Con Carlo e suo figlio Maurizio Riccardi mi sono incontrata l’ultima volta qualche anno fa, in occasione di un Premio che consegnai al padre: Fotogiornalismo d’Autore.
Stiamo parlando di Carlo Riccardi, celebre Fotografo ed Artista, classe 1926, che ha raccolto in un grande archivio ben 75 anni di Storia italiana. I suoi scatti sono esposti in exhibitions permanenti a Pechino, Roma e San Pietroburgo. E’ il primo paparazzo della Dolce Vita, nonché amico di Ennio Flaiano, Federico Fellini e di Totò. Ha lavorato per molti giornali, e ha documentato perfino sei elezioni papali. Ha pubblicato diversi libri fotografici, tra i quali: Sophia Loren – Se mi dice bene (Armando, 2014), I Tanti Pasolini (Armando, 2015), e Gli anni d’oro del Premio Strega (Ponte Sisto, 2016). A Roma, Carlo Riccardi è da sempre amico di tutti. Suo figlio Maurizio ne ha ereditato la vena fotografica, ma in più è giornalista e direttore del Gruppo AGR (di cui fanno parte l’agenzia fotografica AGR, il magazine online Agrpress.it, l’Archivio Riccardi, la sezione Audiovsivi / web e la sezione Comunicazione). Nel caso dei due consanguinei Riccardi, la Fotografia ha rappresentato una passione, una professione, una mission di vita per lasciare tracce di memoria nella Storia.
Maurizio, bentrovato. Iniziamo questa chiacchierata ricordando che sei anche tu fotografo, come il tuo celebre papà; presiedi da tanto tempo l’Agenzia di documentazione fotografica Agr e dirigi l’Archivio Riccardi, operando su tutta la sfera della comunicazione multimediale. Quanto sei disposto a riconoscere che tuo padre Carlo Riccardi, che tu chiami amorevolmente Carletto, ha influenzato la tua vita di uomo e di professionista?
“Bentrovata a te. Carletto Riccardi con il suo esempio professionale, il suo amore per l’arte e l’attenzione al sociale ed alle persone più umili, mi ha reso un uomo sensibile e attento. Per un vero fotografo l’attenzione è vitale, aiuta a cogliere gli attimi importanti e permette di conservare sempre quell’umanità che ci lega ai veri valori della vita. Fin da ragazzo, mio padre mi ha fatto lavorare con i suoi colleghi, non ha mai creato favoritismi e mi ripeteva sempre: La strada della tua vita te la costruisci da solo”.
Parliamo dagli esordi della carriera di tuo padre. Come iniziò il suo percorso di fotografo e fotoreporter?
“Mio padre ha trascorso la sua infanzia ad Olevano Romano, paese in cui è nato, e dove mio nonno aveva una tenuta in cui ospitava i pittori tedeschi ed inglesi che avevano vinto la borsa di studio presso la sede di Casa Baldi. Lì imparò a parlare inglese e ad amare la pittura; conobbe poi una ragazza inglese che scattava fotografie; era molto piccolo, ma si innamorò all’istante di quel miracolo che era la Fotografia! Le mie zie mi hanno raccontato che, appena arrivati a Roma a Valle Aurelia, il piccolo Carletto si costruì una finta macchina fotografica di creta, mettendo in posa le sorelle e facendo finta di scattare. Successivamente andava a casa e prendeva qualsiasi supporto, carta o altro, e disegnava i loro ritratti per poi dire loro: Ecco le vostre foto!
Appena più grande cominciò a lavorare per uno studio di foto pittura e iniziò a colorare le foto con le aniline e a dipingere, portando a casa i colori di grandi pittori. In quel periodo conobbe Pierotti (il fotografo del Duce) che lo aiutava a scattare facendolo salire sulle spalle; lui era leggerissimo e così poteva scattare delle foto dall’alto. Purtroppo, pero’, l’archivio di Pierotti è andato perso.
Nel 1944, poi, a Roma passò un giorno una jeep americana con dei militari, e questi chiesero delle indicazioni a Carletto, il quale rispose loro in inglese; fu così che lo caricarono sulla jeep, diventando da quel giorno prima il loro cuoco e poi il fotografo del Rest Center al Foro Italico; poteva lavorare in un ufficio dove scattava, sviluppava, stampava e colorava le foto per i soldati americani, Fu proprio lì che conobbe Federico Fellini, che faceva le caricature ai soldati americani”.
L’Archivio Storico Fotografico Riccardi che dirigi è iscritto presso la Soprintendenza Archivistica del Lazio di Roma in qualità di Patrimonio di Interesse Nazionale, ed è composto da oltre quattro milioni di negativi originali, che ritraggono infiniti momenti – più o meno noti – della vita politica, sociale e di costume che hanno caratterizzato gli ultimi 75 anni della Storia del nostro Paese. Che cosa significa, in senso pratico, gestire un archivio del genere? E come lo si fa lavorare?
