
Paul Ricard, dice nulla questo nome? Un tipo originale. Cresce a Marsiglia; la famiglia commercia in liquori. Ricard ci mette del suo: si “inventa” il pastis: ne apprende l’arte da un vecchio pastore, e ne raffina la ricetta. A partire dal 1939 costruisce un vero e proprio impero nel campo degli alcolici; nel 1975 si fonde con l’altro colosso: il Pernod; nasce il colosso “Pernod Ricard”.
Negli anni ’50 Ricard è uno dei più ricchi industriali di Francia; si può permettere di acquistare, per una sorta di sfizio, una piccola isola disabitata al largo della Costa Azzurra, tra Nizza e Marsiglia: Bendor. Sono appena sette ettari, completamente deserti. Una leggenda vuole che ci viva una pecora solitaria. In quella landa, Ricard fa costruire una villa e alcuni edifici per ospitare famiglia e amici.
Ora ci sono anche un hotel, appartamenti, ristoranti, negozi, una galleria d’arte, due musei, un vero e proprio villaggio, insomma. Uno dei due musei raccoglie il materiale pubblicitario della Ricard; l’altro è la Mostra Universale di Vini e Liquori: raccoglie oltre 8000 bottiglie da tutto il mondo, ma anche bicchieri, etichette, vecchi menu, libri di mixologia, anche molto rari: alcuni risalgono al ‘700.
Bel tipo, questo Ricard: ironico, battuta pronta, una quantità di interessi e passioni: pittura, cinema, sport; negli anni dell’oppressione nazista milita attivamente nella Resistenza; si interessa alle tematiche ambientali ed ecologiche quando neppure si sapeva il significato di quei termini. Anche scrittore, drammaturgo, regista, nel 1950 acquista il materiale degli studi di Marcel Pagnol, e produce uno dei primi film francesi a colori, “La maison du printemps”.
La storia di questo fenomeno è “raccontata” nel museo a lui dedicato, nella tenuta di Méjanes, ad Arles, in Provenza, nel Sud della Francia. Un museo voluto e realizzato dalla figlia Michèle.
Qui si scopre un Ricard, intimo e sorprendente: l’autore di alcuni dipinti di rara intensità, e i cimeli del Ricard appassionato di corse automobilistiche; già: perché è lui che realizza il circuito di Le Castelet, inaugurato nel 1970, dove hanno avuto luogo alcuni Gran Premi di Formula 1.
Dalla Francia a Ravenna, cuore di Romagna. Sulle tracce di uno dei più grandi poeti, e padre della lingua italiana: Dante Alighieri, di cui si celebrano i 700 anni della morte. Chissà se Dante, che pure aveva una grande considerazione di se stesso, ha immaginato che sarebbe diventato una sorta di icona. E’ quello che si “scopre” grazie a una mostra originale, “Dante. Un’epopea pop”: è una curiosa e simpatica narrazione di parole, suoni e immagini, dal cinema alle canzoni, dalla pubblicità ai fumetti, alla miriade di oggetti che ne riproducono la celebre icona.
La mostra ricorda che Dante già nel Trecento gode di vasta popolarità. Le sue terzine entrano nel linguaggio comune, riprodotte in tutto il mondo in almanacchi, calendari, poster, magliette, slogan pubblicitari, canzoni. La sua stessa (presunta) immagine è un’icona; e innumerevoli i monumenti nelle piazze, gli oggetti che lo riproducono. La “Commedia”, è tradotta in tutte le di lingue, milioni di edizioni; e riduzioni cinematografiche e televisive, album di figurine, giochi da tavolo, storie a fumetti, cartoni animati.
La mostra è un viaggio nel mito di Dante: simbolo dell’identità italiana, ma anche europea; scelto come effige per la moneta da due euro coniata dall’Italia. , la cui effigie passa dalle lire agli euro.
Dante è un marchio usato per una pubblicità della Olivetti; ma è protagonista anche di alcune parodie della Walt Disney; usato per uno spot della carne in scatola Simmenthal; la riproduzione delle le 34 tavole dell’”Inferno” di Robert Rauschenberg; la pubblicità di un purgante della ditta Nicola Zingarelli. Provoca scandalo. Un bonario Benedetto Croce getta acqua sul fuoco, ricorda che “i grandi capolavori da sempre sono oggetto di allegorie e parodie”.
Il “percorso” della mostra “apre” con un documento prezioso: una lettera in cui Francesco Petrarca comunica a Giovanni Boccaccio che smetterà di scrivere in volgare perché non vuole che i suoi versi siano “sputazzati”, dal popolo che non li capisce. In mostra anche il “Trecentonovelle” di Franco Sacchetti, morto nel 1400; vi si legge dello sdegno di Dante, furibondo perché sente i suoi versi storpiati da un fabbro e un asinaio, che li cantano per strada.
Non mancano i documenti sonori, come le grandi interpretazioni di Giorgio Albertazzi e Vittorio Gassman; ma si è avuto cura di raccogliere anche la “memoria” minuta dei cosiddetti dantisti popolari: gondolieri, braccianti, briganti analfabeti che sapevano a memoria Dante. Si espone anche un curioso referto medico del manicomio di Roma del 1872: si parla di un certo R.L., che impara a memoria la Divina Commedia e si esprime solo in terzine dantesche. Tra i mille documenti, l’intervista impossibile a Beatrice realizzata nel 1975 per Radio Rai da Umberto Eco, con regista Andrea Camilleri: una Beatrice femminista che descrive Dante come se fosse uno stalker e si sfoga: “Non mi parli di quel Dante, me lo ritrovo in tutti i cantoni con quegli occhi da pesce bollito”.