
Qual è lo stato dell’Arte in un’Italia che permane, col nuovo corso politico, a chiazze cromatiche? Mentre si attende l’emanazione del nuovo decreto ministeriale contenente le misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, la bozza inviata alle Regioni prefigura una riapertura di musei, cinema e teatri a partire dal 27 marzo. Un respiro di sollievo per i lavoratori delle filiere creative e culturali, sfiancati da un anno di mancati incassi e tenuti in vita dall’ossigeno dei ristori.
Un’eccezione, attualmente, è fatta per i musei e per gli spazi espositivi, riaperti nelle zone gialle nei giorni feriali, per evitare afflussi massicci nei week end. Una parvenza di normalità in un’Italia tenuta ancora sotto scacco dalla pandemia. Ne parliamo con Evelina Christillin, top manager già Presidente dell’Enit, Vicepresidente Vicario del Comitato per l’Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, e attualmente Presidente della Fondazione Museo Egizio di Torino, rappresentante femminile della UEFA al Consiglio FIFA, Vicepresidente della Commissione FIFA “Football Stakeholders” e del Consiglio Direttivo dell’Associazione Milano City, e ancoraPresidente del Comitato Remunerazioni di Banca Crédit Agricole e dello Steering Committee di Genova.Presidente, è soddisfatta della parziale riapertura dei musei?”E’ esattamente un anno che, tra aperture e chiusure, è una corsa a ostacoli, e benché non sia particolarmente conveniente tenere aperti in queste condizioni, senza i week end, senza le scuole, senza turisti e coi passaggi bloccati tra regioni, manteniamo intatto l’entusiasmo. Considero i musei, e i luoghi della cultura in genere, servizi pubblici essenziali, che offrono alle persone, in questo periodo difficile, qualche ora di svago. Quando vado in giro per le sale, ricevo i ringraziamenti da parte dei visitatori, e questa è una grande soddisfazione morale”.

Dopo un anno pandemico che ha visto la chiusura pressoché totale dei luoghi d’arte e di cultura, si può tracciare un bilancio economico riguardo ai costi e alle perdite? Una débâcle o un sacrificio sostenibile?
“Dipende dalle situazioni. Chi riceve contributi importanti dallo Stato o dagli enti locali, a seconda della personalità giuridica, riesce a cavarsela meglio. I musei statali, per esempio, hanno perso gli incassi, ma gran parte dei costi, come quelli relativi agli stipendi degli operatori e alle utenze, sono stati sostenuti dallo Stato. Questo riguarda in parte anche alcuni teatri o enti lirici che pagano direttamente il personale, ma ricevono ingenti contributi da parte del FUS. Hanno una sorte ben diversa le realtà più piccole, private, che questi sostegni non li hanno, e che in molti casi rischiano il fallimento totale. Ci sono poi realtà, come per esempio il Museo Egizio, che, pur non ricevendo contributi pubblici, fatto salvo un Fondo di garanzia annuale da parte dei soci fondatori, affrontano la situazione con le proprie forze, con esiti differenti”.

Cosa fa del Museo Egizio un esempio virtuoso?
“Il fatto che ci siamo sempre autosostenuti, ma anche che abbiamo sempre reinvestito proficuamente gli avanzi d’esercizio. Questo ci ha permesso di sopravvivere al meglio. Tuttavia, per quanto riguarda il 2020, da un recente preconsuntivo risulta il 70% in meno di incassi rispetto all’anno precedente, a fronte del 35% in meno di costi: una perdita considerevole, compensata in parte dai ristori statali, che abbiamo ricevuto per la prima volta, e in parte dalle nostre riserve”.
Quali sono invece i danni per lo spirito causati dall’assenza di servizi pubblici che lei ha definito essenziali?

“Gli esperti dicono che si avranno danni psicologici a lungo termine dall’esser stati risucchiati dentro una bolla vuota. Si parla tanto di ristori in senso economico, ma anche lo spirito e la mente hanno bisogno di ristoro. Ci sono persone fragili che vivono isolate, che non possono uscire e che non hanno dimestichezza con la tecnologia. Credo che la possibilità di vedere un film al cinema, uno spettacolo teatrale o una visita a un museo, li aiuterebbe a sopportare meglio la situazione. Penso alla nostra iniziativa ‘Vivi il Carnevale al Museo Egizio’, che ha ospitato i visitatori mascherati subito dopo il lungo periodo di chiusura. Non ho mai visto dei bambini così felici di visitare un museo! Credo che i giovani siano i più penalizzati da questa situazione, per via del loro bisogno di coltivare la socialità”.
Cosa si può fare per attrarre le nuove generazioni nei luoghi d’arte?
“I musei devono essere anche luoghi di formazione. Il Museo Egizio ha sempre dato vita a laboratori didattici e summer schools in collaborazione con importanti università italiane e straniere. Ora la didattica in presenza prosegue in rete. I nostri curatori e gli addetti alle tecnologie hanno creato una piattaforma di didattica online destinata alle scuole primarie e medie per la quale abbiamo avuto un boom di iscrizioni. Si tratta di una didattica formativa che non vuole essere solo nozionistica, ma che intende offrire agli studenti un’esperienza culturale onnicompresiva”.