“L’Archivio Riccardi è uno degli archivi privati più grandi d’Italia e rappresenta per me una vera e propria macchina del tempo. Ho speso gran parte della mia vita e delle mie risorse economiche per preservare la storia del nostro paese custodita in milioni di immagini e per far conoscere l’immensa opera realizzata da Carlo Riccardi, dai suoi collaboratori e incrementata anche dal mio lavoro di fotoreporter. La gestione di un archivio è strutturata in molte fasi, tra cui lo studio continuo di soggetti, personaggi, luoghi ed eventi; la conservazione dei negativi, che sono molto sensibili alla temperatura, all’umidità ed altri fattori esterni; poi vi è la digitalizzazione dei negativi, il restauro delle immagini, l’inserimento di informazioni e infine la catalogazione. Per un archivio gigantesco come il nostro la visibilità è fondamentale e per questa ragione noi con www.archivioriccardi siamo presenti in rete e sui social.
Purtroppo nel mondo contemporaneo, con l’avvento del web, non si dà più valore alle immagini e al lavoro dei fotografi che hanno immortalato la nostra storia. Quasi sempre vediamo immagini prese senza autorizzazione, oppure ci chiedono immagini a titolo gratuito, il che oltre ad essere un danno reale per la sopravvivenza degli archivi privati è anche un danno per l’erario. Le nostre istituzioni ed il mondo politico dovrebbero porre più attenzione a tutto il comparto dell’informazione per immagini, tutelando la storia della fotografia italiana e i nuovi riders di questo mondo dell’informazione che contribuiscono a documentare il nostro paese (girando per le strade e portando non una pizza ma attrezzature costosissime) e che sono spesso costretti a cambiare lavoro disperdendo la documentazione da loro raccolta. Custodire la nostra memoria fotografica è la strada per rivalutare le nuove professioni”.
Ti sei occupato di organizzare professionalmente molte prestigiose mostre; ne ricordo solo qualcuna, come Vita da Strega, I papi santi e Donne & lavoro. Hai pubblicato numerosi libri tra cui Africa perché (New Media, 2008), San Giovanni Paolo II. Il Papa venuto da lontano (Armando, 2014), e con Giovanni Currado I tanti Pasolini (Armando, 2015), Gli anni d’oro del Premio Strega (Ponte Sisto, 2016), Il popolo della Repubblica (AGR, 2017), Aldo Moro | Memoria Politica Democrazia (AGR, 2018) e Italia al voto | Quando il web era la strada (AGR, 2019). La tua attività spazia all’interno del mondo della Cultura in maniera varia ma sempre di qualità. Cosa pensi dell’attuale livello culturale del nostro Paese? Cosa potrebbe essere fatto di più e meglio per tutelare la nostra Storia e le nostre origini e tradizioni?
“Per noi di Archivio Riccardi è stato importante far conoscere il nostro patrimonio attraverso le tante mostre e i volumi realizzati grazie al lavoro dei collaboratori che lavorano con noi e, che qui voglio citare per ringraziarli: Giovanni Currado, Marino Paoloni, Simona Mattei, Enzo Falconi.
L’Italia dovrebbe avere uno sguardo più attento all’orizzonte culturale con iniziative reali, a partire dalla riscoperta degli autori delle immagini. Io osservo un vero e proprio buco culturale, nel senso che nel Bel Paese non si conoscono più i fotografi e i pittori del nostro 900 mentre veniamo bombardati da finti post culturali. Il pensiero che tra qualche anno nelle ricerche sui fotografi italiani attraverso i giornali prevalga il nome di Fabrizio Corona, che non ha mai svolto questo mestiere, è terribile.
A mio avviso le iniziative devono partire dal basso, dalle periferie, dai paesi, e portando alla luce le storie, i racconti, le immagini di personaggi, poeti, artisti, Papi, gente comune, oltre al mondo sociale e sindacale italiano. Basti pensare che molti cittadini abitanti sul territorio nostrano conoscono i nomi di illustri personaggi o Presidenti (come De Nicola, De Gasperi, Ungaretti, Pasolini ecc.) ma non hanno mai visto il loro volto. Il coinvolgimento di istituzioni e aziende private sarebbe molto utile per la realizzazione di queste attività: tutti noi conosciamo i gadget regalati da grandi aziende ed istituzioni, oggetti in plastica, pennette usb ecc., ma allora…non sarebbe meglio un libro o una mostra”?
Tuo padre Carlo Riccardi il prossimo 3 Ottobre festeggerà 95 anni. Come trascorre le sue giornate? Cosa ama ricordare della sua vita che ha attraversato quasi un secolo di Storia?
“Carletto è sempre molto attento, segue i telegiornali ed è colpito dalla disumanizzazione della società, e anche da una politica che non sta tra la gente ma si limita a rispondere a un tweet. Lui ancora oggi è un fiume di memoria; ricorda spesso la giovinezza con i suoi sette fratelli, ma conserva anche il ricordo dei suoi incontri con La Pira, Gronchi, Ennio Flaiano, e la sua amicizia con Federico Fellini, De Chirico, Papa Giovanni Paolo II e molti altri”.
Viene riconosciuto dagli addetti ai lavori che Carlo Riccardi è il paparazzo per eccellenza, testimone di decenni di vita italiana, nonchè pittore e ideatore del manifesto pittorico Quinta dimensione, che tra l’altro vorrei tu illustrassi nello specifico.
“Il Manifesto pittorico della Quinta Dimensione fu creato da Carlo Riccardi 51 anni fa, negli anni ’70, ed è stato ritrovato dopo 20 anni. Fu firmato da oltre 60 artisti italiani e stranieri, tra i quali Pericle Fazzini, Sante Monachesi, Emilio Greco, Umberto Mastroianni, Luigi Montanarini, Gentilini, Sandro Trotti, Alessandro Piccinini, Pierre Carnac, Suriano, Aldo Riso, David, De Meo, Niki Berlinguer, Remo Brindisi.
In questo Manifesto Carlo Riccardi aveva dipinto il simbolo della Quinta Dimensione (un cerchio con due parallele) con la pittura fluorescente, e dopo 50 anni dalla sua creazione questo simbolo fosforescente della Quinta Dimensione è ancora visibile al buio.
Il Manifesto ha come messaggio “Riportare l’Uomo al centro”, cioè riportare nel mondo artistico e sociale diversi fattori; è infatti un manifesto cosmopolita per la contaminazione positiva, il rispetto dei costumi nazionali, internazionali e religiosi. I vari caratteri si fondono dando vita a visioni artistiche e sociali: la Antropocentrista per riportare l’umanità al centro del suo ambiente, la Cibernetica per rendere più umane le macchine capaci di simulare le funzioni del cervello umano, la Astrale per una visione dell’essere umano oltre la fisicità.
Pierre Carnac, scrittore, antropologo e storiografo di Salvador Dalí, ha dichiarato in proposito: “Nel 4000 un solo quadro ricorderà il nostro tempo, il cerchio luminoso di Carlo Riccardi”.
Durante la sua carriera – lo abbiamo già ricordato – Carletto ha documentato oltre 70 anni di storia del nostro Paese: le sue fotografie hanno accompagnato personaggi dello star system, politici, Papi, ma anche gente comune. A quali fotografie è maggiormente legato tuo padre? E perché?
“Mio padre è legato a moltissime delle sue foto. Una per esempio è la foto di Papa Giovanni XXII in posa sulla via Ostiense: il Santo Padre conosceva Carletto perchè era il suo fotografo quando dirigeva la Biblioteca Vaticana e un giorno, nel tragitto per andare ad Ostia, lo vide in macchina; fece accostare l’autista, fece scoprire la macchina e si mise in posa. Altra foto emblematica è il bacio in aereo tra Sophia Loren e Carlo Ponti: Carletto salì dietro a Ponti che stava andando a salutare la moglie e riuscì a rubare al volo lo scatto di quel bacio. Un’altra foto significativa è quella del presidente Kennedy in auto con Antonio Segni”.
E tu, invece, in qualità di figlio, quali immagini che ha immortalato tuo padre porti nel cuore?
“Una foto di mia mamma inginocchiata a piazza San Pietro con mia sorella in braccio; sulla piazza qualche auto parcheggiata, nessuna persona in giro ma in lontananza il Papa alla finestra. Un’altra immagine a cui sono molto legato è quella pubblicata sul primo numero dell’Espresso formato tabloid, con l’Avvocato Gianni Agnelli sulla sedia del Cardinale”.
Ricapitoliamo: la curiosità di tuo padre nei confronti del mondo dell’arte arriva molto presto, osservando i pittori tedeschi e inglesi. In che modo è poi proseguita questa passione, che è stata fino ad un certo punto parallela a quella per la macchina fotografica, e poi penso si possa affermare che sia stata prevalente negli ultimi anni di attività professionale di tuo padre? OggiCarletto ancora dipinge? E la macchina fotografica quanto tempo fa l’ha abbandonata (se l’ha abbandonata, ovviamente)?
“Arrivando a Roma mio padre ha avuto la fortuna di conoscere tantissimi artisti. Dal 1950 ha cominciato a dipingere e a mostrare le sue opere a diversi pittori tra cui De Chirico e Cagli, che lo incoraggiarono. Addirittura Cagli sorpreso dai suoi astratti gli chiese se voleva andare con lui in America. Ha poi continuato sempre a dipingere, e negli anni 70 a Roma ha aperto anche una galleria, La Scalette Rossa, che oggi è diventata Spazio5, e ha fondato due accademie: l‘Accademia Nuova Aurora e l’Accademia del Risorgimento. Oggi Carletto dipinge poco ma disegna, e la macchina fotografica è sul suo comodino, sempre vicina giorno e notte, e quando passo a trovarlo mi scatta sempre una foto”.