Oltre a “formazione”, un’altra parola chiave del Museo Egizio è “internazionalizzazione”, è così?
“Senza dubbio. In questo momento abbiamo quattro mostre itineranti: una negli Stati Uniti, ‘Le Regine del Nilo’ al Kimbell Art Museum di Fort Worth, in Texas, una in Brasile, a Brasilia, ‘Egitto Antico – Dal quotidiano all’eternità’, una al Kumu Art Museum di Tallin in Estonia, e la mostra ‘Egypt’s Glory’ al Museo Amox Rex di Helsinki, in Finlandia, tutte molto apprezzate dal pubblico”.
Ritiene che un museo debba essere anche un luogo di integrazione sociale?
“Credo che un museo debba favorire il dialogo interculturale e rappresentare un servizio a disposizione della comunità cittadina in sinergia con altri attori sociali. Penso alle nostre iniziative volte all’inclusione sociale come la campagna ‘Fortunato chi parla arabo’, che invitava al Museo le oltre 30mila persone di lingua araba residenti nella Provincia di Torino con due ingressi al prezzo di uno, o ai corsi di formazione in lingua araba destinati a donne arabe che ora sono fra le nostre migliori guide”.
Ritiene si dovrebbe investire in direzione di una Digital transformation dei luoghi d’arte per offrire forme di fruizione più coinvolgenti?

“Un museo moderno non può basarsi solo sui biglietti venduti, ma deve aprirsi al digitale e diventare interattivo. Mi riferisco a esperienze immersive come il nostro Virtual Tour, che permette di visitare da remoto le due sale più importanti del Museo, quelle dedicate al villaggio di Deir el-Medina e alla tomba di Kha. E’ solo l’inizio di un’avventura multimediale che continuerà nel futuro”.
Del resto sono sempre più numerosi i musei che è possibile visitare da casa grazie ai tour virtuali. Una buona opportunità in tempi in cui viaggiare è rischioso?
“Sì. Penso alle nostre ‘Passeggiate col Direttore’ che, appena sbarcate in rete durante il lockdown, hanno avuto più di un milione di visualizzazioni. Il Direttore Christian Greco accompagnava virtualmente gli spettatori nelle sale, raccontando la storia della collezione, e le persone si appassionavano agli incontri come a una serie televisiva. Quando abbiamo riaperto, molti visitatori sono arrivati da tutta Italia per rivivere in presenza le Passeggiate dopo averle viste online”.
A proposito, può dare qualche anticipazione sul libro di prossima uscita che ha scritto insieme a Christian Greco su musei e ricerca?
“Uscirà ad aprile per Einaudi e si intitolerà Le memorie del futuro. E’ un libro che mostra come si sia evoluta la concezione di museo dall’antichità a oggi, guardando a quello che è il significato dell’oggetto, alla sua provenienza e alla sua ricontestualizzazione e, al tempo stesso, rappresenta una riflessione sul senso della memoria nelle diverse culture”.

Il turismo internazionale si sposta prevalentemente sull’onda della comunicazione via web. Ritiene che l’Italia sia dotata di infrastrutture degne del suo patrimonio artistico?
“Nella mia esperienza come Presidente dell’Enit mi sono resa conto che l’Italia, prima che tutto si fermasse a causa del Covid, era il primo Paese nei desideri degli stranieri, il quinto per gli arrivi e il settimo per gli incassi. Ciò significa che la nostra multiforme attrattività, dallo shopping alla musica, dalla moda al food, ma soprattutto dovuta all’arte e al paesaggio, il nostro museo a cielo aperto, è penalizzata dalle carenze infrastrutturali. Poca banda larga, connessioni non buone ovunque, comunicazione parcellizzata e difficoltà nei collegamenti verso alcune zone del territorio. Bisognerebbe gestire il settore dei Beni Culturali con un approccio più integrato. Ripongo molte speranze nel nuovo ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale affidato a Vittorio Colao”.

Per chiudere, una domanda sul femminile. Lei ha esordito da giovanissima nel mondo manageriale. Negli anni si sono allentate le resistenze psicologiche nei confronti delle donne al vertice?
“Spesso mi sono mossa in ambienti lavorativi con una forte prevalenza maschile, come quello calcistico o bancario. Per quanto riconosca che in Italia siamo ancora indietro riguardo alla presenza femminile nelle posizioni apicali, al di là delle quote, pur importanti, quello che conta è la preparazione e il merito. Ma attenzione, essere brave non significa ‘fare il maschio’, così come non bisognerebbe avallare un cliché di debolezza femminile che non ha più ragione di esistere. Considero l’empatia un valore aggiunto. Io per esempio non mi arrabbio mai, l’attività sportiva mi ha insegnato a non prendermi troppo sul serio…”.