Vorrei ricordare in particolare una iniziativa straordinaria di tuo padre. Negli ultimi tre decenni, godendo anche del patrocinio della Regione Lazio, Carletto ha percorso cinquemila chilometri per “incravattare” e “fasciare”, con maxi tele lunghe sino a 300 metri, scorci di paesi, paesaggi e monumenti di tutta Italia. Dietro l’aspetto più squisitamente artistico si celava il suo proposito di sensibilizzare l’opinione pubblica per la valorizzazione dell’immenso tesoro artistico italiano. Cos’altro ci dici al riguardo?
“Carletto, da sempre dotato di grande sensibilità artistica, era molto ferito nel vedere i nostri splendidi monumenti abbandonati e alle volte deturpati, e allora per sensibilizzare l’opinione pubblica sul vandalismo e l’incuria inventò un modo non invasivo per attirare l’attenzione sul fenomeno: senza rovinare superfici o palazzi o edifici storici iniziò a dipingere su maxi tele giganti che arrotolava e portava sulle sue spalle, srotolandole poi vicino ai monumenti danneggiati”.
Il 16 agosto 2016, a distanza di 30 anni dalla prima esposizione di una maxi tela in Piazza del Popolo a Roma, l’inarrestabile Carletto – sempre lui – è stato protagonista di un’installazione mobile: ha proposto una tela lunga oltre 100 metri dal titolo Diamoci una mano, come a dire che la cultura unisce i popoli. Negli oltre 100 metri di pittura, la mano è riprodotta in mille colori e in tante situazioni ma è sempre aperta: il senso è alludere al bisogno collettivo degli incontri. Come sono stati partoriti questi progetti e come sono stati accolti dal mondo della Comunicazione e della Cultura stessa?
“E’ stato difficile riportare la maxi tela 30 anni dopo in Piazza del Popolo, perchè nessuno voleva autorizzare una manifestazione artistica. E nessuno infatti lo fece. Allora Carletto chiamò i suoi amici, che diedero vita a un vero e proprio blitz artistico. Il titolo della manifestazione culturale a Piazza del Popolo era proprio Diamoci una mano perché le mani nell’idea di Carletto erano il punto di incontro e di contatto umano più’ frequente, una consuetudine preziosa che purtroppo il covid ci ha tolto. I mediahanno riportato molto bene il messaggio di Carletto, che esortava ad aiutarci e proponeva al Ministro Franceschini di realizzare a Roma le Olimpiadi dell’Arte. Chissà…speriamo che questa idea possa essere ripresa per Roma e per gli artisti. Tanti sono i progetti nati dall’inventiva di Carletto; il suo pensiero del resto è sempre stato volto alla condivisione della bellezza e alla fusione delle visioni artistiche per far esplodere la creatività”.
I tuoi prossimi progetti professionali quali sono, Maurizio?
“Per Archivio Riccardi vorrei riprendere l’attività espositiva; tante le mostre che purtroppo abbiamo dovuto chiudere a causa della pandemia. In particolare sono dispiaciuto per quella che avevo dedicato a Rita Levi Montalcini, che ho seguito per molti anni. Adesso spero di ripartire nel nostro Spazio5anche con presentazioni di libri ed eventi. Per il resto continuo ad essere affetto da questa bellissima malattia che è la Fotografia, che non smette di rendermi curioso ed attento”.
Quando tuo padre non ci sarà più – e ci auguriamo tutti che avvenga il più tardi possibile – quali suoi insegnamenti ti ricorderai maggiormente? E che cosa ti mancherà di più soprattutto di questi ultimi anni passati insieme, tu e lui, a stretto contatto?
“Carletto ci sarà sempre, per me è una fonte inesauribile a cui dissetarmi: lui riesce a vedere le cose al di là dell’aspetto esteriore e il vociare, ed è capace di guardare oltre e di far parlare il suo cuore da gigante che ha conosciuto re, regine, Papi, vescovi, politici, presidenti italiani e stranieri, ma che in fondo è sempre rimasto quello di Carletto. Oggi come allora mi dice: Rispetta le persone, non importa se poveri o ricchi; tutti sono ricchi della loro storia, dei loro ricordi e tutti possono insegnarti qualcosa, perciò ascolta con attenzione, fotografa e documenta. Si è essere umani solo se si ascolta, e ricorda: chi non mantiene la memoria non costruisce il futuro ma vede solo se stesso riflesso nell’acqua di un fiume che passa”.